Ecci perché l'Italia può rinascere solo fuori da questo euro


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di Giuseppe Trucco

Vi anticipo che quelle che seguono sono questioni che richiedono un po’ di sforzo per essere comprese: l’economia è una materia noiosa e comprendo che abbiate poca voglia di scervellarvi su questo argomento, ma vi prego di provare a farlo, di sforzarvi a capire, di non credere alle menzogne che vi diranno per indurvi a pensare che io abbia torto. E’ importante che lo facciate: se il 50% più uno degli Italiani lo avrà capito (non solo per merito mio, ovviamente), se prima di allora l’Europa non avrà ancora trovato la maniera di cancellare del tutto la sovranità del popolo italiano, allora abbiamo una speranza di poterci salvare. E’ una questione di straordinaria importanza, lo ripeto, ne va della qualità della vita vostra, dei vostri figli, dei vostri nipoti.
Cosa accadrebbe se l’Italia restasse nell’euro
Un Paese con un debito pubblico del 120% del PIL (presto saremo più vicino al 130%), su cui grava un tasso di interesse reale del 4% (e presto potrebbe anche salire), avrà una crescita del debito, in caso di pareggio di entrate ed uscite escluso il pagamento degli interessi, pari al 5% circa del PIL. Non è accettabile pagare un 5% annuo di interessi reali sul PIL, perché o non si riesce a sostenere il debito e si fallisce, oppure si deve togliere dall’economia italiana oltre 100 miliardi di euro l’anno, solo per mantenere quel debito costante.
100 miliardi 40 dei quali vanno fuori dall’Italia, a pagare creditori stranieri, venendo quindi tolti definitivamente da un sistema economico già in pesante depressione.

Viceversa c’è il fallimento, che però non risolve nulla, perché è solo parziale, danneggia molto i creditori che nel 60% dei casi sono italiani, ma soprattutto non alleggerisce il debito (come abbiamo visto per la Grecia, che dopo il default continua ad avere un debito/Pil come il nostro). Non lo alleggerisce perché viene concesso uno sconto solo parziale e solo su una parte del debito, perché il debito che resta fa paura e sarà destinato a dover pagare interessi usurari anche dopo (la Grecia paga interessi a 2 cifre!), per cui ad un primo fallimento ne seguiranno altri (nel caso della Grecia è verosimile che il presente livello di debito pubblico post-default genererà presto nuovi default, se gli interessi sono a 2 cifre non ci vorrà molto tempo per verificarlo).
Ora non si dica che io ho detto che si andrà necessariamente verso il default, al contrario, ci sono moltissime cose di cui purtroppo l’Italia e gli Italiani possono venire defraudati prima che questo possa accadere. Esiste una forte concentrazione di ricchezza privata (purtroppo in calo) accantonata in decenni (ai tempi della lira), che potrebbe venire prosciugata con delle patrimoniali, più tutta una serie di attivi statali che si possono alienare, con grande gioia delle elite e dei mercati finanziari, ma è questo che vogliamo? Che l’Enel vada ai Cinesi (come la sua omologa portoghese) per ridurre il debito (debito su cui lo stato paga metà rispetto a quanto percepisce di dividendo dalle azioni Enel, il che dimostra ancor più l’assurdità di una simile scelta)? Che le Poste vadano ad un fondo di private equity (che poi magari aumenta i costi del servizio per finanziare i propri profitti privati)? Che il demanio venga svenduto dando il colpo di grazia ai prezzi settore immobiliare italiano per una generazione e che poi lo Stato paghi l’affitto ai fondi immobiliari? Che le nostre riserve auree (la quarta maggiore riserva aurifera di una nazione al mondo) vengano cedute ai fondi sovrani arabi? Perché nessun default sarà possibile nell’euro se prima non accetteremo le condizioni dei cosiddetti “aiuti”.
Dico solo questo: forse l’austerità potrebbe ridimensionare il debito pubblico italiano anche in presenza di tassi reali positivi, ma sarebbe la prima volta nella storia dell’umanità. Non esistono precedenti. Da debiti sovrani di questo tenore gli stati in passato ne sono sempre e solo usciti o con tassi reali negativi che inflazionavano il montante di debito, oppure con dei default. Monti e tecnocrati come lui a capo di governi commissariati da Bruxelles dovrebbero governare fino al 2030, svendere tutti i beni dello stato e fare macelleria sociale, solo per cercare di fare quello che mai nell’umanità è stato possibile realizzare. Sapendo che il probabile finale è questo vale la pena rischiare di vendere il benessere dei cittadini e disfarci di tutta la “gioielleria” nazionale, quella che mai e poi mai sarà possibile far tornare nelle mani statali?
Ripeto non ho detto che sia impossibile e che l’Italia debba fallire, in passato non è mai capitato forse perché non esistevano i media capaci di fare il lavaggio del cervello ai cittadini di uno stato, inculcando loro il terrore del dio dei mercati finanziari e dello spread, ragione per cui se un governatore, fosse anche stato un tiranno, avesse provato a spogliare tutta la ricchezza dei cittadini al servizio di un debito gravato da tassi usurari, lo avrebbero certamente fermato, ci sarebbe stato un colpo di stato! Reputo però che sia maggiormente probabile che l’austerità non risolva il problema del debito bensì lo aggravi, questo perché l’austerità produce benefici immediati al rapporto debito/PIL ma danni allo stesso rapporto nel medio termine, danni che si autoalimentano in un effetto a cascata tale per cui l’austerità
potrebbe avere successo solo se fatta tutta in una volta, il che però sarebbe un colpo di grazia difficile da far digerire all’opinione pubblica (il lavaggio del cervello fatto sinora è ancora insufficiente).
Perché il dramma dell’austerità è che essa riduce sia il debito sia il PIL, quindi riducendo sia il numeratore che il denominatore del rapporto debito/Pil il risultato è sempre al di sotto delle aspettative, spesso è positivo nell’immediato, nullo nel medio termine (meno di 1 anno), addirittura negativo su archi di più anni (vedi la Grecia), quando gli effetti collaterali deleteri si auto-alimentano in una spirale vorticosa (quella che cercherò di spiegarvi in seguito). La Grecia ha percorso tutto questo iter drammatico solo per alla fine aver peggiorato le cose, sarebbe già stata fatta uscire se non vi fosse la paura che il precedente creato spalancasse le porte anche all’Italia ed alla Spagna, i PIIGS che ancora non sono stati spolpati a sufficienza dai lupi famelici dei mercati finanziari.
Noi Italiani non abbiamo ancora neppure iniziato a comprendere cosa il circolo vizioso dell’austerità significhi, ma già abbiamo avuto la prova che nel medio periodo, cioè dopo un anno circa di governo Monti, gli effetti siano nulli come vi dicevo prima. O forse non vi hanno detto che il debito pubblico italiano è ancora sui massimi sia in termini assoluti, sia in termini di percentuale del PIL? Proviamo a percorrere allora il futuro che ci attende se questa ricetta avvelenata dell’austerità sarà propinata al Paese. Facciamo un passo indietro e ripercorriamo la strada dall’inizio.
Tutto inizia con lo stato che aumenta le tasse e riduce la spesa pubblica anche nei settori vitali (non potrebbe essere altrimenti, perché sono la maggioranza del bilancio statale) o forse soprattutto in quelli, poiché i settori parassitari come la politica e le sue auto blu difficilmente si mettono mai a tagliare il proprio set di privilegi e benefit (almeno finché non iniziano a temere la gente con i forconi sotto il Parlamento). Questo significa minori stipendi e meno dipendenti pubblici nelle scuole, ospedali, caserme, tribunali, carceri, eccetera, con disagio e disservizi crescenti. I sindacati degli agenti iniziano a già oggi a dire che non potranno più garantire la sicurezza e la lotta alla criminalità, le guardie penitenziarie a volte si suicidano come fanno i carcerati stessi, lo sapevate questo? Ma meno dipendenti con minori salari (non per via dell’inflazione, che si nota poco, ma di riduzioni nominali, che sono psicologicamente più preoccupanti) significa minori consumi, così anche commercianti, artigiani, albergatori, venditori di case, eccetera lavorano meno e guadagnano due volte meno, perché c’è anche l’aumento delle tasse. Se commercianti, artigiani, industriali, costruttori di case, ecc., guadagnano meno, alcuni di loro che erano già marginalmente profittevoli vanno in perdita e chiudono, quindi licenziano i dipendenti, mentre gli altri riducono a loro volta il personale, quindi aumenta il numero dei disoccupati e di chi consuma meno. Ma questo da un ulteriore giro di vite all’economia, scende ulteriormente il PIL (così che il rapporto debito/PIL sale), si devono aumentare le tasse su redditi/consumi/patrimoni/case, calano ancora di più i consumi, aumenta ancora di più la propensione al risparmio (da parte di chi può permetterselo) per paura della crisi, chiudono ancora più aziende, calano ancora più gli utili, aumentano ancora più i licenziamenti, la spesa statale in sussidi alla disoccupazione sale mangiandosi i benefici dei tagli sanguinosi appena effettuati e degli odiosi aumenti delle tasse, questo da un ennesimo giro di vite all’economia, scende ancora di più il PIL (così che il rapporto debito/PIL sale ancora di più), calano ancora di più i consumi, aumenta ancora di più la propensione al risparmio (da parte di chi può permetterselo) per paura della crisi, chiudono ancora più aziende, calano ancora più gli utili, aumentano ancora più i licenziamenti, la spesa statale in sussidi alla disoccupazione sale mangiandosi i benefici dei tagli sanguinosi appena effettuati e degli odiosi aumenti delle tasse, ecc. Capite il meccanismo del circolo vizioso dell’austerità?
Ripetendo questo circolo vizioso più volte (oggi siamo ancora agli stadi iniziali, altro che fine della crisi che siavvicina) si arriva al punto di non ritorno, quello che per nostra fortuna deve ancora arrivare, che è ancora possibile evitare. E’ quando lo stato decide di (s)vendere tutto quello che può svendersi, di modo che non avrà più nessuna riserva cui attingere quando si sarà toccato il fondo. Ma attenzione però: perché tutto quello che può svendersi nelle migliori ipotesi formulate arriva a 400 miliardi, cioè un quinto del debito pubblico, che resterebbe attorno al 100% del PIL e sul quale continuerebbero a mio avviso a gravare interessi usurari nonostante il calo del 20%, perché i creditori sanno che il debito è calato del 20%, ma è calata anche la capacità del debitore, che dopo essersi venduto l’argenteria non ha più nulla da offrire a parte il sangue dei suoi figli! Ma nel frattempo sono calati il PIL, il rapporto debito/PIL potrebbe essere cresciuto e di molto oltre il livello di partenza, per cui non è detto che tutto questo svendere non faccia che riportarci al solo punto di partenza (quello cui siamo già tornati diverse volte nonostante l’austerità sanguinosa fatta sinora).
Gli operatori dei mercati finanziari saranno rapaci e famelici finché si vuole ma son gente scaltra, mica dei fessacchiotti, si chiedono quanto può durare il gioco, capiscono che sia prima che dopo la (s)vendita di beni dello stato la solvibilità resta la stessa, quanto più annusano il rischio che l’Italia non possa onorare il suo debito, tanto più scommettono al ribasso. Poi ci sono gli investitori istituzionali stranieri, i fondi pensione e gli hedge fund americani che si domandano: “Fino a che punto gli Italiani (e gli Spagnoli) sono così ingenui da lasciarsi fregare da questo euro-sistema, prima o poi lo capiranno o no che la Germania ha mangiato un grosso pezzo del loro PIL, delle loro esportazioni? Che si finanzia a interessi reali negativi a furia di ricevere i capitali che fuggono dai BTP italiani e fanno salire i prezzi e calare a zero i rendimenti dei Bund? Qui in America lo abbiamo capito già da un pezzo! Nonostante il lavaggio del cervello che i loro opinion leader venduti e traditori oppure ignoranti fanno loro, prima o poi l’opinione pubblica potrebbe pure mangiare la foglia, al che salterà fuori un movimento di popolo che guiderà il paese fuori dall’euro, ed i titoli di stato italiani verranno convertiti in lire che dal cambio iniziale si svaluteranno di un 25-35%, vogliamo non tenerne conto di questo rischio sui titoli italiani che abbiamo in portafoglio?” Sì che ne tengono conto! Ed allora un motivo in più per vendere i BTP, il che fa prezzare al ribasso i titoli e fa lievitare ulteriormente gli interessi sul debito italiano, almeno fino al punto che il rendimento offra un adeguato premio per questo rischio percepito, a torto o a ragione (io spero a ragione). Una volta che gli interessi salgono il debito pubblico non subisce subito il colpo, solo i titoli che scadono e debbono venire rinnovati a scadenza si allineano al tasso usurario (per fortuna sui titoli già emessi l’effetto è assente, il che ci da un po’ più di tempo, e stranamente l’effetto non si manifesta ancora sui BOT e i titoli più brevi). Mentre gli speculatori speculano e gli investitori istituzionali riducono l’esposizione all’Italia nei loro portafogli, i risparmiatori italiani, che per forza debbono assorbire lo stock smobilizzato dagli stranieri (già calato dal 50 al 40% del totale, cioè di 200 miliardi di euro), si interrogano perplessi. Vedono questo maledetto spread che danza come un indemoniato e riceve le prime pagine di tutti i giornali e telegiornali, vedono i loro BTP a prezzi stracciati, si ricordano la fine che hanno fatto i titoli greci dopo che hanno iniziato a crollare, nonostante i rating delle agenzie ancora soddisfacenti e le rassicurazioni dei tecnocrati europei. Ad un certo punto inizieranno ad avere i nervi a pezzi, sanno che possono fidarsi delle informazioni date dai media e dei commenti ottimistici dei tecnici tanto quanto Gesù Cristo poteva fidarsi di Giuda l’Iscariota. Cominciano a sentire di connazionali che hanno esportato i soldi fuori confine (cosa che è perfettamente fattibile in maniera legale per giunta!) e preferiranno non comperare più altri BTP se non addirittura vendere quelli che già hanno. Che lo facciano loro o gli speculatori non ha importanza: in entrambi i casi l’effetto è la discesa del prezzo e l’aumento del rendimento e quindi del costo del nostro debito. Ma quando non ci sono più abbastanza Italiani a voler subentrare agli istituzionali e agli speculatori che succede? Il debito a qualcuno lo si deve piazzare, i rendimenti possono salire e rendere i titoli più attraenti solo fino ad un certo punto, oltre il quale diventano sinonimo di rischio inaccettabile (chiunque comprende che proprio quel livello di interesse rende il debito non più ripagabile) e generano un rigetto totale da parte di tutti i soggetti, stranieri e italiani (o forse voi comprereste titoli di stato greci solo perché rendono il 25%?). Allora cosa succede? Succede che arrivano i compratori che non rischiano di vedersi disonorati i loro crediti, poiché assegnatari di “privilegio” su tutti gli altri creditori (come noi BOT-people qualunque!), la banca Centrale Europea e il Fondo Monetario Internazionale. Essi arrivano a mettono sul piatto degli “aiuti”. Non importa che la BCE debba solo digitare dei numeri a schermo per creare miliardi senza nessuno sforzo. Non importa che possa accaparrarsi titoli con tassi di interesse elevati (anche se meno di quelli usurari cui è arrivato il mercato non più ricettivo degli stessi) e non giustificati dal fatto che a lei nessuno può rifiutare di pagare il 100% dei prestiti erogati. Non importa che per il solo fatto che essa è intervenuta tutti gli altri titoli di stato, presenti e futuri, privi del suo “privilegio”, divengano automaticamente obbligazioni subordinate ed il merito di credito della nazione resti irrimediabilmente compromesso.
No, tutto questo non basta, la Banca centrale Europea (ed il FMI) per erogare i loro “aiuti” pongono severissime condizioni: che non si facciano sconti sul pagamento al 100% del valore nominale dei debiti in scadenza (anche se magari i fondi avvoltoio li hanno appena comprati a 80), che si vada a fare quella macelleria sociale che finora la classe politica, forte di tutti i suoi privilegi, non aveva osato imporre ai cittadini (temendo che le scorte non possano più salvarli dai linciaggi), mentre ora potrà farlo dicendo che è la BCE che li impone (ammettendo quindi che la sovranità nazionale ce la siamo già bella che giocata!), che si vada a svendere quello che ancora non si aveva avuto la faccia di tosta di svendere, partecipazioni statali più strategiche, immobili del demanio in uso allo stato (su cui dover in futuro pagare un affitto quindi), gli ultimi lingotti d’oro, tutto questo in un mercato azionario ed in un mercato immobiliare italiani che a fronte di tali svendite si incancreniscono ancora di più, che si vadano a licenziare o ridurre gli stipendi ai dipendenti pubblici, dipendenti che dovrebbero provvedere al funzionamento di quei servizi pubblici che già sono stati colpiti esageratamente prima e sono al collasso.

Ma insieme al debito le misure di iper-austerità imposte dalla BCE indovinate cosa
fanno? Fanno crollare anche il PIL, i consumi, il circolo vizioso che ho elencato prima continua ad inasprirsi in una spirale sempre più veloce. Ora però la situazione diviene fuori-controllo, aggiungiamo altri elementi al quadro già raccapricciante: i maggiori disoccupati significano meno entrate per il fisco (i disoccupati pagano meno tasse), più manodopera per la criminalità organizzata e non, più lavoro nero, più carcerati, più spesa pubblica per mantenere carcerati e cassintegrati. Le manifestazioni di piazza pacifiche iniziano a diventare tumulti, i tg stranieri ne parlano mostrando le immagini e danneggiando gravemente il turismo. I disoccupati cominciano ad emigrare, i cervelli e gli imprenditori iniziano a fuggire, i capitali pure. Le aziende che pure sopravvivono, quelle di eccellenza e che esportano e fanno fatturato all’estero, che per fortuna pure esistono, quelle che potrebbero continuare ad investire, preferiscono non farlo perché è venuta a mancare la sicurezza del futuro e l’accesso al credito, si limitano a sopravvivere. La maggioranza delle aziende che invece già sopravvivevano prima, che ha clienti qui in Italia che non fanno ordini o che non onorano i pagamenti, iniziano a cadere come mosche. Dopo che gli imprenditori han dato fondo a tutte le riserve accantonate in una vita, le banche al collasso di certo non possono aumentare il credito nemmeno se vengono finanziate perché lo facciano, perché non possono sostenere il rischio di controparte dato che hanno già accumulato eccessive perdite per via del deprezzamento dei titoli italiani che detenevano in portafoglio, semmai fanno il contrario, richiamano i debitori. Quando le aziende alla frutta non falliscono è perché magari si sono lasciate aiutare da nuovi soci che apportano denaro fresco di provenienza criminale, così che la malavita entra prepotentemente nel tessuto economico sano (prima) del Paese, oppure le aziende si fanno prestare denaro dagli usurai con il risultato finale che i prestasoldi anziché soci ingombranti diventano direttamente i nuovi proprietari nella maggioranza del casi (mentre le forze dell’ordine hanno sempre meno risorse per combattere la mafia, l’usura ed i criminali comuni). Minore accesso al credito, presso le banche in crisi e timorose di prestare soldi a famiglie già indebitate fino all’osso o a lavoratori su cui gravano rischi di perdita del posto, significa pure meno mutui, quindi minori acquisti di case, i costruttori immobiliari altamente indebitati cominciano a fallire, i loro immobili e le case ipotecate dalle banche ai mutuatari insolventi aumentano l’offerta in un mercato immobiliare dove si è già contratta la domanda, mentre lo stato da parte sua aggrava il problema svendendo il demanio. Risultato? Crollo dei prezzi degli immobili, gli Italiani che hanno nelle case la loro principale fonte di ricchezza si impoveriscono anche su questo fronte, non che coi BTP e le azioni italiane intanto vada meglio. L’effetto psicologico del sentirsi più poveri contribuisce alla minore propensione al consumo, un altro elemento ricorrente i cui effetti a cascata già abbiamo esaminato. Il crollo dei prezzi dei beni e dei servizi, dei consumi e della quantità di moneta in circolazione presto o tardi si traducono in una brutta bestia economica chiamata deflazione, che non fa che accrescere il valore reale del debito e degli interessi. La situazione arriva al punto che aumentano i suicidi per motivi economici e i gesti eclatanti.
I lavoratori iniziano ad essere disperati, piuttosto di licenziarne metà per salvare la
produzione, alcune industrie preferiscono fuggire dal Paese o chiudere i battenti. Si inizia a vedere cittadini molto arrabbiati che si danno al terrorismo, i disperati che non hanno nulla da perdere sono pericolosi: anche la gente lobotomizzata dalla TV quando inizia ad avere davvero fame diventa cattiva. E’ la fine, è il collasso. Ok, adesso potete uscire dall’euro ci diranno. L’hanno già pure detto alla Grecia che è in quella fase terminale, ora che gli ospedali greci non passano più neppure i farmaci antitumorali. L’Italia non vuole rispettare le condizioni a cui l’abbiamo aiutata? Che vada pure per la sua strada, tanto ora che l’abbiamo spolpata fino alle ossa e l’abbiamo quasi del tutto deindustrializzata e resa innocua come competitrice industriale, non abbiamo più nulla da guadagnare che stia nell’euro.
Ma sarà troppo tardi, l’Italia che esce dall’euro nel 2015 o nel 2018 non sarà più quella che abbiamo conosciuto. Tutto il nostro tessuto industriale con i suoi posti di lavoro ormai si sarà consumato e il fatturato trasferito a nord o ad est. I nostri migliori cervelli ed imprenditori saranno espatriati, molti giovani emigrati. Una generazione di giovani coppie disperate non metteranno più alla luce dei figli, si porrà il seme di un pesantissimo calo demografico che imploderà quando le generazioni adulte invecchieranno, non più compensato dai flussi di immigrati che diverranno negativi. A questo punto uscire dall’euro non potrebbe più creare alcun beneficio, anzi vedendo la situazione disperata anche dopo esserne usciti magari qualche faccia tosta dirà che l’Italia o la Grecia hanno fatto quella fine proprio perché sono usciti dall’euro (per far paura alla Francia o agli altri “nuovi PIIGS” che saranno le nuove vittime dell’Unione Monetaria con la Germania: perché l’euro, proprio come Hitler, non si accontenterà certo di conquistare solo mezza Euro-zona!). E per questo che dobbiamo agire ora. Dobbiamo pretendere un referendum contro l’euro in Italia e lo dobbiamo vincere.
Cosa ci attenderebbe invece se evitassimo tutto questo ed uscissimo al più presto dall’unione monetaria, per restare in Europa come altri stati a moneta sovrana quali la Gran Bretagna o la Svezia?
Riprendete fiato che ora ve lo spiego.
Cosa accadrebbe se l’Italia uscisse dall’euro (al più presto)?
Ora è il momento di passare al messaggio di speranza, per non sembrare solo una Cassandra. I vantaggi sarebbero significativi, ma non illudiamoci, uscire dall’euro non sarà la stessa cosa che non esserci mai entrati, se uscissimo dall’euro avremmo una netta prevalenza di benefici, ma è ovvio che vi sarebbero pure delle contropartite, che dopo esamineremo.
La verità è che uscire dalla moneta unica è uno scenario difficile da ipotizzare, perché non esistono precedenti, nonché per il fatto che una via d’uscita non è stata prevista: per malizia di alcuni e per ignoranza di altri (e voglio sperare che i governanti italiani dell’epoca fossero solo ignoranti), i creatori della moneta unica hanno bruciato il ponte una volta attraversato, nessuno più avrebbe dovuto poter tornare indietro. E così per tornare indietro ora toccherà attraversare un fiume e le sue correnti, bisognerà imparare a nuotare, ci sarà forse anche il rischio di qualche annegamento, ma è sempre meglio questo che mandare tutto l’esercito incontro a morte certa.
Il punto di maggiore criticità è nel fatto che l’Italia dovrà convertire il proprio debito pubblico da euro a nuove lire, al tasso di cambio ufficiale tra euro e nuova lira. E’ chiaro che qualunque sia il tasso di cambio iniziale la nuova moneta italiana (d’ora in poi la lira, per semplicità) verosimilmente si svaluterà verso l’euro, in tempi molto rapidi, di tutta la svalutazione di cui avremmo avuto bisogno nei 10 anni passati, vale a dire un 25-35% secondo le mie stime (ma prendetele con beneficio d’inventario, è una proiezione “a naso”, non basata su dati precisi). I creditori, specialmente i fondi stranieri, potrebbero considerare questa conversione come un default, ed è difficile pensare a come evitarlo, ma chiaramente non esiste la possibilità di mantenere il debito in euro, altrimenti avremmo perso tutti i benefici dell’uscita dall’euro. E neppure è possibile imporre che le banche e le imprese ed i mutuatari italiani debbano invece onorare i loro impegni in euro. La difficile soluzione di questo passaggio è il nodo cruciale. A mio avviso uno stato sovrano a moneta sovrana può fare ciò che vuole, lo dico ormai quasi con nostalgia, perché oggi non è più così, oggi il popolo è sovrano di decidere chi mandare a fare i compiti che Bruxelles, la BCE ed il dio dei mercati finanziari hanno scritto. Se poi il dio dei mercati finanziari invia il suo golem, lo spread, a terrorizzarci, allora siamo pure pronti ad accettare che i compiti vengano fatti direttamente da dei tecnici nemmeno eletti da noi. Forse il ripristino della democrazia, dove è la maggioranza degli Italiani a governare, è di per sé il maggiore beneficio di uscire dall’euro.
Ma torniamo alle cose pratiche e lasciamo pure da parte gli ideali astratti (democrazia? Sovranità popolare? Interessano ancora a qualcuno?).
Dicevamo, uno stato sovrano a moneta sovrana può fare ciò che vuole, può fare un default senza chiedere il permesso a nessuno (se non al 50,1% dei suoi cittadini) ed a maggior ragione può convertire nella nuova moneta anche il debito pre-esistente, dopo tutto questa montagna di debito una volta era in lire ed è stato convertito in euro (facendo un bel regalo ai detentori di BTP di allora), perché non si dovrebbe poter fare lo stesso al contrario? Al limite è persino possibile di pensare a offrire un indennizzo pari ad una parte della perdita iniziale della lira contro l’euro. Quel 25-35% di svalutazione che dicevo prima, una perdita che è facile immaginare si realizzerà nell’immediato, chiaramente colpendo i creditori dello stato (eppure sempre meglio di un default). Ad esempio si potrebbe utilizzare come tasso di conversione tra euro e nuova lira non quello del primo giorno dopo la nascita della nostra nuova moneta sovrana, ma quello di un mese dopo, purché il debito finale sia tutto in valuta sovrana.
Nessuno stato a moneta sovrana con cambio libero di fluttuare (e con debito pubblico denominato in tale moneta sovrana) per quanto grande fosse quel debito, è infatti mai fallito. Una volta che si ha la Banca d’Italia che fa da compratore di ultima istanza (cioè il suo lavoro), è facilmente neutralizzabile qualunque livello di debito ed è facilmente neutralizzabile il livello di interesse reale da pagare, cioè il costo di quel debito.
Una volta che il tasso di interesse viene portato ad un livello reale nullo o addirittura negativo (non è un tabù: lo stanno facendo in questo momento quasi tutte le nazioni occidentali fuori dall’euro, dagli USA alla Gran Bretagna), esso non rappresenta più un problema per uno stato che riesce a trovare il pareggio di bilancio (e noi siamo ormai bravissimi in questo), perché i nuovi interessi fanno salire il montante del debito di quanto l’inflazione lo fa scendere, si può anche avere oltre il 200% di debito su PIL come ha il Giappone senza che questo sia un problema. Ma è chiaro che la Banca d’Italia dovrà fare il suo dovere di controllare che i tassi di interessi stiano sulla curva desiderata (un po’ sotto l’inflazione i BOT, un po’ al di sopra i BTP più lunghi), e che lo Stato non si sogni di poter fare chissà quali pesanti deficit ora che si può monetizzare il debito, per non incorrere in un eccessiva inflazione. Si potrà fare maggiore spesa pubblica nei momenti di contrazione del PIL e austerità nei momenti di surriscaldamento dell’economia, la politica economica di uno stato deve bilanciare il ciclo economico, non aggravarne gli estremi come accade ora.
Voi ci pensate a quante cose in più si potrebbero fare se non si dovesse bruciare un 5% annuo di PIL per pagare interessi reali sul debito usurari e li si potesse invece destinare a far crescere l’economia italiana, ad esempio riducendo l’imposizione fiscale? E ci pensate a cosa potrebbero tornare ad essere le aziende italiane in seguito ad una forte svalutazione (competitiva)? L’Italia potrebbe tornare ad essere quella che era prima dell’avvento dell’euro, speriamo solo con qualche vizio in meno e qualche virtù in più. Purtroppo una volta che saranno stati licenziati i tecnici dell’austerità c’è il rischio che torni la classe politica degli spreconi (a meno che oggi l’opinione pubblica abbia imparato ad essere un elettorato meno indulgente verso certi comportamenti).
Ma anche con la corruzione e le ruberie (che comunque ci sono e ci saranno sempre, anche con l’euro), con il familismo e le raccomandazioni, con gli imprenditori evasori e gli immobiliaristi furbetti, l’Italia prima dell’euro era la settima potenza economica mondiale, un Paese a benessere diffuso. Era un Paese che cresceva, dove molti artigiani, commercianti e industriali prosperavano e creavano ricchezza che in larga parte veniva redistribuita. Purtroppo nel frattempo un pezzetto del tessuto industriale è stato smantellato e trasferito in Nord Europa o in Asia, ma potremo salvare ciò che è rimasto e da lì tornare a crescere.
Riducendo la tassazione inaccettabile che è resa oggi obbligatoria per bruciare il 5% del PIL in interessi reali usurari, si potrebbe far tornare la voglia di intraprendere agli italiani (ovvio che andrebbe anche messo mano alla troppa burocrazia, posti dei limiti agli effetti della globalizzazione e via dicendo, uscire dall’euro non è la bacchetta magica che da sola fa i miracoli, ma di certo aiuta, è un buon primo passo nella direzione giusta).
Quando c’era la lira gliela facevamo vedere noi ai crucchi, pur con i nostri punti di debolezza, è stato solo dopo che ci siamo messi a competere ad armi pari con chi era più forte (o supportato da uno stato più sinergico e meno oppressivo, dotato di migliori infrastrutture, ecc.) che loro si sono mangiati un 20% delle nostre esportazioni e della nostra produzione industriale. Hanno dimostrato di essere più forti, bravi, avete vinto! Ma che gusto c’è a continuare a giocare ad armi pari ora che abbiamo visto il vincitore nella moneta comune? Se dovessimo continuare a giocare insieme è chiaro che dovrebbero essere stabilite regole per pareggiare il livello, regole solidaristiche come quelle che ci sono tra le diverse regioni di uno stesso stato. Sappiamo già fin troppo bene che nessun cittadino tedesco o finlandese sarebbe favorevole con qualsiasi genere di solidarietà, nel Nord-Europa lo spirito di fratellanza coi Paesi mediterranei è pari a quello che sente un membro del Ku Klux Klan con un afro-americano. Ed allora che ognuno giochi con le sue regole! Anche Lombardia e Calabria non potrebbero competere ad armi pari se fossero indipendenti economicamente, possono stare nella stessa moneta solo su base di una fiscalità solidaristica che re-distribuisca entrate ed uscite, ma la Germania ci ha fatto comprendere a chiare lettere che loro non vogliono assolutamente la solidarietà (e in parte li posso pure capire, noi ce ne approfitteremmo), neppure se si tratta di creare uno scudo anti-spread che miri ad ottenere un tetto ai maggiori interessi sul nostro debito rispetto al loro! In termini assoluti il debito pubblico italiano e quello tedesco sono simili, ma se li rinnovassimo ai tassi di oggi noi pagheremmo 5 o 10 volte più interessi di loro! A loro questo sta bene, anzi avere il debito finanziato indirettamente da noi (sono i capitali in fuga da titoli italiani e spagnoli alla ricerca di un porto sicuro e liquido in euro, che schiacciano i loro rendimenti a zero mentre fanno schizzare i nostri al 6%), che così ci sobbarchiamo pure qualche decina di miliardi di interessi che altrimenti pagherebbero loro, è per loro il massimo della vita! Sono meccanismi di mercato perversi che rubano ai poveri per dare ai ricchi, che anziché ringraziare (ad esempio permettendo che lo scudo anti-spread limiti questa vergogna ad un certo livello massimo) pretendono ancora di farci delle lezioni! Figuriamoci se può esserci solidarietà se questi addirittura pretendono che gliela facciamo noi a loro la
beneficienza! Questa è solidarietà al contrario, aggiunge il danno alla beffa. Ma è possibile che neppure questo sia sufficiente a farci rompere gli indugi e scappare dalla moneta unica?
Ben venga l’assenza di solidarietà, non ne abbiamo bisogno, se ci avesse fatto stare nell’euro ci avrebbe causato più male che bene, che si proceda ciascuno sulla propria strada!
Per certo non ci dovremo continuare a dissanguare per donare il sangue a loro che non ne hanno bisogno alcuno!
Fuori dall’euro non occorrerà molto tempo prima che l’effetto della prevedibile svalutazione della lira si traduca in recuperata competitività delle nostre imprese ai danni di quelle tedesche. loro resteranno più forti di noi economicamente, ma almeno Mi è stato domandato da un interlocutore: “perché mai i nostri imprenditori debbono essere aiutati da una svalutazione competitiva per competere con i colleghi tedeschi, abbiamo degli imprenditori di serie B che non riescono a competere alla pari?”. L’Italia ha molte cose di serie B rispetto al Nord Europa, non lo nego, ma se una cosa che è il vanto dell’Italia è lo spirito imprenditoriale dei suoi cittadini (sopravvive persino ora, dopo che tanto è stato fatto per corromperlo). Il problema è che i nostri imprenditori non stanno competendo ad armi pari nell’euro! Rispetto alle imprese nord-europee devono affrontare tutta una serie di svantaggi (cui dopo l’uscita dall’euro, dovremo anche occuparci):
1. infrastrutture meno efficienti e capillari;
2. maggiore costo per l’energia;
3. maggiore cuneo fiscale;
4. minore accesso al credito ed a costi più proibitivi (anche in caso di emissione di obbligazioni);
5. maggiori costi in termini di tempo e di soldi per la burocrazia;
6. giustizia molto lenta nel risolvere i contenziosi;
7. maggiori costi per via del racket e della corruzione;
8. concorrenza sleale da parte di imprese controllate dalla malavita organizzata;
9. tempi di pagamento da parte della Pubblica Amministrazione interminabili;
10. e soprattutto dover fare i conti con un mercato interno i cui consumi crollano!
E’ già un miracolo che con la sola svalutazione competitiva i nostri eroi fossero capaci di compensare tutti questi svantaggi e fare dell’Italia la potenza che era diventata nell’era della lira!
Occorre che uno spread si possa manifestare tra valute libere di fluttuare, per poter equilibrare le cose. Altrimenti esso si manifesterà altrove, nel diverso costo del debito pubblico, ma anche nello spread tra crescita di un Paese a spese dell’altro in termini di PIL, produzione industriale ed esportazioni. Quel che è peggio, oltre tutto, è che oltre a non poter fare la svalutazione competitiva, l’Italia debba averla subita da tutte le altre nazioni fuori dall’euro-zona e debba continuare verosimilmente a subirla fino a che l’euro resterà la moneta tedesca! Perché tranne il franco svizzero più o meno tutte le altre valute si sono via via svalutate verso il maledetto euro. Come il caso emblematico della Corea del Sud. Nell’epoca dell’euro la sua economia è sbocciata, il suo Pil è cresciuto molto rispetto al nostro, la borsa coreana è prova di questo come dimostra la crescita della sua borsa pari al 400% mentre quella italiana perdeva il 20%. Secondo voi il won coreano, la valuta di questo miracolo economico, di quanto si sarà apprezzato verso l’euro “italiano”?
Ebbene, non si è apprezzata affatto, anzi se nel 2000 un euro comperava meno di 1000 won oggi ne vale ben 1400! E svalutazioni di questo medesimo ordine di grandezza ci sono piovute addosso da quasi tutte le altre nazioni a valuta sovrana al mondo!
Liberata l’economia dalla morsa dell’euro, potremo rinascere. Liberata l’economia dal crollo dei consumi che esso comporta, dalla svalutazione competitiva di quasi tutte le altre nazioni contro la nostra valuta, dalle vessazioni fiscali di uno stato che strangola le proprie aziende, tanto quanto i propri cittadini, per onorare interessi usurari sul proprio debito pubblico. Liberata l’economia dalle vessazioni dei mercati finanziari non neutralizzati da una Banca Centrale che faccia il suo mestiere.
Liberata l’economia da tutti questi fattori che l’euro rende inevitabili, le nostre industrie e aziende, o quello che ne sarà rimasto, riprenderanno ad essere competitive, a crescere, a creare occupazione.
Sarà un nuovo inizio.
Fuori dall’euro l’Italia può rinascere.


Fonte: sovranidade. org tratto da frontediliberazionedaibanchieri.it



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