Maxi stipendi dei burocrati, hanno fatto finta di tagliare; come gli onorevoli stipendi

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Non si sono limitati a fare FINTA di tagliare gli stipendi dei parlamentari: ma nel decreto liberalizzazioni un comma evita anche i tagli ai compensi dei burocrati della Pubblica amministrazione!

Liberalizzare fa bene, si sa. Lo dice Monti, lo dice Bankitalia, lo dicono gli economisti nelle università e ormai persino la gente per strada. Sarà per questo che il governo ha deciso di dare una strana liberalizzata anche allo stipendio di qualche (futuro?) alto dirigente della P.A.

É tanto vero che la norma relativa è stata inserita proprio nel cosiddetto decreto liberalizzazione, per la precisione al comma 6 dell’articolo 35. “Al fine di assicurare alle agenzie fiscali e ai Monopoli di Stato la massima flessibilità organizzativa, le stesse possono derogare a quanto previsto dall’articolo 9, comma 2, ultimo periodo del dl 31 maggio 2010”. Non proprio chiarissimo, come si vede. La sostanza, però, è semplice: è una deroga a quanto stabilito da una legge, in particolare da una delle manovre del duo Berlusconi-Tremonti. Cos’è c’è scritto?

All'inizio dell’articolo in questione (che resta in vigore) si istituisce il contributo di solidarietà del 5% e 10% per gli statali che guadagnino più di 90 e 150mila euro, all’ultimo periodo (quello che potrà essere aggirato) si dice i nuovi contratti dei superdirigenti della P.A. non possano costare di più rispetto a quelli già in vigore. Insomma, col dl liberalizzazioni, ai Monopoli e alle Agenzie fiscali (Entrate, Demanio, Territorio e Dogane) potranno assumere della gente pagandola più di quanto si faccia ora o anche aumentare lo stipendio a chi è già in carica, basterà rinnovargli il contratto: l’unica raccomandazione è che il surplus venga pagato coi soldi dell’amministrazione, magari col fondo con cui si dovrebbero pagare i premi di risultato o simili. Bizzarra disposizione, soprattutto se si tiene conto del fatto che il governo ha appena inviato alle Camere il decreto legislativo con cui fissa un tetto alla retribuzione per i manager di ministeri, Autority e Agenzie pubbliche: senza entrare nel tecnico, il massimo sarà 305 mila euro, senza deroghe farlocche per rimborsi spese, consulenze in altre amministrazioni e via aggirando (esiste, però, la possibilità di “deroghe motivate per le posizioni apicali”, anche se Monti ha fatto sapere informalmente che non intende avvalersene).

E allora perché questa normetta ad hoc nel decreto liberalizzazioni? Forse la risposta sta nel fatto – confermato al Fatto quotidiano da diverse fonti informate – che è previsto a breve un cospicuo valzer di poltrone proprio alle Agenzie fiscali e ai Monopoli di Stato. Certo, si potrebbe sostenere che questa scelta riguarda la “flessibilità organizzativa” invocata dalla norma oppure la possibilità di attrarre in uffici così rilevanti talenti che altrimenti sceglierebbero di guadagnare di più nel privato, ma – al di là del sospetto che si sappia già per chi si è scritta la legge - certo la cosa stride in un paese che ha appena stabilito che non adeguerà all’inflazione le pensioni da 1.300 euro.

Cosa può succedere? Prima di spiegare, un’avvertenza: faremo esempi con nomi e cognomi, ma solo per farci capire. Se, per ipotesi, il premier/ministro Monti decidesse che l’avventura diGiuseppe Puleggi alla direzione generale dell’Agenzia delle Dogane è arrivata al termine, potrebbe pagare il suo successore più degli attuali 181mila euro. Lo stesso Puleggi potrebbe andare a sostituire Gabriella Alemanno all’Agenzia del Territorio e beccarsi i 300mila della sorella del sindaco di Roma. Ma non di soli capi vive la P.A., ci sono anche i direttori generali: volendo – giova ripetere: è solo un’esercizio teorico – il governo potrebbe rinnovare il contratto al capo della Direzione centrale Catasto e cartografia (Franco Maggio) dandogli 300mila euro invece degli attuali 211mila. O ancora: se Monti volesse un nuovo direttore delle Accise ai Monopoli potrebbe fargli guadagnare più dei 186mila euro che oggi percepisce Diego Rispoli, mentre non ci sarà niente da fare per il direttore generale Raffaele Ferrara, che già sfonda il tetto della bellezza di 170mila euro.

Il problema vero, alla fine, è che – come non smette di ricordare l’ex sottosegretario all’Economia Guido Crosetto (PdL) – “le manovre non le scrivono mica i ministri, le scrivono i capi di gabinetto”. Per questo c’è sempre un comma che non torna sui dirigenti della Pubblica amministrazione.

Fonte: Il Fatto Quotidiano PDF 02 febbraio 2012




Commenti

*Dioniso*777* ha detto…
D'altronde con personaggi collusi con la malavita che ci possiamo aspettare?
Fino a quando glielo lasciamo fare, hanno ragione, non resta altro da aggiungere. Voi se poteste rubare impunemente, vivere da Re senza lavorare non sareste tentati a farlo?
Purtroppo temo di si.

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