Un Codice incivile


Era il 16 marzo 1942, quando Vittorio Emanuele III, «per grazia di Dio e per volontà della Nazione re d’Italia e di Albania imperatore d’Etiopia», approvava il nuovo testo del Codice civile con il visto del guardasigilli Grandi e di Benito Mussolini.
Il Codice è poi entrato in vigore il successivo 21 aprile e, nonostante i cambiamenti radicali sia a livello costituzionale sia a livello politico, le sue disposizioni continuano oggi, dopo quasi 70 anni, a trovare la loro costante applicazione. Anche se l’esigenza di innovare si avverte da qualche decennio in diversi ambiti.
Già nel 1978 il professor Natalino Irti, avvocato e docente di Diritto privato all’Università La Sapienza di Roma, aveva scritto e pubblicato una monografia su una tendenza alla decodificazione sempre più frequente in Italia, un ricorso continuo a leggi speciali che derogavano a quella generale racchiusa nel codice civile del 1942. Era quanto avvenuto per la disciplina delle locazioni,rappresentata da leggi completamente nuove e autonome rispetto alla normativa codicistica; analogo fenomeno si era verificato per i lavoratori la cui tutela era stata affidata prevalentemente allo Statuto del 1970 e a una serie di leggi emanate nel corso degli anni. Sostanziali modifiche hanno più di recente interessato l’ambito societario e ormai prossima è la riforma in materia condominiale che fornirà una disciplina maggiormente adeguata alle mutate esigenze sociali dei grandi centri urbani.
Eppure, a fronte di detti cambiamenti, ci sono disposizioni del codice che non mutano spontaneamente al passo con i tempi, norme che purtroppo vengono modificate solo dopo anni di battaglie sociali, giudiziarie e giuridiche, norme contenute in quel libro “Primo” che disciplina le persone fisiche ma non ancora la relativa facoltà di scegliere se vivere o morire, sposarsi o convivere, avere un figlio in modo naturale o mediante fecondazione assistita, adottarne uno anche se si è single o gay. Il libro Primo del Codice civile, quello che è stato oggetto delle maggiori riforme negli anni 70, grazie alle battaglie per il divorzio e l’aborto, quelle che hanno consentito di assimilare i figli naturali nati fuori dal matrimonio a quelli legittimi, nati, invece, da persone legate dal vincolo coniugale.
Purtroppo ancora oggi le disposizioni più importanti, quelle che attengono alla sfera più intima di ogni singolo cittadino, continuano a essere vigenti e a essere applicate nella loro originaria formulazione.
Le battaglie giudiziarie durate anni nella vicenda Englaro sono una dimostrazione di come il nostro ordinamento non sia in alcun modo garante della volontà dei suoi cittadini, costretti a intraprendere annose lotte in piazza e nelle aule dei Tribunali.
Nonostante di tempo ne sia passato e molte situazioni avvertono l’esigenza di un radicale intervento del legislatore, molti aspetti della sfera privata dell’individuo risultano ancora fortemente condizionati da una invadente cultura di matrice cattolica.
L’unica speranza, e solo in certi casi, è rappresentata dal buon senso di un giudice capace di comprendere come la facoltà di scelta del singolo individuo debba trovare ampio rispetto, al di là di principi risalenti a un’epoca in cui concetti come dignità e volontà dell’essere umano non avevano alcun genere di riconoscimento, né tanto meno di tutela.



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