Il destino sospeso dell’informatore americano di WikiLeaks
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Manning, analista militare di 23 anni, è stato arrestato nel maggio 2010 con l’accusa di trasferimento di informazioni riservate e diffusione di informazioni sulla difesa nazionale ad una fonte non autorizzata. Il Pentagono ha ora aggiunto 22 nuove imputazioni, tra cui l’utilizzo illegale di software governativi per scaricare informazioni riservate e il loro passaggio ad una fonte considerata ‘nemica’. Le accuse, formulate a seguito di 7 mesi di indagini, fanno riferimento ai più di 250.000 cables confidenziali del Dipartimento di Stato Americano e a diversi registri di guerra da Afghanistan e Iraq trasferiti e pubblicati sul sito di Wikileaks. Particolarmente spinosa risulta soprattutto la diffusione di un video militare che mostra un attacco da parte di elicotteri Apache americani contro uomini disarmati in Iraq, nel 2007: attacco che costò la vita anche a due operatori della Reuters. Il rilascio dei cables a Wikileaks, ha fatto sapere il Dipartimento di Stato, metterebbe a rischio molte vite rivelando l’identità di persone che lavorano segretamente con gli Usa e potrebbe compromettere le relazioni degli Stati Uniti con gli alleati, a seguito di commenti o descrizioni imbarazzanti rivelati a proposito di leader stranieri.
In particolare l’accusa di aiuto al nemico, in riferimento ai dispacci relativi a Afghanistan e Iraq,se confermata potrebbe valere come una condanna a morte: si tratta infatti di un crimine considerato dal Codice Uniforme di Giustizia Militare un reato capitale, ma gli accusatori dell’esercito hanno resa nota alla difesa di Bradley Manning la volontà di evitare una simile soluzione. Non si tratta comunque di una certezza: sebbene insolito, sono già stati registrati casi in cui la volontà degli accusatori non sia stata tenuta in considerazione nel corso del processo.
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Ma il vero problema, secondo Amnesty International, è lo scontro tra riservatezza e diritto alla libertà di informazione: «al di là della quantità di cables effettivamente trasmesse da Bradley Manning, – spiega Noury – in casi come questo dovrebbe prevalere la libertà di informazioneche aiuterebbe ad accertare situazioni di violazione dei diritti umani, com’è accaduto in Iraq. Sarebbe opportuno che questo punto fondamentale fosse sollevato al processo».
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