Ci scrivono gli studenti di un liceo: "ecco perché abbiamo occupato"


Riceviamo e pubblichiamo:

Buongiorno, scrivo a nome del liceo Marchesi di Padova (classico, linguistico, delle scienze umane e musicale). Abbiamo occupato la nostra scuola da giovedì 15 novembre a oggi, sabato 17 novembre, con il preciso scopo di non limitarci alla protesta pura e semplice, ma di dare a questa esperienza una connotazione propositiva: come conclusione del nostro lavoro abbiamo elaborato questa lettera che speriamo possa sia giustificare la nostra azione agli occhi dei tanti che non comprendono questa forma di protesta, sia essere d'esempio per altri studenti come noi che non sanno come affrontare la difficile situazione che sta vivendo la scuola pubblica. Confidiamo che il vostro sito, che sappiamo interessato ad un modello di informazione ampio e libero, in questa circostanza si dimostri disponibile ad appoggiarci consentendo la diffusione del nostro punto di vista.
Con un grande ringraziamento anticipato, gli studenti del liceo Marchesi occupato.

La lettera:
Siamo indignati. Ma l'indignazione non basta, non più. Vogliamo impegnarci. Vogliamo incanalare la nostra rabbia in qualcosa di costruttivo, che porti dei risultati, senza limitarci ad urlarla per strada e nelle piazze. Ora vogliamo rendere tangibile il nostro pensiero. Per questo abbiamo deciso di occupare. Abbiamo scelto questa forma di protesta per provare a mettere in pratica un modello alternativo di scuola, atto a sviluppare una coscienza critica tanto a lungo sopita.
Vogliamo combattere la rassegnazione generale. Non vogliamo, giunti alla maggiore età, andare a rimpolpare le fila del partito degli astensionisti. E vogliamo riuscirci partecipando, impegnandoci, informandoci e informando. Ed è proprio questo che abbiamo fatto durante l'occupazione, tramite assemblee riguardo argomenti di attualità e di cultura generale, con esterni e dibattiti che hanno coinvolto studenti e, talvolta, docenti.

Nei gruppi gestiti e organizzati dagli alunni abbiamo imparato il valore dell'educazione tra pari, dell'apprendere nozioni e informazioni da un coetaneo e, soprattutto, abbiamo imparato a confrontarci e siamo cresciuti.
Ci siamo responsabilizzati riguardo la gestione di uno spazio che occupiamo fisicamente ogni giorno, ma di cui ci siamo veramente occupati solo ora, consci dei rischi che correvamo nel commettere un'azione illegale. Ma l'abbiamo fatto con motivi e scopi precisi, e siamo certi di non aver perso tempo. 
Osservando come le violenze che spesso si verificano durante cortei e manifestazioni vengano strumentalizzate e facciano passare in secondo piano i motivi profondi delle proteste, abbiamo sentito la necessità di dimostrare che noi quei motivi non li abbiamo dimenticati, e che non ci limitiamo a scendere in piazza in loro nome, ma vogliamo provare a metterci noi direttamente d'impegno perché le cose cambino.
La scuola dovrebbe fornire ai giovani gli strumenti e gli stimoli affinché essi si possano formare come cittadini responsabili dotati di pensiero critico. Tuttavia, nella gran parte delle nostre classi ci sono trenta studenti o più: non c'è tempo di fermarsi, approfondire, discutere o confrontarsi; bisogna andare avanti, interrogare e verificare se si vuole portare a termine il vastissimo programma ministeriale. Ci rimettiamo noi studenti tanto quanto i professori, a cui ci sentiamo davvero molto vicini in questo momento estremamente critico anche per loro. Il problema è che la scuola pubblica a cui abbiamo diritto, tagliata e riformata all'inverosimile, non solo non ci fornisce gli strumenti per sviluppare la cosiddetta “coscienza critica”, ma mortifica quella di chi riesce a crearsene una da solo. Ci sentiamo sottovalutati e non valorizzati. Stiamo assistendo infatti al lento smantellamento delle borse di studio per gli allievi meritevoli, costretti quindi a fuggire all'estero. Ma se tutte le giovani menti brillanti fuggono altrove, chi resterà qui a cambiare questo Paese?
Stiamo assistendo inoltre all'enorme dispendio di denaro dello Stato in spese superflue, come quelle per l'informatizzazione dell'istruzione, quando moltissimi edifici scolastici non sono in sicurezza e vi sarebbero quindi investimenti molto più urgenti da effettuare da parte delle Province. L'innovazione tecnologica e digitale è di per sé un valore positivo cui non ci opponiamo, ma ora come ora non si può considerare una priorità.
Vogliamo un cambiamento reale, non una regressione. Non possiamo e non siamo disposti a perdere ciò che è stato conquistato con anni e anni di lotte. 
La scuola pubblica è un bene comune da tutelare, di cui forse questo Paese e i suoi governanti, che vogliono renderla una “azienda” e le preferiscono sempre più quella privata, non sanno più apprezzare il valore. Tuttavia, essa è lo strumento fondamentale e necessario per lo sviluppo di un Paese, e lo è soprattutto in un momento di crisi come quello che stiamo vivendo. Investire in questo settore significa investire sul futuro e voler provare veramente ad uscire da questa crisi, poiché la risposta alla crisi siamo noi, i giovani delle nuove generazioni.
Decidere invece di tagliare drasticamente i fondi per l'istruzione pubblica, continuando a sperperare miliardi nella costruzione di opere pubbliche mai concluse o utilizzate, in spese inutili e superflue e nell'acquisto perpetuo di armi da guerra, significa voler regredire e non voler offrire un futuro dignitoso agli italiani di oggi e, specialmente, a quelli di domani.
Noi, giovani studenti terribilmente preoccupati per il nostro futuro e disposti ad impegnarci per prenderlo in mano e renderlo degno d'esser vissuto, abbiamo reagito per far sentire la nostra voce, che si sta facendo tanto forte ed unita che presto saranno tutti costretti ad ascoltarla.

Padova, 16/11/2012
Gli studenti dell'I.I.S. “Concetto Marchesi” occupato (sede Fusinato).




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