Libia, le vittime civili della guerra

Intervista a monsignor Giovanni Innocenzo Martinelli, vicario episcopale di Tripoli, in Libia da quarant'anni.

Come va, monsignore?
Come va... siamo sotto le bombe. Vogliono colpire siti ben precisi, senza provocare danni ai civili. Come si fa? Se colpisco un sito, per quanto preciso io possa essere, devo anche immaginare che accanto possa esserci un ospedale, una casa, e civili. Devo pensarci, che sia la casa che l'ospedale che i civili possono subire delle conseguenze. Colpiscono senza sapere esattamente cosa può esserci attorno a questo sito. Se c'è un deposito di bombe, per esempio, immagino che colpendolo anche le abitazioni circostanti, e chi vi abita possa esserne colpito. E' un paradosso, questa operazione militare. E' bene che si sappia la sofferenza inflitta alla popolazione dalle azioni militari. Stanno causando vittime tra quei civili che si vorrebbero proteggere. Lo ripeto: se si vuole una soluzione pacifica occorre coinvolgere l'Unione Africana, la Lega Araba e alcuni organismi locali. Ma mi sembra che prevalga un altro tipo di logica.

Ha notizia di vittime civili?
Certo che ce l'ho, altrimenti non ne parlerei. Non ho visto queste vittime direttamente, ma ho testimoni che le hanno viste e che possono riferirlo. Persone che abitavano nei pressi di questi siti sono morte sotto il crollo della loro casa. Una famiglia, in particolare, è stata uccisa da queste 'bombe intelligenti'.

Quanti civili sono morti? Siamo nell'ordine delle unità o delle decine?
Io ho avuto diretta testimonianza di questa famiglia di quattro-cinque persone. E poi so di un'altra persona morta per una scheggia nel cranio, forse colpita dalla contraerea sparata troppo bassa. Non si può dire esattamente che cosa succede. Ma se mi cade vicino, come è accaduto al reparto di cardiologia dell'ospedale di Tajura, una bomba... una bomba non è una caramella, e ha conseguenze, nuoce alle strutture, agli ammalati, al personale degli ospedali. Per lavorare in un ospedale ci vuole un minimo di tranquillità e di sicurezza, e il personale è spaventato, vuole partire, andarsene via. Lo stesso è successo a Misda, vicino all'ospedale abitavano alcune infermiere filippine. La loro casa è stata distrutta e hanno dovuto sloggiare.

La sede del vicariato è in centro?
Sì, noi non siamo stati toccati, ma ci hanno svegliato le bombe che cadevano a poca distanza. Grazie a Dio fino ad adesso non ci hanno toccato.

Della coalizione fa parte anche il nostro Paese. Come giudica la politica italiana?
Non so se ci sia una politica. E se c'è, non capisco quale sia realmente. L'Italia, che era diventata così amica della Libia, gli ha voltato le spalle. Io conosco persone di un certo livello, in ambito religioso, di provato prestigio morale, che avevano desiderio di allacciare un rapporto di mediazione, che confidavano nella mediazione italiana. Avevano fiducia. A questo punto non so dove possa attingere la fiducia della Libia se chi le era amico gli ha voltato le spalle. Ho ripetuto mille volte, in mille occasioni, che bisogna rispettare l'identità di questo Paese, con la sua situazione particolare nel contesto dell'Unione Africana e della Lega Araba. Questo principio non è stato rispettato nella riunione di Londra, e per questo la riunione ha fallito. La Libia ha ancora un suo ascendente nell'Unione Africana, ha amicizie con molti Paesi africani. Si potrebbe e si dovrebbe trovare una soluzione diplomatica che sia rispettosa e accettabile. Anche il Santo Padre domenica scorsa ha sottolineato che la voce del dialogo è una voce potente. Non si può mettere in pratica politiche che non tengono conto di questa esigenza.

La voce del dialogo sembra non essere stata ascoltata. In che posizione vede Gheddafi oggi?
Non sono in grado di giudicare la sua posizione, in quanto io mi occupo di altro. La mia attività è molto ridotta e concentrata sul campo religioso. Io ho lavorato molto per il dialogo islamo-cristiano, e proprio attraverso queste componenti del dialogo, come ad esempio un'istituzione chiamata Islamic Call Society di Tripoli, si era affacciata l'idea di un dialogo con Paesi che hano un peso morale, un'influenza su Gheddafi. Io penso che Gheddafi non cederà. Questo deve essere chiaro, e l'ho detto dall'inizio, non pensate che lui ceda sotto le bombe. Lui non cede. Teniamo conto di questo e della possibilità di dargli una strada per poter dialogare, se possibile, quanto meno provare, all'interno del contesto giuridico dell'Unione Africana.

Esiste qualche forma di discriminazione ai danni dei cristiani in Libia?
Assolutamente no. In questi quarant'anni la mia chiesa non ha subito nemmeno un graffio. C'è stato soltanto, se si ricorda, l'episodio di Bengasi, circa cinque anni fa, hanno assaltato la chiesa e l'hanno bruciata, ma era un episodio connesso all'assalto al consolato italiano, ed era legato...

Alle vignette di Maometto sulla maglietta di Calderoli.
Ecco.

Come vede l'evoluzione del conflitto?
Non vedo evoluzione se non c'è una via diplomatica. Sono convinto che le bombe non porteranno la pace in Libia. Bisogna avere il coraggio della diplomazia e del dialogo, da parte dei Paesi occidentali. La pace è possibile solo con il dialogo. Non si porta con le bombe.

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