Una vita difficile e una morte orribile: la storia di Lea Garofalo

Lea Garofalo  era figlia di Antonio Garofalo, un capocosca della criminalità calabrese, ucciso nel 1975, quando Lea era ancora piccolissima. Essere figlia di un capocosca ucciso dalla faida non deve essere stato facile crescere serenamente. A 16 anni, scappò di casa perché si era innamorata di  Carlo Cosco.
A 17 anni divenne madre di una bambina. Ma quando si innamorò non sapeva che anche il suo Carlo voleva farsi strada nel mondo della mafia e che si era messo con la figlia del boss, proprio per questo.
La vita con questo compagno mafioso e la conoscenza dei delitti che questa faida commetteva hanno inciso su di lei profondamente, tanto che decise, di collaborare con la giustizia. 
Si separò da Carlo e raccontò i retroscena della faida tra i clan Mirabelli e Garofalo di Petilia Policastro, provincia di Crotone. Raccontò di un delitto avvenuto a Milano nel 1995, con la complicità del suo ex Carlo Cosco.
Ma Carlo è riuscito a vendicarsi. Facendo leva sull’amore della figlia e con la scusa di voler incontrare la figlia, ha attirato Lea Garofalo in casa sua e l’ha uccisa il 24 novembre 2009, e poi sciolta nell’acido.

Carlo Cosco è ora accusato di aver ucciso la sua ex compagna, madre di sua figlia, con l’aiuto dei fratelli Giuseppe e Vito. Tutti saranno giudicati con rito immediato il 6 luglio prossimo.
In un primo tempo Lea è stata protetta, secondo le disposizioni delle leggi italiane, previste per i collaboratori di giustizia, ha goduto di uno stipendio fisso e di un lavoro, oltre che di una casa rifugio, poi le hanno tolto tutto.
Morì anche suo fratello  Floriano, subentrato al padre nella cosca, ucciso in un agguato sempre a Petilia di Policastro, nel giugno del 2005, e Lea si convinse che la morte del fratello era stata causata dalla sua collaborazione con la giustizia.
La vita che conduceva la costringeva a stare in casa con la figlia Denise e  questo impediva alla figlia stessa di aver una vita normale. Lea soffriva per aver imposto alla figlia una vita simile. Si ammalarono entrambe, Lea di depressione e la figlia di disturbi alimentari.
Dopo due anni di collaborazione con la giustizia, la protezione le fu tolta e Lea dovette ricorrere al Tar del Lazio per riaverla. Nel periodo in cui le avevano tolto la protezione le tolsero anche la casa e Lea con sua figlia vissero  per in bel po’ di tempo, in macchina.
Denise è testimone della fine che ha fatto sua madre. La sera in cui la donna scomparve, erano insieme a Milano. Lea l’aveva accompagnata per assecondare il desiderio della ragazza di rivedere il padre.
Gli assassini cercavano da anni di avvicinarla. Alla fine l’hanno attirata in una trappola, usando come esca l’amore per sua figlia.
Secondo l’accusa il progetto di assassinare Lea Garofalo era maturato fin dal 1996  quando lei, dopo aver scoperto la verità sulle attività criminali del compagno lo aveva lasciato. Per Cosco si troncava così un vantaggioso legame  familiare con il clan.
Quando Lea fu assassinata ed attirata nella trappola, non godeva più, ancora una volta, di alcuna protezione.


Ecco un link sull’argomento .

fonte

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Commenti

Anonimo ha detto…
che poi non venissero a dire che la gente è omertosa, se questo è il prezzo da pagare per chi collabora con la giustizia allora....
sud de-genere ha detto…
a proposito di lea garofalo:

http://suddegenere.wordpress.com/2010/12/02/una-lettera-pubblicata-tardivamente/

e anche altro...
Anonimo ha detto…
ciò dimostra ancora una volta che lo stato italiano non ha alcuna intenzione di combattere le mafie e che con questo comportamento nessuno denuncerà più nessuno l omertà parte dalle più alte istituzioni che schifo

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