Il senso dell’Italia per gli armamenti

L’Italia è un paese in crisi conclamata, più o meno in tutti i comparti dell’economia. Tranne che in quello delle armi. Secondo il rapporto annuale del Sipri, l’Istituto internazionale di ricerca sulla pace di Stoccolma, per quello che riguarda il 2010, il Belpaese si piazza all’ottavo posto nel mondo fra i produttori di armi. Questo per merito di Finmeccanica che, nell’ultimo anno, ha registrato vendite per 24.76 miliardi di dollari e un profitto di 0,74 miliardi. Tutto dalla vendita di aerei, artiglieria più o meno pesante, missili, veicoli militari, munizioni…
Al primo posto di questa classifica, troviamo l’americana Lockeed Martin, con 35.7 miliardi di profitti, seguita dall’inglese Bae Systems (32.9 miliardi), dalle americane Boeing, Northrop Grumman, General Dynamics e Rayton. Settima piazza per la Eads (Europa), poi Finmeccanica, e altre due americane: la L-3 Communications e la United Technologies. Andando ancora indietro nella classifiaca, troviamo Fincantieri al settantatreesimo posto, con 940 milioni di introiti per le forniture alle navi da guerra. “Le vendite complessive di armi delle 100 società della classifica hanno conservato nel 2010 la loro tendenza al rialzo – scrive il Sipri –, anche se in realtà dell’1 percento. L’aumento è stato molto inferiore rispetto al 2009. I dati del 2010 dimostrano una volta di più la capacità dei maggiori protagonisti di continuare a vendere armi e servizi militari nonostante le crisi finanziarie che attualmente riguarda altri settori”. Insomma, la recessione nel settore della guerra non sembra esistere, e il piatto da spartire è sempre ricco, malgrado le inevitabili difficoltà dettate dalla situazione generale dell’economia mondiale.

Finmeccanica, pur tra gli scandali che l’hanno coinvolta negli ultimi mesi, conserva il suo ruolo tra i magnifici dieci signori della guerra, con 75.197 dipendenti, si descrive come “leader nello s sviluppo e produzione degli aerei da addestramento e nei relativi servizi di supporto a terra”. I suoi principali azionisti sono il Ministero dell’Economia (30.2 percento delle quote), Tradewinds Global Investors LLC (5.282 percento), BlackRock (2.24 percento) e Libyan Investment Authority (2.01 percento).
Importante notare anche il resto dell’analisi del Sipri. Le società nordamericane possono vantare più del 60 percento delle vendite globali, mentre l’Europa è ferma al 29 percento. Le prime dieci compagnie, addirittura, detengono il 56 percento del mercato, con un fatturato complessivo che supera i 230 miliardi di dollari. Ma, oltre alle armi, la classifica dell’istituto svedese registra anche la crescita dei vari servizi legati alla logistica militare, dall’allenamento alla manitenzione. Le prime 20 compagnie che si occupano di questa società hanno visto i loro profitti passare dai 22.3 miliardi del 2009 ai 55 miliardi dell’anno successivo. Altro dettaglio importante è quello relativo all’importazione delle armi, con l’Asia che si conferma, tristemente, leader. Nel periodo 2007-2011, infatti, l’importazione di armi da queste parti è aumentato del 24 percento rispetto al 2002-2006. Nell’ultimo quinquennio, i paesi asiatici e l’Oceania hanno importato il 44 percento del volume totale del mercato, molto sopra all’Europa (19 percento), il Medio Oriente (11 percento), Nord e Sud America (11 percento) e Africa (9 percento). Andando a guardare sempre più in profondita, emerge come sia l’India il maggiore compratore di armi al mondo, con il 10 percento di volumi totali. Dietro, la Corea del Sud (6 percento), Cina e Pakistan (5 percento) e Singapore (4 percento).
Tra i Paesi asiatici, l’India è risultato il maggior compratore con il 10% dei volumi totali. L’ultimo appunto è relativo alla Cina: Pechino negli ultimi anni sta sviluppando sempre più rapidamente un’industria bellica interna allo scopo di evitare la dipendenza dall’estero. E’ così che questo paese è entrato a far parte dell’esclusivo club dei maggiori esportatori di armii convenzionali al mondo, dietro soltanto a Usa, Russia, Germania, Francia e Gran Bretagna. Ma la classifica è sempre più corta e la Cina si avvicina alla vetta con falcate sempre più ampie.

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