Rivolte, Popovic: primo errore, demonizzare la polizia

Spesso il solo campo in cui un movimento civico non può vincere è quello militare: affrontare il potere su quell’arena è come fare a pugni con Mike Tyson. Fu l’errore del movimento contro l’apartheid in Sudafrica prima della svolta nonviolenta. Le campagne nonviolente hanno successo nel 53 per cento dei casi, quelle violente nella metà: 26. La posta in gioco nella Prima guerra mondiale era il territorio: vecchi imperi e Stati nascenti in cerca di spazio. Il risultato non fu che un’effimera ridistribuzione delle colonie. L’esito della Seconda, che opponeva le grandi ideologie, fu la Guerra fredda. La lotta di Gandhi, invece, fu l’inizio della fine del colonialismo. Il Black Power ha creato le premesse per un mondo governato anche da neri. Solidarnosc ha scatenato l’effetto domino che ha portato al crollo dell’Urss. Gli effetti delle strategie non violente sono più concreti sul lungo periodo: producono cambiamenti di civiltà.

In Serbia nel 2000 capimmo presto quello che volevamo. Nel ’92 occupammo il rettorato e proclamammo una libera repubblica, tenevamo seminari, concerti, e Milosevic era felice e soddisfatto. Noi cantavamo Lennon e lui governava. E armava i tank per far fuori i croati. Se ti limiti a occupare uno spazio e peggio, se ti rinchiudi in un’identità, i duecento “intelligenti” che hanno capito tutto e si oppongono agli alieni, hai perso. Emarginazione dei violenti: difendemmo la polizia dai tifosi, gli agenti videro tutt’altro da quello che raccontavano i comandanti e iniziarono a disubbidire. Se non riconosci l’uomo sotto la divisa e lo demonizzi, perdi.
(Srdja Popovic, estratti dall’intervista “L’uomo che insegna a fare le rivoluzioni” realizzata da Luca Rastello per “Repubblica” il 19 agosto 2012). fonte
Commenti