Costa D'Avorio. E' tragedia umanitaria. Civili torturati e arsi vivi

Sempre più rifugiati  scappano dalla guerra in Costa D’Avorio, prima civile, e ora “umanitaria”(dopo l’intervento congiunto di Francia e Onu Lunedì scorso), ora diretti  anche in Liberia. Alcuni di essi hanno riferito di essere stati coinvolti in scontri a fuoco durante la fuga. Altri sono stati costretti a trovare riparo e a trascorre la notte all’aperto per paura di cadere vittime di violenze,  che sempre più spesso sfociano nell'intolleranza interetnica, tra pro-Gbagbo e pro-Ouattara.

La Francia ( con le truppe della missione “Licorne”) e l'Onu ( con la missione locale Unoci) hanno iniziato gli attacchi congiunti lunedì, per costringere Gbagbo, il presidente uscente asserragliato nel suo bunker ma supportato da migliaia di ribelli che in queste ore stanno riguadagnando terreno ad Abidjan, a lasciare il potere e consegnarlo a Ouattara, riconosciuto vincitore delle scorse elezioni presidenziali da gran parte della comunità africana come da quella internazionale.

Nella capitale Abidjan ci sono posti di blocco presidiati da uomini armati ovunque, specialmente nei punti nevralgici in cui si concentrano le migrazioni di civili in fuga, in cerca di rifugio. In molte di queste località dove il numero e le necessità della popolazione sono ancora incerti, c'è urgente bisogno di cibo e farmaci. E’ emergenza per approvvigionamenti e medicine: negozi, supermercati, drogherie e ospedali sono chiusi per paura degli scontri e degli sciacallaggi. L’elettricità viene erogata a intermittenza, tant'è che blogger e giornalisti ivoriani parlano di una situazione al limite della sopportazione.

In migliaia abbandonano le proprie case in cerca di rifugio, mentre i  rifugiati  in arrivo in Liberia sono traumatizzati, esausti, affamati e spesso gravemente malati. Ma non solo. Molti  fuggiti attraverso il confine con la Liberia hanno riferito di casi di stupro e abusi sessuali. La maggior parte delle violenze  sono avvenute al di fuori delle città di origine, appena la gente ha cercato di fuggire, o addirittura nei posti di blocco. Arrivano racconti di bambini nei villaggi in Liberia, nella contea di Nimba,  costretti a guardare mentre le loro madri vengono violentate e poi uccise.  In diversi casi, i bambini stessi sono stati poi violentati.
Assistiamo nuovamente, purtroppo, al sopruso, all’abuso e all’umiliazione come strumento politico, come un terrificante mezzo per svilire e annullare la memoria collettiva di un gruppo etnico (tale definizione è stata anche recentemente riconosciuta dal diritto internazionale).

I rifugiati affermano che le aggressioni sessuali sono state commesse da entrambe le fazioni in lotta, sia dai  sostenitori di Gbagbo che da quelli di Ouattara, così come da membri della milizia ai posti di blocco. Alcune delle vittime - secondo testimonianze oculari, che ci fanno tornare alla mente i fatti del Rwanda e del Congo  - sono  state bruciate vive e i corpi gettati in fosse comuni e pozzi. La maggior parte dei rifugiati provengono da Duékoué, dove fino ad ora almeno 800 persone sarebbero state massacrate. M

Venerdì scorso, le Nazioni Unite hanno annunciato la scoperta di più di 100 corpi nella zona ovest della nazione, dove le truppe di Ouattara hanno preso il sopravvento. I morti appartengono ad  un gruppo etnico sostenitore di  Gbagbo, motivo per cui ci si sta interrogando sulla prospettiva di Ouattara presidente. Ha senso per l’Onu spalleggiarlo alla luce dei massacri che il suo gruppo etnico e le sue milizie stanno perpetuando? La risoluzione Onu utilizzata per l’intervento in Costa  d’Avorio ha lo stesso impianto di quella utilizzata per la Libia: la difesa dei civili. Ma in realtà il parallelo è ben altro: Stati  Uniti e Onu sono entrati in gioco in Libia appena le roccaforti petrolifere sono state messe in pericolo; in Costa d’Avorio Onu e Francia hanno deciso di muoversi (dopo mesi di silenzio da parte di media e comunità internazionale) per far fronte alla nazionalizzazione del cacao (di cui la Costa d’Avorio è il primo produttore mondiale) imposta da Gbagbo.

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