Il Grande Gioco delle Basi
Dopo il turbolento periodo delle rivoluzioni, il Kirghizistan tenta il rilancio. Anche con i denari che Russia e Usa versano per mantenere nel Paese i loro presidi militari
di Stefano Grazioli
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Di Kirghizistan non si parla sui media occidentali quasi mai. Se non quando c’è una rivoluzione. Eppure il piccolo Stato dell’Asia centrale gioca un importante ruolo sulla scacchiera regionale, posizionato a Nord dell’Afghanistan, seppur con il Tagikistan di mezzo. La differenza con Dushanbe è però che Bishkek ha messo a disposizione basi militari ereditate dal periodo sovietico che sono ritornate strategicamente alla ribalta all’inizio del terzo millennio.
Di Kirghizistan non si parla sui media occidentali quasi mai. Se non quando c’è una rivoluzione. Eppure il piccolo Stato dell’Asia centrale gioca un importante ruolo sulla scacchiera regionale, posizionato a Nord dell’Afghanistan, seppur con il Tagikistan di mezzo. La differenza con Dushanbe è però che Bishkek ha messo a disposizione basi militari ereditate dal periodo sovietico che sono ritornate strategicamente alla ribalta all’inizio del terzo millennio.
Dopo l’11 settembre 2001 quella nuova di Manas, all’aeroporto della capitale è diventata uno snodo fondamentale americano, mentre quella di Kant (riaperta ufficialmente nel 2003) è rimasta un punto fisso per la Russia. Le due superpotenze mantengono tutt’ora il piede in Kirghizistan e non hanno nessuna intenzione di mollarlo.
È un braccio di ferro geopolitico che va al di là delle questioni locali, con l’ex repubblica sovietica che in questi anni ha sempre cercato di barcamenarsi tra le due grandi potenze tentando di non far torto a nessuno: da una parte al grande vicino e tradizionale alleato russo con cui i rapporti sono imprescindibili, dall’altra con il nuovo arrivato a stelle e strisce che ha portato con sé vagonate di dollari.
È però improbabile che una situazione del genere possa trascinarsi così all’infinito e le tensioni salgono spesso in superficie. Non è un mistero infatti che la presenza militare statunitense nella regione dà un certo fastidio non solo alla Russia, ma anche alla Cina. Mosca e Pechino, alleate nella Sco (Organizzazione di Shanghai per la Cooperazione, alleanza che riunisce anche le altre repubbliche centroasiatiche con l’esclusione del Turkmenistan), hanno premuto perché Bishkek bloccasse il rapporto con gli Usa e periodicamente il Kirghizistan ha annunciato di farlo. Al momento sembra che dopo la scadenza del mandato in Afghanistan nel 2014 gli americani dovrebbero veramente lasciare il Paese.
Il condizionale è però d’obbligo. Intanto la Russia continua a essere presente a Kant e le relazioni tra i due Stati corrono veloci sui nuovi binari. Il presidente kirghiso Almasbek Atambayev è stato recentemente a Mosca dove ha incontrato quello uscente Dmitri Medvedvev e il prossimo Vladimir Putin, confermando che i rapporti privilegiati sono quelli con il Cremlino.
La gestione delle basi rimane in ogni caso un punto fondamentale nella politica estera del Kirghizistan, che deve fare anche in conti con una situazione economica complicata per risolvere la quale sono richiesti compromessi. Il Paese, dopo le rivoluzioni del 2005 e del 2010, è ancora alla ricerca di una strategia di sviluppo sul lungo periodo per tentare di uscire dal tunnel dentro cui ancora si trova.
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