I morti sul lavoro e la spudorata ipocrisia dei media
I morti sul lavoro in Italia si ricordano solo quando muoiono in gruppo. Il quotidiano stillicidio dei singoli passa quasi inosservato, finisce nelle brevi, scade nel silenzio delle non-notizie, scavalcato dalle escort, dalle beghe giudiziarie dei nostri politici, dall'italietta che ogni giorno va in onda sui teleschermi e sul web, dove notizie fotocopiate regolano l'indignazione comune ma dimenticano l'umanità vicina, quella che lavora in fabbrica. E muore.
"Nel XXI secolo non si può morire di lavoro", ripetono i presidenti di istituzioni, associazioni, enti e fondazioni alle diverse commemorazioni. Eppure si muore. Una strage che - secondo i dati dell'Ossservatorio Vega Engineering - dall'inizio del 2011 ha mietuto già 348 vittime, 24 in più (+7,4%) di quelle registrate negli stessi mesi dello scorso anno. Trecentoquarantotto persone che sono uscite di casa la mattina e non vi hanno fatto più ritorno. Una strage che se fosse accaduta in un solo giorno, avrebbe superato di poco il dramma del terremoto dell'Aquila e attirato la solidarietà dei Paesi stranieri, costringendo il Parlamento a proclamare il lutto nazionale. Ma nulla di tutto ciò accadrà mai. In Italia si commemorano i militari morti in guerra ma non quanti ogni giorno costruiscono questo Paese con il lavoro. Sarà retorico e forse populista ma è così. E i media non aiutano: ci si ferma alla notizia solo quando muoiono tre o più lavoratori - vedi il caso di Frosinone - altrimenti l'eco della vicenda è pari a un titoletto di breve che scorre nella parte bassa del teleschermo o - peggio - a una notizia non data.
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