Tsunami in Italia, il vulcano Marsili e i maremoti più forti degli ultimi 300 anni


Le immagini impressionanti del Giappone sono passate sugli schermi di tutte le tv del mondo. L’interrogativo sorge spontaneo: anche da noi, in Italia, sono possibili tsunami? La risposta è sì. Ce ne sono stati almeno una trentina negli ultimi 1000 anni. Tsunami innescati dalla della violenza di quello che ha colpito il Giappone sono per fortuna poco probabili, o perlomeno visto che resistono gli edifici storici, sicuramente non ce ne sono mai stati di così forti negli ultimi 2.000 anni.

Uno degli tsunami più forti che si siano mai registrati in Italia è quello del 1783 che colpì la Calabria tirrenica, innescato da un sisma dell’undicesimo grado della scala mercalli. Le coste calabresi da Messina a Torre del Faro e da Cenidio a Scilla furono devastate. Il mare travolse la costa per quasi 2 chilometri. L’onda più alta fu registrata a Marina Grande (Scilla). In molte altre località (Peloro, Torre del Faro, Punta del Pezzo) il fronte d’acqua raggiunse 6 metri d’altezza.

In epoca più recente, si ricorda lo tsunami causato da una frana dello Stromboli nel 2002. Fu un evento limitato ma che indica il potenziale pericolo delle regioni meridionali italiane. A preoccupare quindi non solo possibili scosse o eruzioni molto violente. Lo tsunami può essere causato anche da crolli e frane dovuti all’attività vulcanica. Come sappiamo, l’arco eolico è estremamente attivo.

Negli ultimi anni è stata accertata la presenza di un vulcano sottomarino molto pericoloso. Si tratta del vulcano Marsili. Si trova circa 140 km a nord della Sicilia e circa 150 km a ovest della Calabria. E’ il più grande vulcano d’Europa, essendo esteso per 70 km in lunghezza e 30 km in larghezza. Il monte si eleva per circa 3000 metri dal fondo marino, raggiungendo con la sommità la quota di circa 450 metri al di sotto della superficie del mar Tirreno. Sappiamo che il vulcano è attivo. Un’eruzione potrebbe provocare una tremenda onda di tsunami che potrebbe spazzare via le coste di Campania, Sicilia e Calabria. L’Ingv sta intraprendendo esami e studi dettagliati per conoscerne meglio l’effettiva pericolosità e studiare eventuali segnali premonitori.

Anche l’Adriatico è esposto potenzialmente ai pericoli di uno tsunami. Il primo avvenne nel 1511 nel Nord Adriatico e causò un innalzamento del mare a Trieste. Il secondo, ben più grave, colpì l’area tra il Gargano e il Molise nel 1627 (onde alte fino a cinque metri si abbatterono tra Fortore e San Nicandro, nei pressi del lago di Lesina, e colpirono anche Termoli e Manfredonia). Nel 1672 un maremoto interessò l’Adriatico centrale, causando inondazioni a Rimini. Sempre fra Rimini e Cervia si verificò un innalzamento del mare, in seguito a un terremoto, nel 1875.


fonte: cronacalive




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Commenti

Anonimo ha detto…
Se non sbaglio, il vulcano si trova proprio sul versante scelto per la costruzione di una centrale enucleare.

Quando anni fa (2007/2008), obbiettai - ad un fisico pro-nucleare - che in Sicilia era meglio non costruire centrali, mi inviò una mappa sul rischio terremoti del territorio nazionale, ed effettivamente quel versante era contrassegnato con il colore giallo/arancione (sicuro), evidentemente non teneva conto dei problemi nascosti, che erano quelli che io cercavo di evidenziare (con riferimento al maremoto del 1908), ma essendo io un semplice diplomato non potevo competere dialetticamente con le convinzioni e le presunte argomentazioni di un fisico.

Forse è il caso di ricordare le parole dell'ingegnere che ha progettato la centrali di Fukushima «Se ti metti a pensare ai terremoti la centrale non la costruisci» (non sono le parole testuali).

Ciao

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