Londra e Berlino contro eBay e Amazon
da Londra, per Byoblu.com, Valerio Valentini
Ve la ricordate Emma Marcegaglia, il 7 maggio 2011, alle Assise generali della Confindustria? Due settimane prima il Tribunale di Torino aveva condannato l’amministratore delegato di ThyssenKrupp a 16 anni per la morte di 7 operai, ritenendolo colpevole di omicidio volontario, e la zelante presidente degli industriali, col suo solito piglio deciso, commentò la sentenza: “È un unicum in Europa. Una cosa di questo tipo, se dovesse prevalere, allontanerebbe investimenti esteri mettendo a repentaglio la sopravvivenza del sistema produttivo”. Applausi scroscianti dagli spalti.
La settimana scorsa, infatti, il ministro delle finanze tedesco Schauble e quello britannico Osborne hanno siglato un accordo che prevede una cooperazione bilaterale nel rafforzare i controlli sulle grandi aziende dedite al commercio online, al fine di evitare qualunque tipo di evasione fiscale. Nel comunicato diramato a seguito dell’incontro, Londra e Berlino rendono noto che l’accordo appena siglato ha lo scopo di aiutare entrambi i governi a “stare al passo con le più moderne pratiche di business globali, come lo sviluppo dell’e-commerce” e a far fronte alla sempre maggiore specializzazione di questo tipo di multinazionali, che “sono in grado di eludere i controlli trasferendo i propri profitti lontano dagli Stati in cui vengono generati, riducendo così al minimo il pagamento delle tasse”.
Schuable e Osborne hanno ribadito che c’è bisogno di serie politiche internazionali per un giro di vite su alcune di quelle multinazionali che in alcuni casi arrivano ad evadere pressoché il 100%, trasferendo i loro introiti non solo alle Cayman, ma anche nei Paesi Bassi e in Irlanda. Ed è per questo che i due ministri dell’economia hanno ribadito che questo loro atto è una decisione politica che segue le direttive OCSE, a cui sperano si adeguino presto anche gli altri membri dell’UE.
Tornato in patria, Osborne ha spiegato ai cittadini inglesi le motivazioni che hanno spinto il governo a firmare questo accordo. “Ovviamente noi vogliamo che il sistema fiscale britannico sia competitivo a livello internazionale per attrarre investimenti stranieri; tuttavia, pretendiamo anche che le multinazionali contribuiscano al gettito fiscale. Se i controlli sulle tasse funzionano bene, ci garantiremo buone entrare e non verremo tagliati fuori dal mercato mondiale”.
Ora, alle parole dei politici bisogna sempre fare la tara. E certamente la Gran Bretagna non è la terra dei balocchi: è un Paese con storture e diseguaglianze sociali molto profonde. Eppure, se i dati valgono qualcosa, bisogna ammettere che anche grazie a queste politiche, la pressione fiscale britannica sulle grandi imprese è il più basso di quello dei Paesi del G7; e anche all’interno del G20, nessuno Stato nei due anni passati ha ridotto le tasse – per le grandi aziende – come la Gran Bretagna: dal 28% al 22%. E non sarà un caso che circa la metà dei 136 miliardi di sterline che ogni anno Londra incassa dai contribuenti vengono versate proprio da imprese straniere. Le quali, oltre a risanare i conti dello Stato, danno lavoro a circa 100mila cittadini inglesi. Se le tasse le pagano tutti, restano basse per tutti, e gli investitori stranieri portano soldi e occupazione.
Il governo italiano, invece? Come nel caso degli accordi anti-evasione con la Svizzera, sta a guardare, balbettando motivazioni incomprensibili. Da noi i soldi dei furbi si fanno rimpatriare solo a seguito di leggi indecenti come quella dello Scudo Fiscale, che di fatto incentivano i furbi a portare i propri profitti in altri Stati, con buona pace dei soliti fessi dei contribuenti, che non hanno queste possibilità. Ed è così che l’Italia, che già di per sé avrebbe un elevatissimo tasso (45,2%) di pressione fiscale apparente, a causa dell’evasione e del sommerso conquista il primato mondiale per quanto concerne la pressione fiscale effettiva (cioè quella calcolata sul denaro legalmente dichiarato), che è pari al 55%. Quella britannica è al 41,4%.
Glielo dite voi alla Marcegaglia che il motivo per cui gli investitori stranieri stanno alla larga dall’Italia non sono le sentenze del Tribunale di Torino
fonte: byoblu.com
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