Un pacco bomba per il magistrato Lombardo Il pm al centro delle minacce dell'ndrine


Un magistrato da sostenere
L'esponente della Dda reggina destinatario di un plico con alcuni grammi di esplosivo e una minaccia: «Se non la smetti ci sono pronti altri 200 chili». Non è la prima volta che il sostituto procuratore della distrettuale, che con le sue inchieste ha colpito con decisione la malavita organizzata, si trova al centro di inquietanti intimidazioni 
di GIUSEPPE BALDESSARRO
Un pacco bomba per il magistrato Lombardo
Il pm al centro delle minacce dell'ndrine
Il Pm Giuseppe Lombardo

di GIUSEPPE BALDESSARRO
REGGIO CALABRIA - Lo vogliono morto: «Se non la smetti ci sono pronti altri 200 chili». Il biglietto accompagna 50 grammi di esplosivo. Il pacco bomba ha un destinatario: il pm antimafia di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo, che con le sue inchieste ha inferto colpi letali alla 'ndrangheta militare. Ma è anche la toga, lucida di decoro e sacrificio, che ha iniziato ad aggredire quel terzo livello fatto di connivenze politiche e istituzionali, di lobby mafio-massoniche, di losche cointeressenze tra le alte sfere dalla mala in doppio petto ed i salotti del potere e dell'alta finanza. Il pacco bomba è stato intercettato al centro di smistamento postale della città dello Stretto. Gli impiegati hanno subito allertato la Squadra mobile, che ha avviato le indagini. Indagini difficili, perché in tanti, troppi, tra vecchi malacarne, nuovi padrini e insospettabili, vorrebbero togliere di mezzo quel pm scomodo. Lui il magistrato che ha gettato in gattabuia alcune tra le inafferrabili primule dell'onorata società reggina, che ha disarticolato i casati storici, dai Condello ai De Stefano. Lui il pm del maxiprocesso “Meta” e dell'inchiesta sui rapporti tra 'ndrangheta e Lega Nord. Individuare il mittente è come cercare un ago in un pagliaio, ma la Squadra mobile ha le sue piste logiche da battere. Magari ripartendo proprio da quell'informativa dello scorso luglio, inviata all'Ufficio territoriale del governo di Reggio Calabria oltre che, logicamente, nelle stanze della Direzione distrettuale antimafia. 
Riportava il contenuto di alcune intercettazioni risalenti a poche settimane prima. Erano i Labate a parlare, i “Ti mangiu” padroni del quartiere Gebbione, a carico dei quali il sostituto procuratore da anni nel mirino aveva da poco chiesto pesanti condanne. «A quello prima lo spariamo è meglio è». E poi: «Queste teste di cazzo non lo vogliono capire». “Quello” era Giuseppe Lombardo. Le “teste”, invece, il gotha del mandamento di Reggio Città, forse della Provincia, che quando c'è da lasciare proiettili, minacciare, intimidire, lasciano fare, se c'è da creare martiri, invece, vanno cauti, consapevoli delle conseguenze che una soluzione finale comporta. Ma i Labate, in base a quell'informativa, non ne volevano sapere. “Quello”, in un modo o nell'altro, doveva «saltare». Si alludeva proprio all'uso di esplosivo, il modo più “sicuro”, il meno “rischioso”, per toglierlo di mezzo. Esplosivo proprio come quello nell'ultimo pacco bomba ritrovato, assaggio degli «altri 200 chili» pronti. Già, ma forse questa è un'altra storia, quest'ultimo pacco, probabilmente, ha altri mittenti. Il livello, si teme, è ancora più alto. C'è il presente da decifrare ed il passato da rileggere, iniziando da quei segnali inquietanti, risalenti alla scorsa estate, per il magistrato che è finito più volte, e concretamente, al centro di gravi minacce. Ottobre 2011, ad esempio: nei parcheggi del Cedir qualcuno lasciò una bomba e, sopra, una sua foto. Come sia stato possibile, in un luogo videosorvegliato e presidiato dalle mimetiche dell'Esercito in assetto di guerra, resta ancora un mistero. A ritroso, marzo 2011: al centro di smistamento postale di Lamezia Terme fu intercettato un altro plico, dentro un proiettile per kalashnikov. E ancora, maggio 2010: cadeaux della malavita organizzata un proiettile con un messaggio di morte. Infine, gennaio 2010, il mese della strategia della tensione contro le toghe reggine: un altro proiettile. Fu l'inizio di una caccia al pm che che non è ancora finita.
REGGIO CALABRIA - Lo vogliono morto: «Se non la smetti ci sono pronti altri 200 chili». Il biglietto accompagna 50 grammi di esplosivo. Il pacco bomba ha un destinatario: il pm antimafia di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo, che con le sue inchieste ha inferto colpi letali alla 'ndrangheta militare. Ma è anche la toga, lucida di decoro e sacrificio, che ha iniziato ad aggredire quel terzo livello fatto di connivenze politiche e istituzionali, di lobby mafio-massoniche, di losche cointeressenze tra le alte sfere dalla mala in doppio petto ed i salotti del potere e dell'alta finanza. Il pacco bomba è stato intercettato al centro di smistamento postale della città dello Stretto. Gli impiegati hanno subito allertato la Squadra mobile, che ha avviato le indagini. Indagini difficili, perché in tanti, troppi, tra vecchi malacarne, nuovi padrini e insospettabili, vorrebbero togliere di mezzo quel pm scomodo. Non è la prima volta, già ottobre 2011, ad esempio: nei parcheggi del Cedir qualcuno lasciò una bomba e, sopra, una sua foto. A marzo 2011: al centro di smistamento postale di Lamezia Terme fu intercettato un altro plico, dentro un proiettile per kalashnikov. E ancora, maggio 2010: cadeaux della malavita organizzata un proiettile con un messaggio di morte. Infine, gennaio 2010, il mese della strategia della tensione contro le toghe reggine: un altro proiettile. Fu l'inizio di una caccia al pm che che non è ancora finita.


Fonte: ilquotidianocalabria.it

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