Padroni del mondo: la mappa del super-potere invisibile
Conflitto di interessi per Mario Draghi, presidente della Bce e al tempo stesso esponente di punta del “Group of 30”, la super-lobby planetaria con sede a Washington che mira a condizionare le legislazioni a favore degli interessi delle grandi corporation, le multinazionali globalizzate e i colossi finanziari speculativi, registi occulti della grande crisi. Spesso abbreviato in G30, scrive Checchino Antonini nel blog “Il Megafono Quotidiano”, il super-gruppo si definisce un organismo internazionale di finanzieri, leader e accademici che mira ad “approfondire la comprensione” delle questioni economiche e finanziarie e ad “esaminare le conseguenze delle decisioni” prese nei settori pubblici e privati. Il clan è composto di 30 membri e comprende i capi delle principali banche private nonché delle maggiori banche centrali, così come illustri membri del mondo accademico e delle istituzioni internazionali.
Il G30, aggiunge Antonini, tiene due riunioni plenarie ogni anno e organizza anche seminari, convegni, e gruppi di studio. Fondato nel 1978 da Geoffrey Campana su iniziativa della Fondazione Rockefeller, sua sostenitrice finanziaria fin dall’inizio, ha avuto come primo presidente Johannes Witteveen, ex direttore di gestione del Fmi, il Fondo monetario internazionale. Oggi il “Group of 30” è presieduto nientemeno che da Jean-Claude Trichet, predecessore di Draghi a Francoforte. Sempre gli stessi i nomi che ricorrono nelle super-lobby internazionali: lo stesso Rockefeller, cinque anni prima, aveva fondato la Trilateral Commission, nome che deriva dalle tre aree a maggior sviluppo capitalistico (Nord America, Europa e Asia-Pacifico). Ognuna delle tre aree ha un suo presidente: per l’Europa è stato Mario Monti, finché non è divenuto premier. A sostituirlo ha provveduto l’onnipresente Trichet, mentre l’attuale referente italiano della Trilaterale è l’ex rettore della Bocconi, Carlo Secchi.
Della Commissione, strettamente collegata al G30 ma decisamente più affollata, fanno parte circa 400 persone: banchieri, politici, editori, giornalisti e accademici. Dato il profilo anche istituzionale (ex capi di Stato e di governo) l’organismo planetario si presenta in una veste quasi “ufficiale”, ma vi si entra solo su invito. La Trilateral Commission – aggiunge Antonini – è considerata una filiazione diretta del Gruppo Bilderberg, di cui condivide membri e ideologia. «Il nome, stavolta, deriva dall’albergo in cui s’è riunito la prima volta nel ‘54, l’hotel Bilderberg di Oosterbeek, per iniziativa del principe Bernardo d’Olanda». Il Bilderberg è «la più ristretta, esclusiva e segreta delle società (o sette) “internazionaliste”». E’ governato da un comitato esecutivo di cui fanno parte circa 30 persone, rielette ogni quattro anni, tra le quali per l’Italia lo stesso Monti e Franco Bernabè.
«Il Gruppo – continua il “Megafono Quotidiano” – si riunisce una volta l’anno in località esclusive e hotel di lusso, protetto da guardie armate che non fanno avvicinare nessuno, tantomeno la stampa». Le date e i luoghi sono segreti e chi vi è invitato ha l’obbligo della riservatezza, pena l’esclusione. Tra i nomi italiani l’ex ministro Giulio Tremonti, John Elkann (gruppo Fiat), Paolo Scaroni dell’Eni e, prima di loro, l’ex ministro prodiano Tommaso Padoa-Schioppa, super-tecnocrate di alto rango, tra i massimi padrini dell’euro. «Alcuni credono che facciamo parte di una cabala segreta che manovra contro gli interessi degli Stati Uniti», scriveva nelle sue memorie David Rockefeller, consapevole dei sospetti di “internazionalismo”. Ovvero: «Cospirare con altri nel mondo per costruire una struttura politica ed economica integrata – un nuovo mondo, se volete». Il miliardario più famoso del globo non si lasciava certo intimorire: «Se questa è l’accusa, mi dichiaro colpevole e sono orogoglioso di esserlo».
Secondo Rockefeller, gli innocenti “Bilderbergers” sono «in cerca dell’era del post-nazionalismo». E spiegava, a modo suo, che si trattava di contribuire a costruire il “nuovo mondo”, quello in cui «non avremo più paesi, ma piuttosto regioni della Terra circondate da valori universali». Una visione in apparenza filantropica, in realtà fondata su «un’economia globale» guidata da «un governo mondiale». Attenzione: un governo «selezionato, piuttosto che eletto», e naturalmente illuminato da «una religione universale». Per raggiungere questi obiettivi egemonici, ammantati dalla luce sublime dell’amore universale, i “Bilderbergers” si concentrano «su un approccio maggiormente tecnico», meglio ancora “tecnocratico”, e «su una minore consapevolezza da parte del pubblico in generale», scriveva sul “New York Times” un certo William Shannon, ambasciatore in Irlanda per Jimmy Carter e naturalmente membro del Bilderberg. Parola d’ordine, per il “democratico” Shannon: “minore consapevolezza da parte del pubblico in generale”. Ovvero: sistematica manipolazione, preventiva, dell’opinione pubblica occidentale.
Quello dei “Bilderbergers”, scrive ancora Checchino Antonini, è uno sforzo costante contro quelli che vengono definiti, testualmente, gli «eccessi della democrazia». Alla lettera: troppa trasparenza e troppa condivisione a livello popolare finiscono per costituire un intoppo al libero corso dei buoni affari. Accesso alle informazioni e alla vita pubblica? No, grazie: si prega di non disturbare il manovratore. Le élite mondiali temono che la democrazia possa rallentare il capitalismo globalizzato, con un vero e proprio «sovraccarico del sistema decisionale», che può essere «all’origine della crisi economica». Meglio quindi pilotare gli avvenimenti e fornirne una versione manipolata, ad uso e consumo degli ignari cittadini. Il barone Denis Winstop Healey, due volte ministro britannico a cavallo tra gli anni ‘60 e ‘70, ne era convinto: «Quel che accade nel mondo non avviene per caso; si tratta di eventi fatti succedere, sia che abbiano a che fare con questioni nazionali o commerciali». E attenzione: «La maggioranza di questi eventi – aggiunge il barone Healey – sono inscenati da quelli che maneggiano la finanza».
Le idee e la linea politica che vengono fuori dagli incontri annuali del Gruppo Bilderberg – scrive Daniel Estulin, un giornalista spagnolo che ha scritto un libro molto informato (“The true story of the Bilderberg Group”, TrineDay) – sono poi usati per «creare le notizie di cui si occuperanno le maggiori riviste e i gruppi editoriali del mondo». Lo scopo, aggiunge il reporter iberico, è proprio quello di «dare alle opinioni prevalenti dei “Bilderbergers” una certa attrattiva, per poterle poi trasformare in politiche attuabili». Altro obiettivo dichiarato: «Far pressione sui capi di Stato mondiali per sottometterli alle “esigenze dei padroni del mondo”». Sottomissione, padroni: il dispotismo neo-medievale del Bilderberg, perfettamente consonante con la visione della Trilaterale e del “Gruppo dei 30”, ha bisogno di sostegno quotidiano e propaganda mediatica, per trasformare l’ideologia in verità comunemente accettata. Nessuna illusione: «La cosiddetta “stampa libera mondiale” – conclude Estulin – è alla completa mercè del gruppo e dissemina propaganda da esso concordata».
fonte: libreidee.org
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