Campania, consigliere Pdl arrestato Ancora mazzette e appalti in cambio di voti


Il gip di Salerno definisce Alberico Gambino "capo di un cartello criminale" che dal 2006, avvalendosi di "fidati e spregiudicati collaboratori" e grazie all'aiuto di esponenti della criminalità organizzata, avrebbe ridotto Pagani a un feudo "dove camorra e politica sono strettamente intrecciate e dove tutto è possibile"

Posti di lavoro, controllo di attività commerciali, rapporti privilegiati con la camorra, imprenditori sotto scacco. Un cartello criminale con politici e camorristi, protagonisti alla pari. E’ lo scenario che emerge dall’ordinanza cautelare che ha portatoall’arresto del consigliere regionale del PdlAlberico Gambino, già sindaco di Pagani, nel salernitano. Concussione, associazione a delinquere finalizzata allo scambio elettorale politico mafioso, i reati contestati. Il clan di riferimento quello Fezza- D’Auria Petrosino, con il quale Gambino intratteneva rapporti continui. Con lui in manette sono finite altre sei persone, altre cinque sono indagate in un’inchiesta condotta dal Comando provinciale dei carabinieri, su ordine della Direzione distrettuale antimafia di Salerno, coordinata dal procuratore Franco Roberti.

“Dal procedimento in esame – si legge nell’ordinanza firmata dal gip Gaetano Sgroia- emerge che non sempre per intimidire un imprenditore è stato necessario inviare un proiettile in una busta da lettera oppure bruciare un’autovettura, in quanto è talmente notorio il collegamento tra i menzionati esponenti politici e i camorristi che non c’è neppure la necessità di arrivare a questo”.

La camorra garantiva la forza di intimidazione quando necessario, la politica assicurava posti di lavoro e appalti, in cambio di voti e consensi con la complicità di imprenditori, consiglieri e dirigenti comunali. Un’inchiesta solida per la mole di riscontri incrociati: testimonianze, intercettazioni, denunce, oltre che il racconto dei pentiti.


Le estorsioni in nome del Comune. Le multinazionali che decidono di scendere al Sud e di investire a Pagani vengono costrette, non tanto a pagare il pizzo, quanto a subire continue estorsioni (che il gip inquadra come concussione essendo gli amministratori pubblici ufficiali). E’ il caso del centro commerciale Pegaso. La cupola, con dominus Gambino, teneva sotto scacco il titolare. L’imprenditore Amerigo Panico prima ha assecondato le richieste poi ha deciso di denunciare, confortato dal racconto anche di altri imprenditori della catena, consegnando puntuali registrazioni delle pretese estorsive. Panico era ormai sotto scacco, il gruppo criminale controllava le politiche di assunzioni e le strategie aziendali. Si andava dalla scelta del cugino della moglie di Gambino come direttore della Galleria, passando per il controllo della stazione di carburante, fino ad affidare la gestione dei parcheggi del Centro Commerciale ai fratelli Michele ed Antonio D’Auria Petrosino, “ponendo a guardiania degli stessi il pluripregiudicato Antonio Fisichella”. L’obiettivo è quello di ricondurre il controllo del centro commerciale a “uomini vicini al Gambino, appartenenti al suo stesso cartello, occasionalmente costituito – scrive il gip Sgroia – al fine di ridurre il centro commerciale Pegaso in una riserva di posti di lavoro e quindi di voti, un luogo ove imporre le aziende vicine al gruppo dominante in Pagani, a prescindere dal fatto che queste siano controllate direttamente o indirettamente da pregiudicati legati alla camorra”. Le modalità per costringere l’imprenditore erano diverse, dall’aumento della tassa sui rifiuti alla minaccia di chiusura domenicale. I rapporti tra Gambino, politico vicino al presidente della provincia di SalernoEdmondo Cirielli (di cui era stato consulente) e a Nicola Cosentino, e la camorra sono inequivocabili.

Anche i rifiuti e la loro raccolta erano di competenza del pregiudicato Michele D’Auria Petrosino(che nel gennaio scorso rinnegava sui giornali la camorra), figlio del boss detenuto Gioacchino. Michele Petrosino era inserito nel disegno criminale gestito da Gambino e usava la spazzatura come arma di intimidazione, pulendo o meno le zone di competenza degli ‘amici’. Gambino coltiva anche la passione calcistica divisa con i fratelli Trapani, Raffaele (il presidente della società) coinvolto precedentemente in un’inchiesta della magistratura per associazione camorristica, è finito anche lui in galera. Anche per la Paganese solito sistema ricattatorio per reperire soldi.

Le Regionali di camorra. Già un altro consigliere regionale Roberto Conte, da condannato in primo grado per concorso esterno in associazione camorristica, aveva con i suoi voti (9 mila) contribuito all’elezione di Stefano Caldoro, nel 2010, alla presidenza della regione Campania. Dall’ordinanza, eseguita ieri dai carabinieri, emerge chiaramente che i voti (27 mila) portati in dote da Alberico Gambino “puzzano” di camorra. All’epoca Gambino risultava già condannato per peculato (processo da rifare per la cassazione), ma il Pdl spinse per la sua candidatura. Mara Carfagna oppose resistenza pur ammettendo “è uno degli amministratori migliori che abbiamo avuto”.

Oltre al peculato, Gambino risulta indagato anche per lottizzazione abusiva, poca cosa rispetto ai rapporti stabili con i camorristi di Pagani. Durante le regionali del 2010 le elezioni avvenivano in un clima di paura e intimidazioni, “con camorristi come i fratelli D’Auria Petrosino Michele e Antonio che pubblicamente evidenziavano il loro incondizionato appoggio alla campagna elettorale di Gambino”. Una campagna elettorale caratterizzata dall’imposizione del pagamento di tremila euro al titolare del centro commerciale per finanziare la campagna elettorale. Nell’ordinanza si evoca una Pagani degli anni ’80, a proposito delle botte inferte ai lavoratori dal camorrista nel silenzio dei sindacalisti, omertosa come allora quando era il regno indiscusso di Raffaele Cutolo, capo della nuova camorra organizzata. Erano gli anni della spartizione post-terremoto quando i pochi sindaci perbene cadevano sotto i colpi di arma da fuoco per essersi opposti alla carneficina di diritti e regole. Pagani pagò il suo tributo di sangue, il primo cittadino l’avvocato Marcello Torre fu ucciso l’11 dicembre 1980. Faceva il sindaco al servizio dell’interesse collettivo in nome e per conto della democrazia.



da "Il Fatto Quotidiano"





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