La Germania, un falso modello


Quando un numero sempre più alto di paesi deve affrontare nuove pressioni per l’austerità, si tende a spiegare questa tendenza negli specifici fallimenti nella politica dei vari paesi, invece di considerare una dinamica strutturale più allargata. A dar man forte alla credibilità di coloro che si concentrano sulla condotta nazionale è l'esistenza di nazioni considerate in buona salute. Secondo questa ipotesi, solo se i politici seguiranno le migliori pratiche, le popolazione non si troveranno in pessime condizioni. Recentemente, la Germania è diventata uno di questi paesi modello.

Ecco una composizione tipica dell'esperienza tedesca:
In un periodo in cui il tasso di disoccupazione in Francia, Italia, Regno Unito e gli Stati Uniti sono stabilmente all’8%-9%, molti si rivolgono all'apparente miracolo del mercato del lavoro tedesco per imparare. Nel 2008/09, il PIL tedesco precipitò del 6,6%, ma la disoccupazione salì solo dello 0,5% prima di riprendere una tendenza al ribasso, e gli occupati calarono solo dello 0,5%. Ad agosto del 2011, il tasso standard di disoccupazione era circa del 6,5%, il più basso dal boom successivo alla riunificazione di venti anni fa.
In altre parole, la Germania sembra stia facendo davvero bene. Pur soffrendo un forte declino, stava godendo di una percentuale di disoccupazione davvero bassa. Ma come faceva? Spesso vengono citate le recenti politiche tedesche che hanno aumentato la flessibilità del mercato del lavoro. Ma sono queste le migliori politiche che dovrebbero essere adottate ovunque? Per poter rispondere, dovremmo osservare cosa è cambiato per i lavoratori tedeschi. Un rapporto di Reuters ha concluso:
La crescita del lavoro in Germania è stata robusta soprattutto per gli impieghi a basso salario basso e per il lavoro delle agenzia interinali grazie alla deregolamentazione e alla promozione dei cosiddetti "mini-lavori" flessibili a basso reddito, sovvenzionati dallo stato.

Il numero dei lavoratori a tempo pieno con basso salario – talvolta definiti come coloro che hanno un reddito inferiore ai due terzi di quello medio – è salito al 13,5 percento, pari a 4,3 milioni, tra il 2005 e il 2010, un incremento tre volte più rapido rispetto agli altri impieghi, secondo i dati dell'Ufficio del Lavoro.
Gli impieghi alle agenzie di lavoro interinale hanno toccato nel 2011 il massimo di 910.000, tre volte il dato del 2002 quando Berlino avviò la deregolamentazione del lavoro temporaneo […].
I dati dell’OCSE indicano che il lavoro a basso salario riguarda il 20% dei lavori a tempo pieno in Germania, in confronto all’’ 8,0% in Italia e al 13,5% in Grecia.
Le nuove categorie di lavori a basso reddito, sovvenzionati dal governo – un’ipotesi presa in considerazione in Spagna – si sono dimostrate particolarmente problematiche. Alcuni economisti parlano di un fallimento.
Furono create per aiutare le persone con cattive prospettive di lavoro per essere alla fine reintegrati nel mercato regolare del lavoro, ma le ricerche mostrano che, nella maggior parte dei casi, non portano a niente.
Gli imprenditori hanno pochi incentivi per creare lavori a tempo pieno se sanno che loro potranno assumere lavoratori con contratti flessibili.
In questo momento un lavoratore su cinque è impiegato con un "mini-lavoro", e guadagna un massimo di 400 euro esenti da imposte. È l’attività principale per quasi cinque milioni di persone, richiedendo in compensazione sussidi finanziati dal pubblico.
I lavori a tempo pieno sono stati divisi in mini-lavori", ha detto Holger Bonin del think-tank ZEW con sede a Mannheim.
Ed è difficile fermare i datori di lavoro dall’assumere "mini-jobbers" a basso reddito, quando sanno che il governo interverrà in assenza di un salario minimo.
Questo sviluppo non è stato certo fortuito. È il risultato dei cambi delle politiche perfezionato nei primi ‘000 dall’allora Cancelliere Gerhard Schröder. Nel 2005 Schröder annunciò con orgoglio al Forum Economico Mondiale a Davos in Svizzera che "noi abbiamo costruito uno dei migliori settori a basso salario in Europa".
Il New York Times ha così descritto il miracolo del lavoro in Germania:
Ma, dietro al cosiddetto miracolo economico tedesco, c’è una sottoclasse di impiegati mal pagati, i cui redditi poco hanno goduto dalla stabilità del paese, tanto che si sono contratti nei termini reali nell’ultimo decennio, secondo i dati più recenti.
E, a causa delle politiche statali che hanno lo scopo di tenere bassi i salari per scoraggiare la delocalizzazione e incoraggiare la formazione professionale, non è probabile che i redditi di questi lavoratori riescano a salire rapidamente.
E, quindi, è probabile che dovranno continuare a dipendere dai programmi di aiuto statali per far quadrare i conti, al costo di miliardi di euro annui pagati dai contribuenti.
Il paradosso di un’alta marea che non riesce ad alzare tutte le barche è in parte dovuto al fatto che la Germania non ha un minimo salariale. Ma le radici sono anche nelle recenti politiche tedesche, che ha favorito misure per tenere bassa la disoccupazione e per ottenere il sostegno dagli imprenditori […]
La Confederazione delle Associazioni di Imprenditori Tedeschi ha asserito che l'introduzione di un salario minimo farebbe salire il costo del lavoro e quindi creerebbe disoccupazione. I lavori si sposterebbero dalla Germania verso l’Europa Orientale o l’Asia.
Queste nuove politiche lavorative non hanno solamente colpito i lavoratori tedeschi, ma hanno anche largamente contribuito alla crisi sempre più acuta dell’Europa. I bassi salari e il lavoro insicuro hanno aiutato gli imprenditori tedeschi per aumentare le esportazioni e limitare le importazioni. Il Global Employment Trends 2012, un report dell’OIL, corrobora questa ipotesi. Secondo un articolo che ne riassume il contenuto:
"L’aumento di competitività degli esportatori tedeschi è stato sempre più identificato come la causa strutturale che ha causato le recenti difficoltà dell’eurozona", è scritto nel rapporto. I paesi in crisi non sono stati capaci di a sufficienza le proprie merci in Germania, dato che la richiesta nazionale non era abbastanza sostenuta a causa dei bassi salari.
L'OIL ha affermato che le politiche tedesche per tenere bassi i salari hanno creato le condizioni per una crisi prolungata in Europa, perché le altre nazioni del continente hanno preso in considerazione solo una maggiore deflazione salariale come soluzione per la propria mancanza di competitività.
L’istituto ha fatto appello alla Germania per attuare cambi rapidi. "La fine di una politica dei bassi salari avrebbe effetti positivi sul resto d'Europa e ripristinerebbe una distribuzione dei redditi più equa", si legge nello studio.
Come evidenziato dal grafico qui sotto, i salari tedeschi sono stabili da più di un decennio.
Non c’è da sorprendersi che la Germania stia esportando così bene, e che le altre economie europee abbiano difficoltà a competere. Mentre i politici tedeschi danno la colpa alle altre economie per i loro problemi, è un fatto che la crescita tedesca sia dipesa dagli alti consumi e dai prestiti contratti in questi paesi. Come ha suggerito un analista:
La Germania, ricordiamolo, rappresenta il 28% dell'intera economia dell’eurozona. Non è strano pensare che gli squilibri dell'economia tedesca siano in grado di guidare - o almeno amplificare – gli squilibri di tutta la regione. La capacità dei tedeschi di comprare dalle altre nazioni europee è comunque più forte di quanto la stagnazione dei salari potrebbe suggerire. È ancora più importante l’aumento delle differenze tra i redditi. E ciò vuole dire che la ricchezza è stata ridistribuita dai poveri, che tendono a spendere, ai ricchi, che tendono a risparmiare.
In breve, se vorremo farci carico dei nostri problemi economici, dovremmo analizzare in modo critico l funzionamento delle dinamiche di accumulazione capitalista. Tentare di emulare le cosiddette storie di successo non porta da nessuna parte.



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