Gli sprechi della Lega, soldi pubblici per scuole di dialetto e arredi d'oro


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Scuole di dialetto. Arredi d'oro. Ricchi corredi per le ronde. Fumetti storici pieni di errori. Così la Lega usa i fondi pubblici 



Di Alberto da Giussano, ferisce più la penna della spada. Satinata, punta extrafine, dannatamente pericolosa, è l'ultima trovata propagandistica della Lega nel suo feudo del Nord-est. Centinaia di biro griffate con il "Sole delle Alpi", che sparano litri di peperoncino sugli immigrati pericolosi. E soprattutto fanno campagna elettorale nelle borsette firmate delle elettrici. Le donne non devono più temere, perché nel lungo elenco di sprechi targati Carroccio c'è pure questo sofisticato arnese. Il veleno è un estratto di pepe rosso in percentuali conformi alla normativa comunitaria, recitano le istruzioni. Il getto spara fino a due metri con precisione svizzera. E come al solito, a pagare ci penserà Pantalone. 

Che mai volete che sia qualche migliaia di euro magari tagliati dai bilanci della polizia, se nel corpo a corpo con l'aggressore si potrà sfoderare l'arma con le insegne di Bossi? Non sono le cattedrali nel deserto a cui ci ha abituato la Prima Repubblica. Né le maxi tangenti girate all'imprenditore di turno. Il verbo leghista ha un accento diverso da Roma anche quando spende male. Sembrano pochi spiccioli, ma quei rivoli di denaro pubblico che si sommano ad altri rivoli senza farsi notare, una volta a valle formano un lago di sprechi local sempre più profondo.

C'è di tutto nelle pieghe dei bilanci targati Lega Nord. E il colpo di grazia lo danno quasi sempre i capitoli caldi del gergo padano: cultura, prodotti locali e sicurezza. Che non scatenano solo le polemiche, come nel caso dell'Inno di Mameli sostituito in Veneto con il Va' Pensiero. Ma soprattutto esborsi di soldi. Sempre pubblici. Gli scolari lombardi forse non sanno che il fumetto camuffato da libro di storia che si sono visti distribuire qualche tempo fa è costato alla Regione 105 mila euro per 10 mila copie. Un bell'elenco di refusi storici, forse non voluti, ma pagati a caro prezzo: le incisioni rupestri dei Camuni datate 3000 dopo Cristo, un passaggio che sembra attribuire la strage di piazza Fontana ai sessantottini, i galli che cantano "we are the padan cocks" e Garibaldi che scompare dalla storia dell'Unità d'Italia. 

A Trieste c'erano arrivati per primi con una legge ad hoc sulle origini celtiche del popolo friulano, costata 6 miliardi di vecchie lire e documentari etnici da 200 mila euro a botta. Senza contare lo studio della lingua locale nelle scuole, costato finora oltre 35 milioni anche grazie ai baracconi come l'Arlef, l'Agenzia regionale che lo gestisce, dove fra presidente e cda le poltrone sono cinque volte i dipendenti, per un costo mensile di quasi 100 mila euro.

In Veneto le polemiche sono esplose lo scorso marzo in piena campagna elettorale. Nemmeno l'ex ministro leghista Luca Zaia, eletto governatore a furor di popolo, lesinava in quanto a spesa pubblica proprio nei giorni in cui il Senatùr tuonava da Gemonio ordinando ai suoi di "portare le forbici in Regione per tagliare gli sprechi". 

Chi ha sfogliato la rivista "Il Welfare", stampata da Buonitalia spa (società partecipata dal ministero delle Politiche agricole) e costata alle casse pubbliche 5 milioni di euro, avrà di certo apprezzato il book fotografico del nuovo Doge, distribuito a migliaia di famiglie venete. Ritraeva Zaia in differenti mise: dal gessato allo sportivo, fra bottiglie di vino, formaggi e salumi. Se poi qualcuno non l'avesse ricevuto, bastava dare un'occhiata al portale del ministero. Fino alla notte del 18 marzo, denuncia un esposto alla Procura di Padova, vi comparivano i manifesti elettorali del ministro. Cliccandoci sopra, poi, l'utente-navigatore veniva collegato al sito della campagna elettorale sotto lo slogan "Prima il Veneto". Sempre al ministero, gli statali in orario di lavoro garantivano la visione in rete di spot elettorali, messaggi politici, materiali personali del candidato leghista. Caricati dall'utente "Mipaaf", che altro non è che la sigla del dicastero romano. 

C'è pure un taglio del nastro che ha scatenato la bufera. Quello, sempre voluto dalla Lega, del faraonico palazzo della Provincia di Treviso all'ex manicomio di Sant'Artemio. Un appalto che doveva costare 35 milioni di euro, ma che è lievitato fino a 80 milioni. E se qualcuno ripete che sono aumenti fisiologici, lo scontrino degli arredi parla chiaro: 12.840 euro sonanti per un solo tavolo e 531.426 euro per le sedie. Al punto che l'Italia dei Valori proclamò il "No spreco day", ricordando i tanti, si fa per dire piccoli, sperperi leghisti: la grigliata da 70 mila euro per lanciare le vacche venete o i tour promozionali dei prodotti Doc con sponsorizzazioni milionarie. 

Fino agli incarichi ai parenti: promozioni e aumenti di stipendio per mogli, fratelli e amici. Tutto targato Carroccio. Stefania Villanova, la consorte del sindaco di Verona Flavio Tosi fu nominata a capo della segreteria dell'assessorato alla sanità della Regione senza concorso, ma a stipendio triplo. Oppure il caso dei fratelli Conte, che realizzarono con le congratulazioni pubbliche del sindaco di Tombolo un polo scolastico a ridosso delle regionali, affidando la progettazione in via fiduciaria all'architetto Tiziano, appunto Conte, fratello del consigliere Maurizio, anche lui Conte. Un lavoretto coi fiocchi per i tagliatori di nastri, meno per la pioggia che allagò dopo pochi mesi il piano superiore. 
Se il buongiorno si vede dal mattino, presto anche il Piemonte, da poco passato alla Lega, potrebbe adeguarsi ai ritmi delle altre regioni padane. 

Il neogovernatore Roberto Cota, che teme per l'esito del ricorso al Tar presentato da Mercedes Bresso, ha subito preso carta e penna e chiesto al Parlamento di concedergli più tempo per optare fra la poltrona piemontese e lo scranno romano. Un doppio incarico, che significa anche doppio stipendio. Ma non è un record. Di multi-poltrone la Lega è golosa. L'avvocato Paolo Marchioni, vicino al ministro Roberto Calderoli, è cristianamente trino: vicepresidente della Provincia del Verbano, assessore al bilancio, membro del cda dell'Eni alla modica cifra di 135 mila euro l'anno. Oppure Leonardo Ambrogio Carioni, sindaco di Turate, presidente della Provincia di Como, presidente dell'Unione delle province lombarde, di Sviluppo Sistema Fiere, senza contare il posto nel consiglio di amministrazione della Pedemontana veneta e dell'Expo 2015 a Milano. Per stargli dietro in questo peregrinare fra stipendi e prebende ci vorrebbero proprio le ronde. 

Ennesimo spot che dura (e costa) da anni. Si inneggia al farsi giustizia da sé, nell'illusione del risparmio. Ma a guardar bene non è quasi mai così. Anche stavolta fra i primi a partire ci sono i friulani. Popolo di risparmiatori, tanto da avere varato per volontà dell'assessore leghista Federica Seganti un piano sicurezza da 16 milioni di euro fra volontari bardati di spray e camicie verdi, pistole per i vigili dei piccoli paesi e telecamere un po' ovunque. Un tesoretto che serve soprattutto a rifarsi il guardaroba. Visto che, non appena la scure della crisi ha costretto la regione a decimare i fondi in bilancio, riducendoli a un milione, l'assessore ha mantenuto come priorità proprio l'addestramento dei fedeli guardiani leghisti. Tutti rigorosamente in divisa. Giacconi invernali ed estivi, uniformi, radio per chi diventerà guardia padana. Peccato che, sfogliando i curriculum in Regione, più che ronde contro il crimine sembreranno passeggiate ai giardinetti. Delle poche domande trasmesse agli uffici, circa due iscritti su tre hanno passato i 65 anni di età. E chiedono le divise. Per passare qualche pomeriggio a spasso a godersi il sole. E gli sprechi leghisti. 



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Commenti

Silla ha detto…
Ma in un momento di grave crisi economica,la Corte dei Conti perché non interviene nei confronti di questi emeriti SPRECONI?
Merceria Mandalà ha detto…
Bravi e questi sono quelli che puntano il dito contro di noi chiamandoci assistenzialisti????
E questo spreco cosa vuole essere una vendetta????
Sarà poco ma io mi affido alla giustizia del cielo visto che in
questa terra di ladroni non ne abbiamo

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