Dopo Tunisia, Egitto e Libia, anche in Siria tira aria di rivoluzione...

Qualcosa si muove anche in Siria. Martedì 15 marzo dopo la preghiera di mezzogiorno alcune centinaia di manifestanti anti-governativi hanno riempito le strade centrali di Damasco ed Aleppo. Mercoledì 16 si è replicata la protesta, con ancora più persone in strada.

Un video amatoriale pubblicato su youtube mostra i manifestanti sfilare nelle vie di Damasco, martedì nel primo pomeriggio. Altri video mostrano gli attivisti in al-Hamidiyan, principale arteria del suq della capitale. Fonti riportate dalla Bbc affermano che l’iniziativa era stata convocata dal gruppo Facebook “The Syrian revolution against Bashar al-Assad 2011”.

È la prima occasione in cui i siriani escono dal torpore del regime. Tra gennaio e febbraio due appelli lanciati sempre su Facebook non avevano avuto risposta, probabilmente a causa della massiccia presenza delle forze di sicurezza, in allerta nei giorni chiave della rivoluzione egiziana.

Testimoni affermano che nella giornata di martedì la polizia non è intervenuta per fermare i manifestanti, “limitandosi” ad arrestare sei attivisti. L’agenzia di stampa Associated Press riporta la notizia di scontri fra i manifestanti ed i sostenitori del presidente Bashar al-Assad.


Le richieste dei manifestanti riguardano riforme democratiche ed il rilascio dei prigionieri politici. La Siria, come l’Egitto, vive in uno stato d’emergenza in vigore dal 1963, anno dell’ascesa al potere della minoranza sciita alawita per mano di Hafez al-Assad, padre dell’attuale premier, Bashar al-Assad, succeduto al padre nel 2000.

Più determinato è stato l’intervento delle forze di polizia nella giornata di mercoledì: con l’impiego di manganelli hanno cercato di disperdere la folla, procedendo in seguito ad altri quattro arresti. Gli oppositori, stimati dalla Bbc in circa 150 individui, si sono concentrati nei pressi del ministero dell’Interno.

“Dopo una lunga attesa e la speranza di un’imminente rilascio dei prigionieri politici siriani, le nostre speranza sono svanite”, riporta un comunicato del Syrian Observatory for Human Rights. Le carceri siriane ospitano numerosi attivisti per i diritti umani, militanti kurdi, oppositori politici e dissidenti, quantificati dagli uffici di Bruxelles dell’Haitham Maleh Fundation in 4500.

Human Rights Watch conta 92 attivisti per i diritti umani e 25 fra blogger e giornalisti arrestati nella decade di governo Bashar. A questi vanno aggiunti almeno 36 morti legate alla repressione della minoranza kurda, e più di 2mila arresti.

L’8 marzo il governo ha rilasciato l’avvocato per i diritti umani Haytham al-Maleh, classe 1931, condannato a tre anni di reclusione il 4 luglio 2010 per “diffusione di informazioni false ed esagerate che mettono a repentaglio il sentimento nazionale”. Il 14 marzo Ali al-Abdullah, membro della Damascus Declaration for National and Democratic Change, è stato condannato dalla Corte penale militare ad un ulteriore anno e mezzo di reclusione per aver “interferito nelle relazioni estere del paese”.

Il presidente ha lanciato nell’ultimo anno un programma di sviluppo dell’economia in chiave liberale, seguito alle promesse di riforme democratiche dispensate al momento dell’insediamento al potere. I benefici attesi da dette riforme non hanno ancora coinvolto la popolazione che, sopratutto nelle campagne, vive in situazioni di povertà, e in ogni dove con gravi limiti alle libertà civili e politiche.

Qualche centinaio di attivisti sembrano nulla in paragone al milione raggiunto in più circostanze in Egitto. Ma il contesto è differente, la morsa del regime siriano aveva fino a martedì strozzato ogni forma di manifestazione. Il presidente Bashar gode di ampio consenso, anche in forza della paura diffusa per il paese. Martedì 15 si è aperta una breccia, importante per la storia siriana a prescindere dal seguito che avranno le dimostrazioni del 15 e 16 marzo.

foto: Incapervinca
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