Dossier Costa Concordia: "La pista russa e il fantasma della P3"


La copertina del giorna "La voce delle voci"
dedicata all'articolo "La pista russa"
Di seguito pubblichiamo un lungo dossier, redatto da Rita Pennarola, giornalista de "La voce delle voci" che illustra alcuni aspetti poco conosciuti (perché omessi dai mass media tradizionali) della vicenda della 'Costa Concordia',  alcune "stranezze" che sono emerse a seguito dell'incidente, come la testimonianza di Jesus Bethencourt, che nel 2010 era  a bordo (come passeggero in vacanza) della Costa Concordia, capitanata anche allora da Francesco Schettino, e ha raccontato che anche in quell'occasione, la nave si avvicinò in modo eccessivo all'isola, sulla quale vide alcune persone che mediante una torcia che lanciavano segnali; sembrava un'operazione di contrabbando, o qualcosa di simile, che sfumò a causa della presenza della Guardia di Finanza. Una
 situazione che documentò con una macchina fotografica, ma - caso davvero strano - gli fu sequestrata e svuotata della memoria... tuttavia una parte del materiale riuscì a salvarlo. Circostanze davvero strane, come lo è che un capitano dell'esperienza di Schettino si avvicini in modo così incauto all'Isola, senza nessun motivo visto che i passeggeri erano praticamente tutti a cena e che sull'isola non c'era turisti da "salutare" con l'inchino...



Nessuna "pista complottista", con gli "illuminati" che affondano la nave "perché essa rappresenta l'Europa", ma l'ipotesi di un intreccio legato al contrabbando, alla mafia russa e alla P3. Ipotesi illustrate nei particolari. Il dossier è lungo, ed è composto da tre diversi articoli, usciti a breve distanza l'uno dall'altro, che pubblichiamo di seguito.

Staff nocensura.com


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La "pista russa"
di Rita Pennarola - 02/03/2012




C’è qualcosa che non torna nelle ricostruzioni sul naufragio. Quello che il comandante Schettino fin da subito non riesce a spiegare è il motivo, forse inconfessabile, che lo portò quella notte a dirigere la “sua” nave a tutta velocità contro scogli che lui stesso conosceva a memoria. Chi o che cosa lo spinsero a salire in plancia per la manovra “kamikaze”? Smentita clamorosamente la versione dell’“inchino”, vengono a galla fatti e personaggi che conducono tutti in Russia.

Assurdo. Impensabile. Nemmeno immaginabile. Sono solo alcuni dei termini usati nei forumdel personale marittimo italiano, che comprende molti alti ufficiali, per definire quanto è avvenuto in quell’attimo preciso del 13 gennaio scorso, ore 21.40, a bordo del Costa Concordia, la più grande nave da crociera italiana, simbolo di un orgoglio nautico affondato quella tragica notte dinanzi all’isola del Giglio, trascinando con sé negli abissi, oltre alle vittime, le sorti dell’unico comparto nazionale con fatturati e occupazione in rapida ascesa: il settore crocieristico.

Lo sconcerto coglie in particolare i tanti membri del Forum che per anni avevano viaggiato su navi comandate da Francesco Schettino, considerato dalla stampa mondiale l’artefice del disastro, perché, dicono, conosceva il Concordia come le sue tasche e ancor di più il mar Tirreno, casa sua da oltre trent’anni di navigazione.
Il punto, allora, ben oltre le ricostruzioni gossippare che hanno colorito le cronache della tragedia, e anche al di là delle responsabilità successive all’urto, è precisamente questo: cosa può aver indotto il comandante di lungo corso Schettino a salire in plancia, quando la nave aveva già una rotta super-sicura programmata, sostituire la navigazione manuale a quella del pilota automatico e dirigere personalmente la nave contro gli scogli delle Scole, segnalati perfino nelle mappe per villeggianti e che lui stesso conosceva alla perfezione, per aver navigato decine di volte in quelle acque, inchini compresi?
Del resto, è proprio questa l’unica domanda alla quale Schettino non ha mai saputo dare risposte precise fin dal primo, lungo interrogatorio del 17 gennaio. Dinanzi ai PM di Grosseto farfuglia. S’inventa subito la storia dell’inchino, pur sapendo che a smentirla ci sarebbero stati tutti: a cominciare dal comandante Mario Palombo, cui sarebbe stato rivolto il presunto “omaggio”.
Spiega il P.M. Alessandro Leopizzi a Schettino, che aveva appena detto la bugia: «Il comandante Palombo si è detto sorpreso da quell’accostamento perché dal punto di vista turistico, ci racconta Palombo, era privo di senso, nel senso che non era navigazione turistica a gennaio col Giglio praticamente semideserto anche da un punto di vista delle luminarie, mentre invece tutte le altre accostate, quelle regolarmente pianificate dalla compagnia, erano state fatte ad agosto in occasione delle feste patronali
Allora Schettino tira fuori un’altra scusa: fare un piacere al maitre Antonello Tievoli, originario del Giglio: «Era una cortesia - dice - che mi aveva chiesto Antonello e dissi “Va bene, se ci sta il comandante Palombo a terra la facciamo, altrimenti no”». Palombo sull’isola non c’era. Si trovava nella sua casa di Grosseto.
Due giorni dopo il disastro è il padre di Tievoli a smentire categoricamente Schettino: «La nave passa ogni settimana e ogni settimana mio figlio ci avverte, ma non ha mai chiesto di passare così vicino, né lo ha fatto stavolta. Ci mancherebbe. La nave è sempre passata almeno a 400 metri di distanza, questa volta è andata sopra gli scogli. Non credo proprio che il comandante volesse fare un omaggio a mio figlio. Venerdì c’è stato un errore, qualcosa è andato storto.» Già. Ma che cosa?
Nessun omaggio né inchino, ormai è certo, in una notte gelida e buia di gennaio. Per tutti gli aspetti del dopo-incidente (le manovre, le scelte difficili di accostare la nave quanto più possibile alla riva per lo sbarco dei passeggeri), le ricostruzioni del comandante stanno trovando poco a poco conferme. Ma il buco nero resta proprio nei circa 20 minuti che hanno preceduto quel fatale momento: perché Schettino decide di accostare velocemente sotto gli scogli, dichiarando agli inquirenti addirittura di aver visto la scena dell’impatto “a occhio nudo”, dentro una plancia che, come in tutte le grosse navi da crociera, è più attrezzata della cabina di un super jet?
Il motivo, la ragione inconfessabile, quella che il comandante non può spiegare, è sicuramente un’altra. Schettino sa e non parla. Probabilmente, non può. Così come non possono confessarla, quella verità, gli alti ufficiali o le altre persone dell’equipaggio (forse qualcuno fra i quattro indagati del personale di bordo, oltre a Schettino e al suo secondo, Ciro Ambrosio) che ne erano a conoscenza. Tanto da non poter impedire l’accostamento stretto agli scogli del Giglio. Una verità che oggi si sussurra a mezza bocca. C’era qualcuno che doveva calarsi in mare velocemente dalla nave e raggiungere l’isola, o qualcosa da sganciare nell’area marina degli scogli ad essa limitrofi? Schettino - e chi con lui sapeva - furono costretti a quel passaggio azzardato, ma destinato ad andare ben diversamente, senza danni? Da chi fu indotto, e perché?
In un modo o nell’altro, grazie al lavoro tenace degli inquirenti, una verità dovrà venire a galla, senza ombre. Lo si deve a quei 25 morti nel naufragio ed ai sette dispersi accertati ufficialmente. Sempre che non ve ne siano stati altri, di passeggeri a bordo, non dichiarati.

Shaboo a bordo!
La ricostruzione della Voce prende le mosse da alcune circostanze inedite di tutta la vicenda. Particolari che potrebbero condurre molto vicini alle vere ragioni del folle gesto, di quel brusco accostamento di una nave da 117mila tonnellate alla costa rocciosa. Era insomma come se Schettino “dovesse” passare rapidamente in prossimità di quello scoglio, risultato fra l’altro di proprietà privata (come ha svelato il programma Quarto Grado, appartiene all’ultima anziana discendente della famiglia Rossi, gigliese). Per quale ragione? Ed è mai possibile che una “isoletta” accatastata regolarmente non fosse segnalata nelle mappe, come dice Schettino a botta calda ai PM?
Il comandante, è stato accertato dalle perizie, era sobrio e non faceva uso di stupefacenti. Le lievi “contaminazioni” da cocaina rinvenute sui capelli sono risultate “accidentali”. Di quella polvere, a bordo, doveva essercene. E non è una gran novità. Davvero. Perché quattro anni fa, solo quattro anni fa, a bordo del Concordia furono arrestati sette marittimi filippini che utilizzavano i viaggi dell’ammiraglia di casa Costa, soprattutto quelli che facevano scalo in Spagna, per trasportare un micidiale allucinogeno, lo Shaboo. «Le navi da crociera - spiega un ambientalista, Giovanni D’Agata - sono un canale considerato appetibile dai trafficanti di droga, soprattutto quelle che seguono rotte molto vicino alla costa e quindi meno controllate rispetto ai porti».
L’operazione del 2008 era stata condotta dalla polizia marittima di Savona - snodo di quello spaccio clandestino via mare - in collaborazione con la Dea di Miami e con i colleghi spagnoli. Barcellona e dintorni sono infatti diventate un avamposto mondiale per i trafficanti di stupefacenti, come dimostrano, da ultimi, i sequestri a raffica di ingenti capitali e immobili sulla Costa del Sol, a Tenerife o alle Canarie, disposti dalla DDA partenopea ai danni di narcotrafficanti affiliati alla criminalità organizzata campana, in primis i clan dell’area maranese e vesuviana. Traffici - si legge nei più recenti rapporti dell’Antimafia - che in tempi di globalizzazione spinta vengono oggi gestiti su scala internazionale, attraverso “cartelli” comprendenti le sempre più agguerrite e potenti mafie di altri Paesi.


Assalto alla Toscana
Ci arriviamo. E cominciamo ricostruendo alcuni contorni dei luoghi in cui si svolge questo autentico film dell’orrore. Partiamo dalla Toscana, diventata epicentro di traffici illeciti ad opera di numerose organizzazioni criminali. Fra le prime c’è la mafia russa. A dirlo è la Fondazione Antonino Caponnetto della Toscana nel suo Rapporto 2011 sullo stato del crimine organizzato in zona.
Dopo aver dichiarato fin dal titolo che alla data di pubblicazione il fatturato delle mafie in Toscana era pari a 15 miliardi di euro, il dossier si apre, non a caso, col capitolo sulla mafia russa, «che è presente in Toscana da diversi anni», con «zone a maggior rischio che rimangono, oltre alle coste, Forte dei Marmi, l’Isola d’Elba, Montecatini e la città di Firenze». Inoltre, «il recente ingresso in Toscana di società russe assieme alla ricchezza locale, può favorire un indotto criminale gestito dalla mafia russa», che investe prevalentemente «nel settore alberghiero». Così si conclude il capitolo: «Il Rapporto DIA del secondo semestre 2010 conferma la presenza della mafia russa in Toscana, in particolare a Montecatini, e consiglia di seguire l’evoluzione del riciclaggio nel gioco d’azzardo e nelle scommesse clandestine


Roulette russa

L’universo miliardario ruotante intorno al gioco d’azzardo, così come ai business delle slot machine e delle scommesse clandestine: ecco il piatto forte degli affari che i boss dell’ex Unione Sovietica stanno già da tempo gestendo in diverse zone della penisola italiana, accanto all’acquisizione di perle dei patrimoni immobiliari locali, con una particolare predilezione per i colossi alberghieri. Uno scenario in cui tavoli verdi, croupier e scommesse rappresentano il canale ideale per le forme più spinte di riciclaggio che si possano immaginare.
«Sui casinò a bordo delle navi da crociera - spiega un addetto alle sale giochi di una compagnia italiana - si accettano giocate dei passeggeri solo in denaro contante. Tutte banconote “fresche” che arrivano in enorme quantità da varie parti del mondo durante ogni navigazione, con controlli relativamente limitati, specialmente in acque extraterritoriali.»
Per il criminologo Federico Varese, docente a Oxford ed autore del recente “The Russian Mafia”, la presenza di una forte oligarchia di potere intorno a Vladimir Putin ha costretto i mafiosi locali ad estendere il proprio raggio d’azione sull’estero, puntando «prevalentemente su gioco d’azzardo e riciclaggio».
Ma fin dal 2006, quando si cominciò a parlare di un casinò da aprire nella Repubblica di San Marino, lo spettro della mafia russa fece la sua comparsa in grande stile, con tanto di «incontri su misteriosi panfili al largo della costa adriatica», come ricostruiva Il Giornale.
Secondo il rapporto reso a Bruxelles a marzo dello scorso anno dal procuratore generale di Caltanissetta Roberto Scarpinato sulla “organizatsya” o “mafiya”, come la chiamano a Mosca e dintorni, «fonti dello stesso governo russo sostengono che circa il 40% delle imprese private, il 60% di quelle statali, nonché l’85% delle banche russe e il 70% delle attività commerciali sono soggette ad infiltrazioni o comunque sono sotto l’influenza delle organizzazioni criminali e quasi la totalità delle imprese commerciali nelle maggiori città della Russia è gestita direttamente o indirettamente da gruppi criminali».
Sul binomio gioco d’azzardo-mafia russa si sofferma anche il recente rapporto della Commissione parlamentare antimafia. Il presidente Beppe Pisanu accende i riflettori in particolare sul Casinò di Sanremo, che opera in un territorio reso incandescente dagli ultimi scioglimenti per mafia dei comuni limitrofi di Bordighera e Ventimiglia. «La Dia - scrive Pisanu - riferisce di indagini che hanno riguardato il Casinò di Sanremo, nell’ambito delle quali (seppur non vi siano state contestazioni di reati mafiosi) sono state accertate pericolose relazioni tra l’assistente del direttore ed un affiliato al clan camorristico Zaza, collegato a diversi clan operanti in Liguria
Nel mirino anche le slot machine, che riempiono interi saloni sulle navi da crociera. Il rapporto ricorda lo stratosferico debito (90 miliardi di euro) accertato dalla Corte dei Conti ed accumulato da alcune concessionarie che gestiscono in Italia le slot. Fra queste spicca «Atlantis World Giocolegale Ltd, filiale italiana della multinazionale del gioco Atlantis World Nv. (con sede nel paradiso fiscale di Saint Maarten, nei Caraibi), controllata da Francesco Corallo, figlio di Gaetano Corallo, già indiziato di appartenere all’associazione mafiosa catanese capeggiata da Nitto Santapaola (e coinvolto anche nei tentativi di controllo dei casinò di Sanremo e Campione d’Italia)». «Capitali russi ed ex sovietici in genere - conclude Pisanu - hanno garantito acquisti di strutture turistico-alberghiere in Italia ed anche in Liguria».


Domnica è sempre Domnica

Torniamo al disastro o, meglio, a quell’ora circa di navigazione che precedette l’impatto. Sgombrato il campo dai gossip delle prime ore, emergono infatti dettagli sulle qualifiche professionali di Domnica Cermotan, la donna che durante la manovra di “accostamento spinto” all’isola si trovava in zona plancia. La “moldava”, così come da tutti è stata ormai definita benché sia rumena, sotto le mentite spoglie di ballerina ed intrattenitrice, nasconde una preparazione di ferro. Conosce sette lingue ed ha spiegato ai pm che il suo compito era di diramare messaggi agli ospiti russi. È lei, Domnica, che quella sera si trovava a cena nell’esclusivo ristorante Club Concordia. Era al tavolo con Schettino e con un altro personaggio, il cui nome non è ancora stato reso noto. Stando alla testimonianza di una anziana coppia, “il terzo uomo” indossava un’uniforme. Schettino dichiara ai magistrati che con loro a cena c’erano «diversi ufficiali». Ma le foto scattate da una coppia che era al ristorante mostrano solo i tre. I pm hanno inoltre accertato che quella doveva essere una cena importante, visto che il comandante aveva chiesto al suo secondo ufficiale di rallentare la navigazione per farla durare più a lungo.
Cosa dovevano dirsi i tre, nei sessanta minuti e passa che precedettero l’arrivo in plancia di Schettino, “scortato” dalla Cermotan? E quando lei segue il comandante lo fa solo per rispondere a un gentile invito, come è stato scritto, o aveva un compito ben preciso da svolgere, secondo gli accordi suggellati durante l’“ultima cena” con il terzo uomo? Domnica è anche la persona che, subito dopo l’urto, si precipita nella cabina di Schettino per “salvare” il personal computer del comandante. Lo rimetterà nelle sue mani una volta in salvo sull’isola. Poche ore dopo, la mattina del 14 gennaio, un’altra donna lo prenderà in consegna all’Hotel Bahamas del Giglio, dove Schettino si era rifugiato nelle prime ore del mattino. E’ l’avvocato di Costa Crociere, Cristina Porcelli, inviata dalla compagnia al fianco del comandante. Interrogata a Grosseto, la donna nega di aver mai ricevuto il pc. Che però, di fatto, risulta tuttora irreperibile. Quali dati “sensibili” conteneva il computer del capitano? Probabilmente qualcosa che sia lui, sia Domnica, conoscevano bene. Il segreto, forse, di quella cena a tre.


I signori dei rubli
Chi o che cosa doveva arrivare quella notte sull’isola del Giglio? Di quali traffici era diventata avamposto inconsapevole la perla del Tirreno, paradiso dei sub di tutto il mondo? O quello che si doveva lanciare, passando radente lungo le coste dell’isola, era solo un segnale? Sta forse in questi interrogativi l’inconfessabile ragione che costringe Schettino a deviare la rotta, probabilmente con l’appoggio di qualcuno che, come lui, a bordo sapeva.
Così come, in un simile quadro, appare assai meno strana un’altra circostanza sbalorditiva rimasta fino ad ora senza spiegazione: le prime scialuppe che arrivano al Giglio quella notte servono a mettere in salvo esclusivamente tutti i 111 passeggeri di nazionalità russa presenti sulla nave. Mentre tanti si gettano in mare, durante gli attimi di panico che segneranno per sempre la loro vita, nei minuti tragici in cui c’è chi perde la vita intrappolato in cabina o perché cede il suo posto sui mezzi di salvataggio ad anziani e bambini, i signori dei rubli non incontrano difficoltà a trovare posto e a salire tutti insieme sui primi mezzi in partenza. Quasi che qualcuno fra loro, in precedenza, fosse già preparato ad una simile eventualità. Secondo le testimonianze, inoltre, non risultano turbati né particolarmente sconvolti, a differenza di tutti gli altri naufraghi. Cominciano, anzi, a fotografare l’isola da ogni angolatura, compreso lo scafo affondato, quasi fossero turisti “per caso”. Salvo poi costituirsi a fine gennaio (ma solo in 35) nel giudizio contro la Costa Crociere.
E quando tutti gli altri naufraghi trovano rifugi di fortuna grazie all’ospitalità dei gigliesi, i russi «vengono condotti in alberghi di Roma, Milano e Nizza», si legge su Russia Today.


La versione Dubinsky
Intanto, l’ombra di strani personaggi provenienti dal “reame” di Putin, con relativi traffici lungo l’asse Mosca-Toscana, arriva su tutta la vicenda Concordia anche sotto le spoglie di un sedicente funzionario del ministero dei trasporti russo, tale Andrei Dubinsky. Il quale lo scorso 25 gennaio si presenta sull’isola del Giglio a bordo di un panfilo dal nome già di per sé evocativo, 007. “Zero Zero Seven”: così si chiama loyacht dal quale sbarca Dubinsky, accompagnato da quello che sembra essere un suo partner stretto in affari, il fiorentino Marcello Zeppi. Lo stesso che il giorno prima aveva preannunciato via mail al capo della Protezione Civile Franco Gabrielli (fra l’altro ex vertice dei Servizi segreti italiani) il loro arrivo.
La storia di Dubinsky e del suo strano partner in affari, Zeppi, ci riporta incredibilmente a Sorrento, patria del comandante Schettino. E vediamo perché.
Cinquantasei anni, originario del senese, l’intraprendente Zeppi comincia con una piccola impresa che si occupa di pitturazioni e imbianchinaggio degli edifici, la Eco Service con sede a Impruneta, quartier generale di tutte le sue future iniziative. Così nel corso degli anni, mentre Eco Service diversifica - prima nel business delle piastrelle da arredamento, poi nella commercializzazione di apparecchi per le pulizie di aerei e navi - il patron Zeppi si spinge fino ad arrivare, con un salto quadruplo, all’organizzazione di eventi attraverso la SMZ, acronimo di Studio Marcello Zeppi, che lo vede in pista con la giovane russa Tatiana Gribova. E’ lei che nel 2010 si siede alla tavola rotonda sulle “Eccellenze Fiorentine” come rappresentante della Citm srl. Vale a dire la casa costruttrice dello yacht 007 sbarcato al Giglio. Una società che vede Marcello Zeppi come socio fondatore e la stessa Tatiana in veste di liquidatore.
Quanto a Dubinsky, indicato dalla stampa come “misterioso magnate russo”, sul sito della Citm figura in veste di designer delle imbarcazioni. Come si arriva a Sorrento? A bordo degli 007, visto che partner primario della Citm (Centro Internazionale di tecnologie del Mare) made in Zeppi è l’armatore siciliano Carlo Rodriquez. Lo stesso che risulta indissolubilmente collegato, attraverso la partnership in SNAV, celebre compagnia di aliscafi e traghetti, a Gianluigi D’Aponte, l’armatore di Piano di Sorrento proprietario della Msc Crociere. Che è il primo competitor europeo di Costa Crociere.


Quel passato che ritorna
È l’alba del 6 novembre 2008 quando il comandante Mario Castaldi, 53 anni, residente a Piano di Sorrento, viene ritrovato sgozzato con un coltello da cucina a bordo della nave “Paxi-C” in navigazione al largo delle coste di Finisterre, in Spagna. Sposato, padre di tre figli, Castaldi aveva navigato per anni con la Msc, il colosso dei sorrentini D’Aponte, poi era passato con la compagnia Italtrag di Napoli, proprietaria della nave cargo comandata da Castaldi. La società armatrice, di lì a poco, andrà in fallimento.
Un’altra tragica vicenda, prima del naufragio del Concordia, aveva turbato la famiglia di Francesco Schettino. Mario Castaldi era infatti cognato del comandante ora ai domiciliari, avendo sposato una sorella della moglie Fabiola Russo. Una donna bella e forte, così viene descritta in paese la signora Schettino, che anche quella volta, quattro anni fa, aveva saputo imprimere fermezza e serenità a tutta la famiglia.
Ma proprio in queste drammatiche settimane, quando si attende l’incidente probatorio che deciderà il destino giudiziario del comandante Schettino, il fantasma della tragedia del 2008 sta tornando ad affacciarsi. A Sorrento circola voce che l’aggressore di Castaldi, l’allora trentasettenne Andrea Della Rasa, secondo responsabile di macchina, assolto perché considerato affetto «da disturbo delirante in personalità paranoide», potrebbe lasciare a breve l’istituto psichiatrico giudiziario di Genova nel quale era stato recluso per un periodo di dieci anni.
«Già da qualche tempo - spiega una fonte bene informata della zona - circolava la notizia che Della Rasa sarebbe stato rimesso in libertà». Un altro duro colpo per la famiglia di Schettino.
Sulle vere ragioni di quell’orrendo delitto, peraltro, non era mai stata fatta piena chiarezza. Il cargo portacontainer, salpato da Alessandria d’Egitto e diretto a Gijon, nelle Asturie, si trovava in quel momento a 22 miglia al largo della Galizia, in acque internazionali.
Quanto all’assassino, ecco cosa si legge nel suo curriculum: «Andrea Della Rasa, iscritto nelle matricole della Gente di mare di Genova dal 1993, aveva lavorato per 12 anni con Costa Crociere».
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Costa Concordia - "Il fantasma della P3" prima parte
di Rita Pennarola 01/04/2012

A quasi tre mesi dal naufragio vengono a galla nomi, fatti e particolari impressionanti sulla tragica vicenda del Costa Concordia. Si comincia proprio dalle indagini. La Voce rivela in esclusiva come il nome di uno fra i principali investigatori di Grosseto fosse comparso nelle carte dell’inchiesta sulla P3, senza conseguenze giudiziarie per lui, ma con tutta una serie di possibili imbarazzi. E poi la testimonianza choc di un turista spagnolo sui traffici durante gli accostamenti all’isola... 

Ma voi ve lo ricordate quel famoso convegno di settembre 2009 al Forte Village, in Sardegna, sull’attuazione del federalismo fiscale? Chi sicuramente non l’ha dimenticato sono stati quei governatori e sindaci, come Roberto Formigoni e Gianni Alemanno, i quali per aver preso parte all’iniziativa si ritrovarono dentro le carte dell’inchiesta sulla Cricca P3, visto che fra le guest star della due giorni c’era Giacomo Caliendo, all’epoca potente sottosegretario di Stato alla Giustizia nel governo Berlusconi, insieme a numerosi altri vip che sarebbero poi stati indagati, come il primo presidente di Cassazione Vincenzo Carbone.

C’entra qualcosa, tutto questo, con la tragedia del Costa Concordia?

Sì: per quanto in apparenza lontanissime, le due vicende risultano tra loro legate da un nome chiave. Perché ad organizzare la convention del “Forte” era stato il Centro Studi Giuridici per l’Integrazione Europea Diritti e Libertà, che vede fra i suoi fondatori lo stesso Caliendo. E che nel 2009 era presieduto da un altro magistrato: il procuratore capo di Grosseto Francesco Verusio. Lo stesso pubblico ministero che oggi coordina le complesse e delicate attività investigative sul naufragio dinanzi all’isola del Giglio.

Il mondo è davvero piccolo. Piccolissimo, anzi, se solo si consideri che tanto il procuratore Verusio quanto l’ex sottosegretario Caliendo sono entrambi campani: nato a Benevento, il primo, e a Saviano di Nola, il secondo. Così come beneventano doc è Pasqualino Lombardi, anche lui fra i promotori del convegno, passato alle cronache giudiziarie come indiscusso protagonista della P3, proprio in veste di segretario generale del Centro Studi presieduto all’epoca dal procuratore Verusio. Secondo le accuse, infatti, il Centro avrebbe svolto un ruolo strategico di collegamento fra il coordinatore nazionale Pdl Denis Verdini, il faccendiere Flavio Carboni e molti vertici della magistratura italiana, contatti finalizzati in quel caso alla realizzazione in Sardegna del Parco eolico finito al centro delle indagini.

A settembre 2011, quando i carabinieri si recano nella sede romana del Centro Studi per sequestrare lo statuto, viene alla luce che tra i fondatori del sodalizio, autentico trait d’union per centinaia di magistrati italiani, c’erano stati anche altri vip, a cominciare dal presidente Agcom Corrado Calabrò. Ma, soprattutto, i documenti confermano il ruolo centrale dello stesso Pasqualino Lombardi e dell’altro indagato numero uno della P3, Arcangelo Martino. Quest’ultimo, insieme a Flavio Carboni e a Lombardi, era stato tratto in arresto a luglio 2010 nell’ambito delle prime indagini sul “sodalizio segreto P3”.

Durante la convention 2009 a Verusio, che sedeva al tavolo della presidenza, toccò ovviamente il compito di indirizzare ai partecipanti il saluto dei padroni di casa, in quanto presidente del Centro Studi organizzatore dell’evento. Breve il suo incipit, con il ringraziamento preliminare ad ospiti e relatori come Vincenzo Carbone, Giacomo Caliendo ed Antonio Martone (padre dell’attuale viceministro del Lavoro, Michel). Prima di passare la parola a Carbone, che farà da moderatore per l’intera sessione, il procuratore Verusio non manca di ricordare il precedente appuntamento organizzato dal suo Centro Studi, che si era tenuto a Milano nel marzo 2009.

Per la cronaca, a gennaio 2012 la Procura di Roma (pm Giancarlo Capaldo e Rodolfo Sabelli) ha chiesto il rinvio a giudizio di 20 persone fra cui gli stessi Martino, Lombardi, Carboni e Verdini. Secondo l’accusa Carboni e Verdini, con il senatore Marcello Dell’Utri, avevano «costituito l’organizzazione segreta e, allo scopo di gestirne l’attività e realizzarne gli scopi, sviluppavano una fitta rete di conoscenza nei settori della magistratura, della politica e dell’imprenditoria da sfruttare per i fini segreti del sodalizio e per il finanziamento di esso e dei suoi membri, e ciò anche grazie all’attività di promozione di convegni e incontri di studio realizzata per il tramite dell’associazione culturale denominata Centro studi giuridici per l’integrazione europea diritti e libertà». Nell’udienza del 15 marzo scorso il gip Giovanni De Donato ha ordinato ai pm nuove indagini su un ex componente del Csm. Il giudice si è espresso inoltre sulla posizione dell’ex sottosegretario Caliendo, artefice del Centro Studi presieduto da Francesco Verusio. Le condotte di Caliendo sono state definite «al limite fra il penalmente rilevante e il deontologicamente censurabile», dentro un «quadro probatorio che non appare sufficientemente idoneo a esercitare efficacemente l'azione penale nei suoi confronti»

Caliendo, eletto al senato nel 2008 col Pdl, riveste tuttora un ruolo apicale al ministero della Giustizia.

NEL NOME DI DYANA

E ora possiamo tornare a Grosseto, dove il procuratore capo Verusio, che non è mai stato indagato per i fatti della P3, sta cercando faticosamente di mettere insieme le tessere di un puzzle infernale per arrivare ad una verità che, almeno sul piano giudiziario, possa dare pace alle 32 vittime del disastro, alcune delle quali forse resteranno a giacere per sempre su quei fondali marini. Erano le 21 e 42 esatte del 13 gennaio 2012 quando un gigante assoluto del mare, il Costa Concordia, vanto della marina italiana con le sue 114 mila tonnellate e passa di stazza, andava a schiantarsi contro gli scogli intorno all’isola del Giglio, tanto conosciuti da essere vistosamente segnalati nelle cartine turistiche degli alberghi isolani.

Il 13 marzo, a due mesi esatti di distanza dal più tremendo incidente che abbia mai coinvolto una nave italiana, sono stati identificati i corpi di otto fra le vittime ripescate dai sub, compreso quello della piccola Dyana Arlotti di Rimini, cinque anni. L’atroce, drammatico quesito che è alla base di tutto - e sul quale sicuramente stanno cercando ancora di fare luce il procuratore Verusio, con i sostituti Alessandro Leopizzi, Maria Navarro e Stefano Pizza - riguarda i motivi per cui un comandante di lungo corso con trent’anni di esperienza a bordo, come Francesco Schettino, decide di salire in plancia e sostituirsi al pilota automatico, la cui rotta sarebbe stata di tutta tranquillità per la nave e per i passeggeri. Poi si mette ai comandi, accelera il bisonte del mare fino a 16 nodi proprio mentre devia la rotta e, nel tentativo di passare radente alla costa, si schianta sugli arcinoti scogli delle Scole. Come la Voce aveva già ricostruito nel numero di marzo, l’ipotesi che si sia trattato del famoso “inchino” fa letteralmente acqua da tutte le parti, essendo stata clamorosamente smentita dalle diverse fonti indicate dal comandante, senza contare il fatto che appare di per sé illogica ed assurda, in una notte fredda e buia di gennaio, con l’isola deserta...
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Costa Concordia - "Il fantasma della P3" - seconda parte
di Rita Pennarola

SILENZIO. PARLA JESUS

Alle circostanze indicate dalla Voce nell'inchiesta “La pista russa” sono arrivate alcune sbalorditive conferme. Che convergono intorno ad una sola ipotesi, dai contorni sempre piu' definiti: poteri malavitosi utilizzano da tempo navi da crociera per i loro traffici. E lo sbarco “al volo” di materiali o persone lungo certe determinate coste risulta tutt'altro che casuale. Partiamo da un avvocato spagnolo, originario delle isole Canarie, viaggiatore abituale in navi da crociera di diverse compagnie. Si chiama Jesus Bethencourt.

Sentite cosa dichiara sulla sciagura del 13 gennaio. «Quello che e' successo di fronte all'isola del Giglio potrebbe avere avuto me come protagonista involontario, nell'agosto del 2010, quando ho navigato con mia moglie e mia figlia lungo lo stesso itinerario nel Mediterraneo». Proprio a bordo del Costa Concordia. Capitanato anche in quell'occasione dal comandante Schettino.

Pare che il Giglio, per chi conosce certe rotte, non sia un posto qualsiasi. «La testimonianza di Bethencourt e di sua moglie - spiega Bernardo Sagastume, corrispondente alle Canarie del periodico ABC - riguarda non solo l'accostamento al Giglio da parte di Schettino, che lui stesso visse in prima persona durante quel viaggio del 2010, ma anche il fatto che, in tale occasione, il personale di bordo fece in modo da liberare tutte le cabine passeggeri che affacciavano sulla costa isolana».

Abbiamo capito bene? Anche due anni fa qualcuno, al comando del gigante marino, avrebbe prescelto l'orario di cene e ricevimenti, quando tutti gli ospiti si ritrovano nei saloni centrali, per effettuare l'accostamento forzato al Giglio, evitando cosi' che durante le manovre vi fossero occhi indiscreti sul lato della nave rivolto verso l'isola. L'avvocato e sua moglie avevano il numero di cabina 8300, una suite con balcone affacciato sul Giglio. Ma quella sera Nayra, la moglie dell'avvocato, rimane piu' a lungo sotto la doccia. E cosi', mentre tutti gli altri passeggeri sono gia' nei saloni delle feste, i coniugi restano ancora in cabina. Jesus, in particolare, decide di uscire sulla balconata e riprendere con la telecamera le immagini della costa isolana. Giusto una decina di minuti, mentre aspetta che la moglie completi i suoi preparativi per il ricevimento a bordo. «Insomma alle 21 e 30 (orario “topico”, a quanto pare, ndr), mentre tutti i passeggeri erano nei saloni centrali per la festa, io mi trovavo sul balconcino della cabina a filmare il Giglio. Una cabina che probabilmente il personale di bordo riteneva vuota, visto che avevamo acquistato il biglietto all'ultimo momento». Cosa vede e cosa filma Jesus Bethencourt in quei minuti? Lo racconta lui stesso: «Mi rendo conto subito che la nave Concordia viaggiava in strettissima prossimita' della costa, particolare che non poteva sfuggire a me, abituato come sono a vedere tutti i giorni navi da crociera intorno alle Canarie, ma sempre a distanze di sicurezza. Poi a un certo punto dal buio di una grotta, in un tratto della costa gigliese che pareva disabitato, spuntano le luci di una torcia elettrica». Era come se qualcuno stesse facendo segnali convenzionali. «Io filmo tutto e dico scherzando a mia moglie: “guarda, Cosa Nostra, la Mafia, stanno facendo il contrabbando”».

E certamente avrebbero continuato, se quella notte del 2 agosto 2010 non si fosse trovata in zona una pattuglia della Guardia costiera. «Con un segnale da tre squilli fermano l'accostamento del Concordia all'isola. La polizia - continua Bethencourt - costringe la nave a ruotare di 180 gradi e tornare a Palermo». «Dopo poco - aggiunge Nayra - dagli altoparlanti arriva un annuncio: si va a Palermo perche' e' la citta' di Schettino, dove hanno preparato una festa per lui. Mi domandai perche' dovessimo tornare in quella citta'…». Quando la famiglia arriva nei saloni, ecco un'altra sorpresa: membri del personale sequestrano la fotocamera di Jesus. Il giorno dopo l'apparecchio viene restituito: video e foto di quella sera erano stati cancellati. Ma l'avvocato aveva fatto in tempo a sfilare, prima del sequestro, la scheda removibile. Tanto che oggi pezzi di quelle immagini sono visibili sul sito del settimanale spagnolo ABC.

Scarsi poi, a detta dei Bethencourt, anche i dispositivi di sicurezza generale, «solo istruzioni e salvagente in camera ma, soprattutto, passeggeri delle cabine “per ricchi”, come noi, esentati dall'esercitazione obbligatoria per ordine di Schettino». «Non abbiamo alcuna intenzione di essere protagonisti in questa vicenda - dicono Nayra e Jesus - ma abbiamo negli occhi la tragedia, le immagini della bambina che non si e' riusciti a salvare. E vorremmo contribuire a far in modo che tutto questo non accada mai piu'».

LE VOCI DI DENTRO

Prima solo sussurri, mezze frasi isolate. Poi, man mano che girava l'inchiesta della Voce sulla “Pista russa” (compresa la nostra partecipazione a Uno Mattina, condotta da Franco Di Mare), sono cominciate ad arrivare sorprendenti segnalazioni alla nostra redazione e ai siti che avevano rilanciato l'articolo della Voce. Cominciamo da un blogger che scrive a Comedonchisciotte.net e si firma Matteo Gigli. Perche' lui ricorda «un'altra, singolare coincidenza». Quella del 6 maggio del 2011, quando cade in mare per cause «da accertare» un turista trentatreenne di nazionalita' russa, che viaggiava a bordo del Costa Concordia. L'uomo e' precipitato in acque francesi poco dopo la mezzanotte, incidente confermato dalla stessa compagnia Costa. L'equipaggio e' stato avvertito da un amico del turista (secondo altre fonti, la fidanzata), che viaggiava insieme a lui. Sono scattate tutte le procedure d'emergenza, ma il corpo dell'uomo non e' stato ritrovato. La nave Concordia stava effettuando il rituale tour del Mediterraneo, lo stesso di quella maledetta notte del 13 gennaio 2012. Partita da Savona, era diretta a Barcellona nel momento della caduta in mare. Alle 6 del mattino, dopo vane ricerche del disperso, la nave e' ripartita alla volta della Spagna. Lanciata dall'Ansa, poi dal Secolo XIX e da numerose testate online, la notizia non e' stata seguita da particolari successivi. Il ritrovamento non c'e' mai stato. E il mare ha sepolto, con il giovane russo, le ragioni della sua caduta in mare.

«Una ventina d'anni fa - scrive intanto alla Voce un lettore - conobbi a Barcellona un marittimo della Costa che mi vendette dell'hashish. Ne aveva una quantita' enorme e mi disse che per loro era facilissimo imbarcarla, pare lo prendessero durante gli sbarchi in Marocco. Evidentemente - conclude - in vent'anni non e' cambiato niente». E poi c'e' Radio Ies, l'emittente romana numero uno che, nella “Ouverture” quotidiana condotta da Davide Gramiccioli ed Elena Parisi, propone spesso l'altra faccia della notizia. Sull'affondamento del Concordia, arriva in radio il racconto della blogger Sofia Riccaboni. «Da numerosi elementi raccolti - spiega - il 13 gennaio a bordo del Concordia poteva essere in atto una “riunione” segreta cui partecipavano esponenti della mafia russa e di cosche nostrane. Argomento: traffico di rifiuti tossici ad alto rischio». Qualcuno avrebbe fatto affondare la nave per sabotare il summit e le sue finalita'. Non meno sospetta la questione dei “clandestini” a bordo, ammessa come ipotesi fin dai primi giorni dallo stesso commissario per l'emergenza Franco Gabrielli.

La loro presenza, se mai vi fu, ben difficilmente ormai potra' venire a galla.

L'AMICA IRINA

Ancora, eccoci alla storia di Irina Nazarova, ufficialmente animatrice di bordo ma soprattutto amica della moldava Domnica Cemortan. Tanto somiglianti fra loro, le due ragazze, da essere frequentemente scambiate. Irina, che faceva parte dell'equipaggio durante la crociera maledetta, e' nata in Russia, a Samara, il 31 agosto del 1986. E' la stessa Domnica a fare il suo nome, nel lungo verbale della testimonianza resa alla Procura di Grosseto il 1 febbraio scorso. «Appena arrivata a bordo - dice - ho lasciato il bagaglio nella cabina della mia amica Irina Nazarova». Il verbale, in lingua moldava, e' stato pubblicato integralmente dal sito locale www.protv.md. Dinanzi ai magistrati, inoltre, la moldava afferma che il suo compito sulle navi era quello di effettuare le traduzioni in russo.

Chi sono davvero Domnica e Irina? E che ruolo hanno avuto in quello che veramente e' accaduto quella notte?

UN RAPPORTO ONORATO

Se sui suoi rapporti con Irina rilascia solo quelle scarne affermazioni, Domnica invece, durante la lunga testimonianza, si sofferma piu' volte sul nome di Ciro Onorato, altro rilevante personaggio di tutta la vicenda. Ciro, intanto, e' lo stesso uomo col quale Domnica dice di aver messo in salvo molte persone. Con lui a notte fonda lascia la nave, ormai prossima all'affondamento, a bordo di una delle ultime scialuppe partite per il Giglio. L'ordine, racconta la giovane ai pm, le viene dato dal comandante: «scendete, andate a mettervi in salvo».

Le cronache ci hanno raccontato che Ciro Onorato, manager della ristorazione a bordo del Concordia, quella fatale sera era a cena con il comandante Schettino e con il direttore Manrico Giampedroni. A loro si uni', per un dessert, Domnica. Poi, ha spiegato la donna, il comandante invito' tutti loro a salire in plancia. Siamo a pochi minuti prima del tragico accostamento al Giglio. Cosa si dissero a tavola, durante la lunga cena, Schettino e Onorato? Racconta Domnica al settimanale “Oggi”, nel numero di meta' marzo: «Non so di cosa parlassero i miei superiori. Nominavano il Giglio, ma lo facevano alla svelta, con accento napoletano. Non ci capivo nulla».

Tanto Schettino quanto Onorato sono originari della costiera vesuviana: sorrentino il primo, nato nella vicina Torre del Greco, il secondo. Zone del napoletano in cui sono ancora in tanti a comunicare fra loro in stretto dialetto. Tanto stretto che ben difficilmente avrebbero potuto interpretarne il significato non solo la ragazza, ma nemmeno lo spezzino Giampedroni.

Imbarcato da numerosi anni sulle navi Costa, Ciro Onorato viene menzionato su molti blog dei crocieristi per la sua simpatia e cordialita'. Memorabili, a quanto pare, le sue performances gastronomiche sulla Costa Mediterranea. Ricorda un passeggero, Vincent Finelli, nel suo diario di bordo: «Le nostre serate sono state deliziose. Siamo stati inoltre molto felici di rivedere il nostro amico maitre Ciro Onorato, che e' salito a Tenerife».

Ne ha fatta tanta, Ciro, di gavetta, dai vicoli del centro storico torrese ai fasti delle navi da crociera dove, si sa, un bravo maitre diventa sempre una star delle serate. Ma ancor piu' strabiliante e' stata la carriera di suo fratello, Gianni Onorato. Gia', perche' il manager dall'aplomb britannico di Costa Crociere spa, l'uomo di punta del board catapultato la mattina del 14 gennaio al Giglio, per rilasciare impossibili spiegazioni del disastro ai cronisti, non e' solo omonimo dello chef che era a tavola con Schettino e Domnica. E' suo fratello.

La rivelazione, che era stata fatta alla Voce da un anziano marittimo di Torre del Greco, trova peraltro conferma in alcuni blog, primo fra tutti proprio quello dei crocieristi Costa, amministrato da un'addetta alle pubbliche relazioni della Compagnia, Flora. La quale, in un post di maggio 2009, ricorda: «Ciro e Gianni Onorato sono fratelli. La loro e' una famiglia che ha sempre lavorato a bordo. Quando l'ho conosciuto tanto tempo fa, a meta' anni '90, il dott. Onorato (Gianni, ndr) si occupava, a terra, del settore enogastronomico delle navi Costa. Sono passati gli anni e ora Gianni e' direttore generale». Laureato in lingue all'Universita' Orientale di Napoli, Gianni Onorato e' direttore generale di Costa dal 2004. «Ha iniziato la sua attivita' nel 1986 - si legge nel profilo del top manager sul sito della statunitense Carnival, cui fa capo il Gruppo Costa - nel settore alberghiero della societa'. Nel 1998 e' stato nominato vicepresidente. Durante il suo mandato da direttore generale ha introdotto innovazioni nel prodotto Costa».
Di Torre del Greco, infine, e' anche Ciro Ambrosio, secondo ufficiale e vice di Schettino sul Concordia.

Ambrosio, che come Ciro Onorato ed altri membri dell'equipaggio era in plancia al momento dell'impatto, e' indagato dalla Procura di Grosseto. Per lui l'accusa e' di cooperazione col comandante in omicidio plurimo colposo e naufragio.
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Commenti

Roberto ha detto…
Penso anche io che il naufragio della Costa Concordia non sia stato dovuto alla sola imprudenza di Schettino. Di gente marcia in circolazione ce n'è tantissima e spesso i più audaci e pericolosi fra loro approfittano del sacrosanto garantismo del sistema penale e peggio ancora di connivenze con le alte sfere a tutti i livelli.

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