Michela, 37 anni, vittima di stalking (ma solo quando e se opportuno)

Riceviamo e pubblichiamo da Michela X, vittima di stalking, il racconto della sua storia...

Milano, 4 Marzo 2012

Gentili Signori,
Mi chiamo Michela, 37 anni, vittima di stalking (ma solo quando e se opportuno). Vorrei condividere alcune considerazioni sulla vicenda che mi ha vista mio malgrado protagonista perché reputo possano essere di interesse comune.
A giugno 2011 è stata pronunciata la sentenza contro Rocco, mio ex fidanzato stalker recidivo con svariate denunce a carico, condannato in contumacia e con rito abbreviato alla pena massima comminabile di due anni di reclusione senza condizionale oltre ad una provvisionale di 6.000 euro mai corrispostami e al rimborso delle spese processuali. Gli atti persecutori sono stati compiuti anche mentre era ai domiciliari a seguito dell’arresto in flagranza per stalking nel 2009 ai danni di Rosa, sua “fidanzata parallela” poi ennesima vittima e ad un solo anno dalla prima condanna sempre per stalking a danno di Cristina, anche lei sua frequentazione. Ho appurato la presenza di altre due querelanti, Anna e Teresa per lo stesso tipo di reato oltre che per truffa sempre e solo verso donne. La vicenda è nota sia alla stampa nazionale sia all’ex Ministero delle Pari Opportunità, l’unico interlocutore che si è reso disponibile a supportarmi mettendo a mia disposizione l’esperienza del Maresciallo Loredana P., consulente per casi di violenza domestica e atti persecutori.

Dovrei ritenermi soddisfatta, ma su questa vittoria incombe l’ombra degli oscuri meccanismi della nostra Giustizia per i quali si chiudono le porte ma si lasciano aperte le finestre. L’entrata in vigore della legge sullo stalking ha segnato un’importante evoluzione riguardo a questo reato, tuttavia rimangono lacune enormi nell’applicazione delle pene. Il casellario giudiziale certifica che sono già state aperte svariate “uscite di emergenza” a suo favore: una condanna per sostituzione di persona tramutata in pena pecuniaria, una pena sospesa e il beneficio della non menzione per entrambe. A questo si aggiunge il patteggiamento dopo l’arresto, la possibilità di richiedere il rito abbreviato dopo la mia denuncia e quella di ricorrere fino alla cassazione. Non è stato nemmeno diffidato dall’avvicinarmi e il falso account dal contenuto offensivo che ha creato a mio nome su Facebook segnalato sia in denuncia sia al sito stesso è ancora in rete. In sintesi: l’impunità è un regalo del sistema giudiziario entro una certa fascia di reati, ma quando si esauriscono i bonus per averla gratis, resta la possibilità di comprarla o di tramutare la detenzione in pene simboliche e inutili. Ad oggi è libero dopo soli 10 mesi di reclusione patteggiati dopo l’arresto in flagranza e ha interposto appello esercitando così l’ennesimo suo diritto. Inutile aggiungere che non ha risarcito nessuna delle sue vittime.
Come si evince anche da quest’ultima sentenza Rocco è un abile truffatore: intreccia relazioni col solo fine di ottenere vantaggi economici che poi mantiene con minacce e percosse. In accordo col padre mi ha intestato una vettura come regalo di fidanzamento mai lasciata a mia disposizione non essendo conviventi. Il generoso regalo era in realtà un modo per tenermi legata al figlio nella speranza che potessi allontanarlo dai giri poco puliti che frequentava oltre che per renderlo invisibile ai numerosi creditori che conta tra vittime da risarcire e pendenze col fisco. La corposa denuncia presentata e le successive integrazioni riportano dettagliatamente anche questo aspetto e la perentorietà delle argomentazioni del PM, che ha sottolineato l’assoluta credibilità di tutte le mie dichiarazioni, fugano ogni dubbio anche sull’effettivo utilizzatore della vettura. Ha totalizzato più di cento infrazioni al codice della strada e naturalmente i relativi verbali venivano notificati a me, verbali ai quali non mi sono mai opposta e non certo per ignorantia legis. A settembre mi è stata notificata la prima ingiunzione fiscale alla quale ho fatto ricorso in un “tentativo disperato” come lo ha definito il mio avvocato: quando si tratta di denaro per la Pubblica Amministrazione anche la speranza è destinata a morire. E così è stato: il GdP non ha disposto alcun accertamento ne’ ha voluto approfondire le motivazioni per cui non mi sono opposta al verbale pur conoscendo i precedenti specifici di Rocco. Si è limitato a chiedermi conferma della ricezione della multa, innegabile avendo io firmato la notifica. Ha manifestato tutta la sua solidarietà per la mia “disavventura” come l’ha definita minimizzandola quasi fosse un evento contingente e non la sola causa delle mie “omissioni” per poi pronunciare la formula magica dura lex sed lex a cui ha fatto eco la controparte specificando che il Comune paga parcelle molto alte allo studio legale incaricato del recupero crediti quindi non poteva accogliere la mia richiesta di annullamento del procedimento: mi è stato suggerito però di chiedere una dilazione del pagamento e accordarmi con il coobbligato per il rimborso. Pecunia non olet avrei risposto io ad entrambi anche qualora dovesse essere recuperata da una storiaccia di minacce e aggressioni: ed ecco come di fronte alla necessità di fare cassa mi trasformo da vittima in corresponsabile: il medesimo evento viene letto in modo diverso a seconda degli interessi coinvolti. La vettura vede suo padre cointestatario ma solo per una combinazione fortuita e non certo prevista: l’auto in origine avrebbe dovuto essere intestata solo a me, il padre è stato inserito necessariamente come secondo proprietario perché titolare del contratto di acquisto. Solo dopo l’arresto di Rocco è stato effettuato il passaggio di proprietà dell’auto alla madre: pur avendo io insistito per farlo prima, coerentemente con le sue intenzioni, ha sempre tergiversato. E’ stato tanto meschino da farselo spesare da me, ai tempi disoccupata ed ennesima vittima del figlio e si è impegnato solo verbalmente a farsi carico di tutte le cartelle esattoriali che mi sarebbero state notificate di cui ha pagato le rate solo finché lo ha ritenuto opportuno cioè fino al processo tentando vigliaccamente di alleggerire la posizione del figlio, ma dopo l’udienza, approfittando del fatto che la sentenza non si pronuncia espressamente sull’addebito a lui delle cartelle bensì rimanda alla sede civile la quantificazione del danno richiesto nella costituzione di parte civile, ha improvvisamente interrotto i versamenti. I numerosi solleciti del mio legale sia alla famiglia sia al difensore di fiducia, tesi anche all’accordo, sono tutti caduti nel vuoto. L’intestazione della vettura è avvenuta in un clima di “affetto” tale per cui mi chiamava “figlia” il che priva questa circostanza dei requisiti formali per procedere con ulteriori denunce per truffa o reati simili anche verso il padre.
La sentenza del GUP mi descrive come talmente intimorita da cambiare abitudini di vita e fondatamente preoccupata per la mia incolumità tanto da necessitare di cure psichiatriche mentre il GdP si aspettava che nel medesimo contesto fossi compos mei anche sotto minaccia di morte e mi opponessi sistematicamente ad ogni verbale facendo valere i miei diritti: non è paradossale? Ho trovato il coraggio di denunciarlo solo quando era già in carcere, prima non ce l’ho fatta: un tentativo di ribellione mi è costato cinque punti di sutura su un labbro. Oltre 100 verbali in 18 mesi non sono forse una forma di persecuzione? Sinistri per oltre 36.000 euro di risarcimento (tentativi falliti di truffa alla compagnia assicurativa) non suggeriscono nulla? Pecunia non olet, appunto. Il GUP rimanda al giudizio civile la valutazione e il risarcimento dei danni patrimoniali richiesti, il che vorrebbe dire che io, vittima, dovrei intentare una causa naturalmente a mie spese, rischio e pericolo contro il mio persecutore e suo padre. La causa che dovrei avviare prevede che la mia famiglia, composta da un pensionato ottantenne e una casalinga, anticipi circa 30.000 euro (personalmente non dispongo di questa somma) per bloccare l’emorragia di interessi per poi chiederne il rimborso del 50% derivante dall’obbligazione solidale e questa resta l’unica ipotesi percorribile secondo i miei legali. Quando finirò di espiare e pagare secondo il sistema giudiziario italiano? Rosa ha dovuto esporsi alla violenza di Rocco organizzando un tranello per farlo arrestare in flagranza pur di dimostrare alla polizia la veridicità delle proprie affermazioni nonostante avesse già una condanna per lo stesso reato emessa pochi mesi prima e svariate denunce documentate: è proprio necessario ingrossare le fila di un esercito di martiri? Le Istituzioni si nutrono di sangue come i vampiri? Si comportano più come un medico legale o un’impresa di pompe funebri che come garanti della Giustizia. “Lo Stato è presente e lo dimostrerà” ha dichiarato il ministro Cancellieri di fronte all’ennesimo assassinio gratuito ma io, Cristina, Rosa, Anna e Teresa siamo ancora vive, a noi non spetta quindi il supporto dello Stato anche se la “valutazione prognostica negativa” e “l’indubbia inclinazione dell’imputato a delinquere” citate in tutte le sentenze non preludono a nulla di buono. Sembra proprio che i cadaveri siano condizione necessaria ma non sempre sufficiente per smuovere le coscienze mentre un omicidio soltanto annunciato non è un campanello d’allarme sufficiente. Bisogna necessariamente varcare la soglia dell’irreparabile? Se così, considerate queste mie parole una sorta di testamento.
Senza amicizie influenti o visibilità televisiva i problemi restano problemi, non si trasformano in opportunità. Dopo quasi tre anni di ricerche sull’argomento posso asserire che ad una vittima di stalking non si è mai riservata grande attenzione anche dopo un tragico epilogo forse perché lo stalker ammazza solo le proprie fidanzate quindi non è percepito come un pericolo pubblico ma solo come autore di una violenza che si consuma nel privato o forse perché si trascina il retaggio del disturbo comportamentale mentre da tre anni campeggia tra gli articoli del Codice Penale. Ma magari – mi passate la provocazione? - in questo contesto si potrebbero creare le macabre condizioni per la tanto agognata ”epifania dello Stato” e per l’estinzione automatica del debito visto che nessun Giudice si prenderebbe la responsabilità di annullare o ridurre un debito verso la Pubblica Amministrazione in un delicato momento storico come questo. Suona come una rapina: “o la borsa o la vita” si dice, così io, se volessi riacquistare la mia serenità e non vivere con una spada di Damocle puntata sulla testa, dovrei versare questa somma per poi riaprire un nuovo capitolo lungo anni durante i quali di certo la famiglia troverebbe il modo di occultare tutti i propri beni. La mia uscita di emergenza dove sarebbe? Semplicemente, sono costretta a crearmela risultando nullatenente a vita proprio come Rocco: sulle conseguenze civili dello stalking c’è un vuoto legislativo quindi non posso essere sollevata automaticamente dalla responsabilità sui verbali pur potendo dimostrare in mille modi che non ero io il guidatore della vettura. I suoi precedenti non sono sufficienti a scagionarmi così come l’email in cui emergono le sue intenzioni frodatorie, procedura penale e civile seguono strade diverse e alla fine chi ci rimette è sempre e solo la vittima. In dubio pro reo recita uno dei principi fondamentali del diritto, ma quando il dubbio è stato sciolto? Quando è tutto palese e bisogna solo assumersi la responsabilità di mettere la parola fine? Quando non bisogna aprire indagini complesse ma solo confrontare pochi e inconfutabili elementi? Esiste forse un’”economia dei processi” da far girare, motivo per cui è opportuno menare il can per l’aia ad oltranza? Se si fosse agito con coerenza e onestà Rocco sarebbe in carcere e io non sarei costretta a comportarmi come un evasore, ma fare cassa ha priorità assoluta così come non gravare lo Stato delle spese per mantenere un detenuto e il rischio reale di incrementare situazioni di pericolo per altre donne è assolutamente secondario. Potrei pagare e metterci una pietra sopra: la salute è più importante e bisogna guardare avanti dicono… NO rispondo io, perché sarebbe sbagliato in linea di principio e rappresenterebbe un’implicita ammissione di responsabilità sulle infrazioni in antitesi con quanto ho denunciato. Non so davvero come comportarmi, questa situazione ha prodotto un delinquente impunito incline alla reiterazione sia per indole sia perché bisognoso di denaro e una delinquente potenziale che, se facesse una scelta di coerenza e onestà intellettuale dovrebbe vivere come una sorta di latitante ma soprattutto consapevole del fatto che, qualunque decisione prenda è sbagliata perché irriguardosa o verso le altre vittime o verso la legge o verso se stessa. Vorrei perseguire la strada della coerenza e dell’onesta intellettuale ma chi combatte da solo non può indulgere a sogni di gloria. Quando potrò tagliare il cordone “emotivo” che mi lega a questa vicenda?
Viene spontaneo allora chiedersi cui prodest denunciare, attendere le udienze per mesi, incontrare avvocati, impararne il linguaggio, saldare onerose parcelle per poi vedere tutto questo scoppiare dentro la bolla sapone dei “pagherò”: la denuncia fa uscire dal tunnel della violenza ma introduce nella nebulosa dell’indifferenza. A cosa è servito il lavoro svolto dal legislatore che finalmente ha capito la natura e la portata di certi atteggiamenti e li ha codificati come reati se poi non si interviene a tutela delle vittime e a recupero o punizione degli imputati? Perché svegliare in noi illusioni di giustizia? per denunciare ci vuole coraggio e lucidità, la strada è solo in salita: ho appreso di sentenze talmente assurde da indurmi a confondere la vittima con l’imputato e la sensazione di essere io in galera è più che tangibile ma non capisco se il mio carceriere è uno stalker che magari mi considera un capitolo ancora aperto o le Istituzioni che soprassiedono sul mio stato di vittima ma hanno ben presente quello di insolvente. Se dovessi essere di supporto ad una donna che sta vivendo un dramma analogo al mio cosa potrei consigliarle? Che otterrebbe lo stesso risultato assoldando un paio di balordi che facessero un bel discorso all’aguzzino parlando la sua stessa lingua, magari sfasciandogli la macchina o un ginocchio. Un avvocato costa ed io ne ho dovuti incaricare ben due, le condanne possono essere convertite in pene simboliche, l’impunità è in vendita e la vittima è l’unica che si trova a dover pagare in tutti i sensi. Ci si indigna nell’apprendere dell’indifferenza dei passanti verso un’aggressione dimenticandoci che passanti e testimoni sono privati cittadini che non hanno scelto di farsi garanti dell’ordine pubblico ma che si sono trovati accidentalmente ad essere spettatori di un evento drammatico: il loro intervento è mosso esclusivamente da coscienza o coraggio quindi godono di tutte le attenuanti se si lasciano paralizzare dalla paura, mentre chi sceglie una particolare professione ha il preciso dovere di intervenire a tutela di una vittima.
Sono stata marchiata come vittima, quindi sono entrata in quel cono d’ombra di solitudine e angoscia che è il prezzo di ogni atto coraggioso. Dopo aver denunciato Rocco ho intrapreso un percorso di abbruttimento iniziato con la paura paralizzante delle sue reazioni e giunto a perfezione quando ho appurato in modo ufficiale che il mio ‘sacrificio’ è stato inutile e non può essere di aiuto o esempio per nessun’altra persona nelle mie condizioni.
Scusatemi per lo sfogo ma volevo dare in anticipo la mia risposta a tutte le manfrine sulle donne che inevitabilmente dovrò sorbirmi l’8 marzo.
Cordialmente

Michela




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Commenti

ARAGORN THORONGIL ha detto…
vaffanculo all'establishment feminista vaffanculo al femminismo e alle donne stronze e malate di protagonismo dittatoriale
Anonimo ha detto…
Una grande infinita TRISTEZZA e senso di desolazione. La verità è che la solitudine, a quanto pare, è la sola cosa che ci accompagna per la vita.
Anonimo ha detto…
Purtroppo l'unico commento valido è che siamo il un paese dove il diritto è latitante e chi dovrebbe essere difeso viene immancabilmente offeso!!!
Anonimo ha detto…
Forse l'unico modo per avere giustizia è farsela da soli, magari, con certa gente, definitiva..
S.Salustia ha detto…
Ho letto l'articolo tutto d'un fiato..sono giorni che su media di ogni tipo leggo della campagna dell'associazione Doppia Difesa (M.Hunziker/Avv. G.Bongiorno pro vittime abusi), volta a pubblicizzare l'ennesimo numero al quale inviare un sms al fine di donare euro alla nobile causa... Sarei curioso di sapere, non per alimentare polemiche sterili, ma nella speranza di essere piacevolmente sorpreso e colpito, se portare alla conoscenza dei responsabili di suddetta associazione, produrrebbe risultati favorevoli all'autrice del racconto..
Anonimo ha detto…
ta uccidere e basta quel bastardo, è pure fortunato che la sua vittima non ha fratelli
Anonimo ha detto…
Anch io da quasi 2 anni cerco giustizia x altri motivi, ma purtroppo sembra che in quest Italia conti solo il piu' forte e che può pagare! Il denaro vale più della persona ahimè ... Hai provato a contattare le Iene?!? Vai nel loro sito e prova a contattarli, io ci sto pensando anche x il mio caso!! Credo che siano gli unici che forse credono ancora nel bene delle persone e nella difesa del giusto! Un abbraccio e tieni duro.. Dania

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