La prima urgenza è fermare la delocalizzazione

crollo-produzione_thumb-1-.jpgIl Governo continua a " trastullarsi" con provvedimenti che servono a poco o nulla, e le aziende, quando non vengono svendute agli stranieri, delocalizzano.
Delocalizzazione è una bella parola che, tradotta, significa sempre meno lavoro in Italia, sempre più disoccupazione, sempre più vite grame ai limiti della minima sopravvivenza.
Ma perchè le aziende se ne vanno ? Non solo e non tanto per il costo manodopera, ma, sopratutto, per la burocrazia, per la pressione fiscale, e per una non-politica industriale.
Tanto per fare un esempio, in Austria, e non in Paesi come India,Cina, ect., si può aprire una Azienda in una settimana, quando vengono a fare i controlli vengono tutti insieme e non, come da noi, prima Inail, poi Usl, ect. che si rimpallano i problemi l'uno con l'altro, e la tassazione è al 25%.
Forse sarà per questo che l'Austria ha una disoccupazione tra il 5-6%, un debito pubblico del 60% sul PIL, ed una quantità innumerevole di aziende italiane che vanno a produrre in quel Paese. E potremmo continuare con molti altri.
Se non si affrontano questi problemi è inutile protestare: alla fine non c'è rimedio.
Claudio Marconi
Ormai è un crollo verticale in tutti i settori. Anche i mobili si spostano in Brasile, India, Est Europa ed Estremo Oriente.
L'azienda leader dell'arredamento delocalizza: 1.900 gli esuberi. Dopo tre anni di cig e più di 101 milioni di soldi pubblici va a casa il 70% degli operai. Il 28 la protesta a Bari
La Natuzzi, la più grande azienda italiana nel settore dell'arredamento, pare sempre più intenzionata a delocalizzare la produzione all'estero. In attesa del piano industriale, la cui presentazione è stata rinviata a luglio, nell'ultimo incontro con i sindacati l'azienda ha comunicato 430 nuovi esuberi (che si sommano ai 1.470 attuali per arrivare alla cifra di 1.900 su 2.700 unità totali), con la cassa integrazione in scadenza il prossimo 28 ottobre.

L'azienda, che secondo i sindacati ha assunto da diverso tempo un atteggiamento minaccioso nei confronti dei lavoratori, ha motivato la decisione con il calo di produttività registrato negli stabilimenti italiani.

Ma la realtà vissuta dai lavoratori è ben diversa. In attesa del Cda del gruppo convocato per oggi, è infatti scattata la mobilitazione nello stabilimento di Laterza, in provincia di Taranto, in cui vengono realizzati divani e complementi d'arredo.
I circa 500 lavoratori del sito ionico, hanno indetto da mercoledì uno sciopero ad oltranza nei tre turni di lavoro «contro un atteggiamento padronale inaccettabile ed un piano industriale che punta unicamente alla salvaguardia della griffe aziendale e del made in Italy», che vuol scaricare sui lavoratori e sui sindacati «responsabilità ascrivibili al solo tentativo malcelato di delocalizzare» le stesse produzioni in Brasile, piuttosto che in India, in Cina e in Romania «con la conseguente soppressione degli attuali siti» pugliesi e lucani.
«È un gioco che abbiamo compreso benissimo, che denunciamo da tempo e che non condividiamo», sostengono compatte le segreterie di categoria regionali Filca Cisl, Fillea Cgil e Feneal Uil, dopo l'ultimo incontro avuto con l'azienda la settimana scorsa, presso la sede di Confindustria Bari, dove erano presenti anche delegazioni Rsu degli stabilimenti di Ginosa, Laterza, Matera e Santeramo. «L'azienda ha chiesto per lo stabilimento di Laterza - spiegano i sindacati - una cospicua riduzione operativa al netto del cosiddetto personale infungibile, a partire dal 17 luglio e fino al 12 agosto, in concomitanza con l'inizio del periodo feriale, con un incomprensibile abbassamento del livello produttivo al 25 per cento circa».

I sindacati denunciano inoltre l'atteggiamento incomprensibile assunto dall'azienda negli ultimi tempi, che invece di assumere decisioni condivise in un momento di grave crisi, «confeziona atti unilaterali e non condivisi con segreterie e Rsu persino sul calendario del lavoro che riguarda tutti i dipendenti». La protesta dei lavoratori di Laterza è scattata all'indomani della consegna da parte della dirigenza di un piano di giornate lavorative che, secondo la Fillea Cgil, «di fatto riducono del 50% la presenza in fabbrica dei dipendenti. La Natuzzi, a fronte degli esuberi che annuncia sempre più cospicui, dovrebbe invece (...) mettere in atto un intervento di equità e giustizia nei confronti di tutti».
I sindacati ricordano inoltre come tre anni fa l'azienda sosteneva la necessità di ricorrere alla cassa integrazione per un numero cospicuo di dipendenti, quale condizione indispensabile per superare e risolvere definitivamente una sfavorevole congiuntura di mercato. Teoria non confermata dalle ultime dichiarazioni pubbliche dell'azienda «secondo cui il mercato del mobile imbottito andava e continua ad andare a gonfie vele e che il made in Italy, in questo settore, non ha rivali nel mondo». Il che è dimostrato dal fatturato realizzato dalla Natuzzi nel 2011, pari a 486,4 milioni di euro.
Peraltro, appena lo scorso 8 febbraio a Roma venne siglato l'accordo di programma per rilanciare il settore del mobile imbottito, con un finanziamento di 101 milioni di euro così distribuito: 40 dal Mise e dalla Regione Puglia, e 21 dalla Regione Basilicata. Intanto, venerdì 28 giugno, si fermeranno tutti gli stabilimenti del gruppo perché i lavoratori porteranno la loro protesta a Bari, sotto la Prefettura.


Fonte: ledicolaonline.blogspot.com.ar
Tratto da: http://www.frontediliberazionedaibanchieri.it/article-la-prima-urgenza-e-fermare-la-delocalizzazione-118541602.html


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