10 anni dopo l’invasione, gli USA hanno distrutto l’Iraq ma i nostri crimini di guerra restano impuniti


Il male scatenato sul popolo iracheno è stato accuratamente nascosto dietro un paravento di menzogne. Dalla fine della seconda guerra mondiale, i leader politici americani e gli opinion maker hanno indotto il pubblico a ritenere che l’uso aggressivo, palese e occulto, della forza militare siano strumenti essenziali della politica estera degli Stati Uniti. Da un disastro militare all’altro, inviando i nostri cari in guerra, uccidendo milioni di persone  innocenti e destabilizzando una regione dopo l’altra, ogni nuova amministrazione ci assicura di aver imparato la lezione del passato e che merita il nostro sostegno e sacrificio per la sua ultima strategia militare. 
Ma la rete dei miti, degli eufemismi e la cortina crescente dietro la quale i nostri leader si sentono costretti a nascondere le politiche di guerra smentiscono l’apprendimento della lezione del Vietnam, dell’Iraq, dell’Afghanistan e degli altri scenari di guerra. Gli sforzi coraggiosi di Julian Assange, Wikileaks e Bradley Manning per farci onestamente esaminare i record in modo autonomo e trarne le nostre conclusioni incontrano il terrore vendicativo delle sale del potere.
Quarant’anni dopo il rientro delle ultime truppe statunitensi dalla sconfitta del Vietnam, il libro di Nick Turse, Kill Anything That Moves, ha documentato il massacro sistematico a cui migliaia di soldati americani hanno preso parte e che milioni di vietnamiti hanno subito. Turse ha reintegrato la realtà vissuta da milioni di persone al suo giusto posto nella storia americana, da cui era stata semplicemente cancellata e soppressa.
 
Come disse il drammaturgo britannico Harold Pinter nel suo discorso per il Nobel del 2005: “… la mia tesi è che i crimini degli Stati Uniti… sono stati solo superficialmente registrati e tanto meno documentati, tanto meno riconosciuti, tanto meno considerati crimini”.
 
Pinter ci porta al problema centrale e innominabile della politica di guerra degli Stati Uniti, che è crimine, aggressione, attacco o invasione di altri paesi. I giudici di Norimberga hanno definito l’aggressione come il “crimine internazionale supremo”, perché, come hanno detto, “contiene in sé la somma di tutti i mali”. L’inchiesta sull’Iraq nel Regno Unito ha declassificato documenti che mostrano che Tony Blair e il ministro degli Esteri Jack Straw erano stati avvertiti costantemente e ripetutamente che invadere l’Iraq sarebbe stato un crimine di aggressione, definito dai loro consulenti legali come “uno dei reati più gravi ai sensi del diritto internazionale”.
 
Il disastro di due guerre mondiali ha portato i leader del mondo a firmare la Carta delle Nazioni Unite, le Convenzioni di Ginevra e i Principi di Norimberga. Videro la guerra come una minaccia esistenziale per il futuro del genere umano, come di fatto è ancora. Così la Carta delle Nazioni Unite ha espressamente vietato l’uso della forza militare da parte di qualsiasi paese contro un altro. Nei 45 anni successivi, agli Stati Uniti non rimaneva che giustificare i conflitti come auto-difesa di un alleato (come in Vietnam) o come azione delle Nazioni Unite (come in Corea). Gli Stati Uniti hanno condotto guerre in segreto (per esempio in America Centrale), che tuttavia hanno portato ad un verdetto di colpevolezza presso la Corte internazionale di giustizia con l’ordine di pagare le riparazioni di guerra in Nicaragua, riparazioni che rimangono non onorate, come i 3,3 miliardi di dollari che il presidente Nixon aveva promesso al Vietnam.
 
Al posto dei “vantaggi della pace”, su cui la maggior parte degli americani sperava, la fine della guerra fredda ha incoraggiato perversamente i deliri dei ”vantaggi del potere” e un “dominio a tutto campo” di Washington. I leader statunitensi hanno sfruttato il dolore e il panico sulla scia dell’11 settembre per rivendicare l’uso della forza militare come forma accettata di comportamento internazionale, anche se solo per se stessi e i loro alleati. Sotto i mal definiti parametri della “guerra al terrore”, ora rivendicano il diritto di usare la forza militare in modi a lungo negati dalla Carta delle Nazioni Unite. Ma la Carta non è stata abrogata. L’aggressione è ancora un crimine, che sia condotta con attacchi dei droni o con una vera e propria invasione di un altro paese.
 
La realtà del “male concentrato” scatenato contro il popolo iracheno per mezzo del “supremo crimine internazionale” dell’aggressione è stato accuratamente nascosto dietro un paravento di menzogne. I nostri leader militari se non sono in grado di aver la meglio in un conflitto, di sicuro sanno come condurre una guerra di propaganda negli USA:
 
- Vengono diffuse nozioni fantasiose sull’accuratezza delle armi di “precisione”, oscurando l’ampio massacro e la distruzione causate dall’invasione: 29.200 bombe e missili nel primo mese di guerra e uccisione di decine di migliaia di civili.
 
- Insabbiamento delle relazioni del Ministero della Sanità iracheno nel 2004 che documentano come le forze di occupazione stavano uccidendo molti più civili di quanti non ne avessero ucciso gli “insorti”.
 
- Ignorati o respinti i calcoli degli epidemiologi che stimavano a 650.000 i morti iracheni nel 2006. Con la continuazione della guerra, il numero dei morti ha raggiunto probabilmente un milione nel 2008.
 
- Alle truppe statunitensi è stato fatto il lavaggio del cervello per collegare l’Iraq  all’11 settembre e guardare quindi agli iracheni, che resistevano all’invasione illegale e all’occupazione del loro paese, come terroristi alla pari di quelli che avevano attaccato New York e Washington. Un sondaggio di Zogby del febbraio del 2006, a tre anni dalla guerra, rivelava che l’85% delle truppe Usa in Iraq credevano che la loro missione fosse di “ritorsione per il ruolo di Saddam negli attentati dell’11/9″.
 
- Le regole di ingaggio degli Stati Uniti in Iraq hanno palesemente violato le leggi di guerra. Tra queste: eliminazione dei combattenti della resistenza feriti; l’ordine di “uccidere tutti gli uomini in età militare” durante alcune operazioni; “fuoco a 360 gradi” su strade piene di civili; utilizzo permanente dell’artiglieria, degli attacchi aerei, anche su villaggi o condomini pieni di gente; designazione di alcune aree come Fallujah quali “zone libere al fuoco”, dove sono stati uccisi migliaia di civili.
 
- La tortura è stata più diffusa e sistematica nelle prigioni statunitensi di quanto i resoconti dei media su Abu Ghraib abbiano suggerito. Un rapporto trapelato del Comitato Internazionale della Croce Rossa del 2004, basato su 27 visite a 14 carceri degli Stati Uniti in Iraq e altri rapporti sui diritti umani documentano: finte esecuzioni, waterboarding, “posizioni di stress”, comprese forme strazianti e talvolta mortali di appendere i corpi, esposizione al calore e freddo estremo, privazione del sonno, della fame e della sete, negazione del trattamento medico, scosse elettriche, stupro e sodomia, percosse con tutti i tipi di armi, bruciature, tagli inferti con coltelli, uso pregiudizievole delle manette flessibili di plastica, soffocamento, assalto e/o privazione sensoriale e torture psicologiche come l’umiliazione sessuale e minacce contro i membri della famiglia.
 
- Human Rights First ha indagato su 98 decessi in custodia degli Stati Uniti in Iraq e in Afghanistan. Tra questi, almeno 12 persone sono state sicuramente torturate a morte, 26 altri casi di omicidio sospetto o confermato e oltre 48 sfuggiti del tutto all’indagine ufficiale. HRF ha fatto emergere che alti ufficiali hanno abusato della loro posizione di potere per porsi al di là della portata della legge anche se hanno dato l’ordine di commettere crimini terribili. Nessun ufficiale sopra il grado di Maggiore è stato accusato di un reato, anche se la tortura è stata autorizzata dai livelli più alti e la punizione più severa inflitta si è limitata a una pena detentiva di 5 mesi. I documenti già di dominio pubblico sembrano sufficienti per condannare Bush, Cheney, Rumsfeld, i loro avvocati e gli alti ufficiali militari di reati capitali ai sensi della legge statunitense sui crimini di guerra.
 
- Gli Stati Uniti hanno reclutato, addestrato e dispiegato almeno 27 brigate di Polizia Speciale irachene, che hanno tratto in prigionia, torturato e ucciso decine di migliaia di uomini e ragazzi a Baghdad e altrove nel 2005 e 2006. Al culmine di questa campagna, 3.000 corpi al mese sono stati portati all’obitorio di Baghdad e un’associazione irachena per i diritti umani ha constatato che il 92% dei cadaveri riguardano persone sequestrate dalle forze di sostegno statunitensi. Gli ufficiali delle Forze Speciali USA nelle Squadre speciali di transizione di Polizia hanno lavorato con ogni unità irachena. Sotto il controllo di un comando altamente sofisticato composto da personale americano e iracheno, gli Stati Uniti hanno mantenuto il comando e il controllo di queste forze durante tutto il loro regno di terrore.
 
- Nel 2006 e 2007, le forze degli Stati Uniti hanno lavorato in tandem con i Comandi Speciali di Polizia (da allora ribattezzata “Polizia di Stato”, dopo la denuncia di uno dei loro centri di tortura) nell’Operazione Avanti Insieme I e II e il cosiddetto Surge per completare la pulizia etnica di Baghdad. L’occupazione degli Stati Uniti ha deliberatamente preso di mira la minoranza sunnita in Iraq, uccidendo alla fine circa il 10% degli arabi sunniti e costringendo circa la metà di loro a lasciare le loro case. Ciò risponde pienamente alla definizione di genocidio nei trattati internazionali. Dobbiamo quindi aggiungere il crimine di genocidio ai crimini americani in Iraq.
 
Forse l’aspetto più inquietante della transizione da Bush a Obama è che il nuovo presidente non solo non è riuscito a rendere penalmente responsabili gli ufficiali statunitensi per i loro crimini, ma in realtà ha abbracciato le dottrine e le politiche sviluppate sotto Bush ed esteso la loro applicazione alla politica degli Stati Uniti in tutto il mondo. Obama continua l’espansione di attacchi con i droni e operazioni speciali da 60 a 120 paesi, diffondendo la violenza, l’illegalità e l’instabilità della “guerra al terrore” di Bush ai quattro angoli della Terra.
 
Centrale per l’aberrante politica di legge e ordine degli Stati Uniti è l’applicazione delle “regole di guerra” sui civili, come ha osservato nel 2009 un gruppo di eminenti esperti della Commissione internazionale dei giuristi. Molti dibattiti pubblici su questo tema oppongono un rappresentante o avvocato governativo che considera il mondo intero come un campo di battaglia americano governato da “regole di guerra”, a un altro soggetto esterno che parla di “giusto processo”, “diritti umani” e “diritto internazionale umanitario. ” Di solito il contraddittorio dura la lunghezza di un programma radiofonico o TV e poi ognuno per la propria strada.
 
Ma la questione è critica, e quindi gli esperti della Commissione internazionale dei giuristi, guidata dall’ex presidente irlandese Mary Robinson, sono giunti a conclusioni molto precise. Si è riscontrato che i leader degli Stati Uniti hanno confuso il pubblico inquadrando la loro campagna anti-terrorismo all’interno di un “paradigma di guerra” e che il governo degli Stati Uniti stava distorcendo, applicando selettivamente o semplicemente ignorando i vincoli di legge sui diritti umani.
 
Il gruppo di esperti della Commissione internazionale dei giuristi ha concluso che le violazioni del diritto internazionale degli Stati Uniti non erano né un’adeguata né un’efficace risposta al terrorismo, e che i principi sanciti dal diritto internazionale “erano destinati a resistere alle crisi, fornendo un quadro di riferimento solido ed efficace da cui partire per combattere il terrorismo”.
 
I principi sanciti dal diritto forniscono anche un quadro solido ed efficace da cui partire per affrontare i crimini di guerra americani. Altrove nel mondo, i generali argentini Videla e Bignone stanno già scontando ergastoli, anche se devono affrontare ulteriori addebiti, il generale Rios Montt del Guatemala è sotto processo per il genocidio degli indiani Maya in Ixil. Questi uomini davano per scontato che le loro posizioni di potere e li ponesse al riparo da ogni responsabilità per i loro crimini. Ma i loro paesi sono cambiati in risposta alla forza e alla volontà dei loro popoli. Né Bush, Cheney, Rumsfeld, Bybee, Gonzalez, Yoo, né i generali Franks, Sanchez, Casey o Petraeus, dovrebbero presumere che vivranno la loro vita al di là della portata della giustizia.
 
Ma è anche un consolidato principio del diritto internazionale che i paesi che commettono l’aggressione contro un altro paese portano una responsabilità collettiva per le loro azioni. La colpa dei nostri leader non ci lascia impuniti per i crimini commessi in nostro nome. Gli Stati Uniti hanno il dovere legale e morale di pagare le riparazioni di guerra in Iraq per aiutare il suo popolo a riprendersi dagli esiti dell’aggressione, del genocidio e dei crimini di guerra. Questa è la richiesta avanzata da un gruppo molto speciale di americani le cui esperienze e sacrifici li rendono unici e qualificati per avanzare tale pretesa: i Veterani dell’Iraq contro la guerra.

Fonte: Tlaxcala


Tratto da: Losai.eu

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