Non è solo una questione di spread: ascoltate la Consob

Probabilmente, dal punto di vista economico, la notizia del giorno sarà che lo spread di rendimento dei titoli di Stato decennali italiani è tornato sotto i 400 punti, a 399 per l'esattezza, ovvero ai minimi da inizio dicembre. Sempre che non ci siano scossoni pomeridiani (come è infatti successo: un'ora dopo la stesura del pezzo, al momento di andare in pagina alle 14,30, lo spread era già risalito a 428) si dirà che dunque l'Italia sta facendo ricredere i mercati. Che l'Italia ce la può fare. Che le manovre salva-italia e cresci-italia vanno nella direzione giusta.
Può anche darsi che sia così, pur ricordandosi sempre di una cosa: i mercati hanno tempi diversi da quelli dei governi sia nel dare giudizi negativi, sia per quelli positivi. Lo spread che scende non è una sentenza, non è una decisione presa, è una fotografia di un attimo fuggente. La stabilità è un'altra cosa. Si conquista a gioco lungo. Ma nel contesto dato, ed è questo che ci preoccupa più dell'andamento dello spread, verso dove stiamo andando e verso quale stabilità? Che ci aspetta insomma dopo l'eventuale cura tutta in salsa economico-finanziaria di Monti?
La lettera del presidente di Consob, Giuseppe Vegas, pubblicata oggi sul Corriere della Sera, ricordando che l'attività della Commissione nazionale per la società e la borsa «è rivolta alla tutela degli investitori, all'efficienza, alla trasparenza e allo sviluppo del mercato mobiliare italiano», segna - dal nostro punto di vista - un punto di non ritorno. Perché se non si prende atto di quello che dice, se non si capisce che è qui il nodo sul quale confrontarsi per rifondare l'economia e, questo lo aggiungiamo noi, riconvertirla verso l'ecologia, davvero la crisi non sarà servita a nulla e la politica avrà perso forse l'ultima chance per ritrovare la sua credibilità.

«L'attuale crisi - dice Vegas - è figlia anche dell'incapacità dei sistemi politici occidentali di dare una soluzione «forte» e di lungo respiro all'eterno conflitto tra regole e mercato. Proprio il conflitto che si sta consumando sotto i nostri occhi.
Per trovare il bandolo di una matassa così complicata, non si può fare a meno di partire da una nuova analisi del rapporto fra le regole e il mercato, proprio perché la situazione attuale, certo non priva di problemi, ci spinge a valutazioni di carattere sistemico. Guardiamo ai fatti. Se ci dovessimo esprimere, oggi, non potremmo che affermare che ha vinto il mercato. Le regole, e con esse la politica, si sono dimostrate lente e inadeguate e non hanno fatto altro che cercare di inseguire, senza riuscirvi, le novità che il mercato ha portato nella vita di ciascuno di noi».
Politica assente, tempi incompatibili con la democrazia, due punti fondamentali con esplicitato subito il dubbio che dovrebbe come minimo nascere nei nostri governati: «Occorre però domandarsi se un simile approccio abbia fatto il bene di cittadini, risparmiatori e contribuenti e, in definitiva, se abbia fatto il bene del mercato stesso, inteso quale luogo dove si forma la libera volontà di venditori e compratori su un prezzo trasparente di beni chiaramente individuabili».
E qual è la risposta di Vegas? «Per constatare quanto la realtà sia lontana dai desideri, basti considerare due fenomeni: quello della cattura del regolatore e quello della concorrenza fra sistemi giuridici. Quanto al primo, abbiamo assistito, soprattutto negli ultimi trent'anni, alla progressiva finanziarizzazione dell'economia, che è avvenuta sostituendo le transazioni relative a beni reali con la commercializzazione di strumenti finanziari, molto spesso scollegati da qualunque effettivo riferimento all'economia reale e ai suoi fondamentali. È qui che si è verificato il primo colossale errore di prospettiva delle autorità pubbliche e dei regolatori. Essi, per non essere tacciati di antimercatismo o di statalismo, non hanno fatto altro che inseguire i nuovi prodotti offerti sul mercato - dai derivati agli Etf (exchange traded fund), ad esempio - cercando di regolamentarne qualche inutile particolare».
Anche per la Consob, quindi, il re è nudo: «In sostanza si sono comportati come un ministro della Sanità che, anziché vietare l'uso indiscriminato della stricnina, invitasse i produttori a migliorarne la formula e a modificare la quantità degli eccipienti. In realtà, ciò che hanno mancato di fare i regolatori è stato di valutare se i prodotti in questione fossero più o meno nocivi al mercato e ai risparmiatori e, di conseguenza, semplicemente bandirli. La crisi del 2007-2008 e quella attuale sono figlie di questo approccio passivo».
Dunque il problema del ruolo dello Stato rispetto al mercato, è un falso problema. Il mercato lasciato a se stesso se ne infischia di democrazie o dittature, perché la sua capacità camaleontica arrivata all'acme grazie alla finanziarizzazione progressiva e implacabile dell'economia non porta ricchezza se non a quel famoso 1% contro cui si scagliano quelli di Occupy Waal Street.
Quindi più Stato, quindi regole ma tali da riportare per prima cosa i tempi in linea con le capacità di elaborazione e analisi delle democrazie. Che tanto per capirsi dovranno rimettersi in discussioni anche su questioni che oggi sembrano fumo negli occhi ai cittadini convinti che il guaio dell'Italia siano i politici e le caste. Di certo questi non hanno dato un bello spettacolo di loro, ma questo perché è stata completamente assurda la scelta della classe politica attuale.
Come spiega bene Massimo D'Antoni sull'Unità, l'idea anti-casta e anti-privilegi e anti-politica degli ultimi anni ha partorito situazioni dove con il taglio dei finanziamenti pubblici ai partiti, questi i soldi siano andati a cercarli altrove come minimo non migliorando la trasparenza delle campagne elettorali. Al momento in cui per salvare gli Stati i mercati chiedono ai governi in sostanza di creare un fondo Salva-Stati dove va a finire la giugulatoria sul più Stato o meno Stato?
Bisogna riscrivere le regole del gioco, questi sì. L'alternativa è adattarsi ancor di più alle regole dei mercati e quindi aspettare la loro chiamata di fronte ai loro fallimenti, portandoci verso una situazione dove prevarranno solo forme ademocratiche governate dalla finanza. E' questo il futuro che vogliamo?
Certamente non può esserlo per chi vuole risolvere non solo la crisi economica, ma anche quella sociale e quella ambientale. «Se dunque non vogliamo inseguire crisi che si ripresentano in tempi sempre più ravvicinati - sono le conclusioni di Vegas - , è giunto il momento di «tornare allo Statuto» e imporre per i mercati regole poche e chiare (l'americano Dodd-Frank Act del 2010 è un tomo di duemila pagine che, volendo occuparsi di ogni più minuto fenomeno, ha lasciato tutto come prima) e soprattutto che servano a riportare il risparmio dei cittadini verso l'economia reale».

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