Conciliazione obbligatoria, luci e (soprattutto) ombre della giustizia privatizzata

CONCILIAZIONE e1301267524610 Conciliazione obbligatoria, luci e (soprattutto) ombre della giustizia privatizzata
Prima di intraprendere un processo civile le parti devono rivolgersi ad un conciliatore. Un conto elevato che ricade su entrambi i contendenti
La Giustizia è uguale per tutti. Anzi, era uguale per tutti. Da una settimana è in vigore la conciliazione obbligatoria prevista dalla riforma approvata un anno fa. Da lunedì 21 marzo nelle cause civili non è più possibile rivolgersi al giudice senza aver tentato prima la strada della mediazione davanti ad un conciliatore. Solo se le parti non riusciranno a mettersi d'accordo, dopo essersi confrontate davanti ad uno degli enti preposti, andranno in tribunale.
Se la norma può apparire subito un'ottima idea per snellire le procedure giudiziarie e per ridurre l'enorme quantità di processi civili, le procedure lasciano molti dubbi sulla loro convenienza e sulla loro equità.
Conciliazione, cosa significa? Il mediatore non stabilirà chi ha ragione o chi ha torto. Il suo ruolo è quello di favorire un accordo tra i due contendenti. Saranno quindi le parti e non il mediatore a definire i contenuti dell’intesa, con tutte le soluzioni e le modalità che ritengono utili, a prescindere anche da specifiche disposizioni di legge. In questo modo, si può giungere ad un accordo che guardi effettivamente agli interessi delle due parti, anche quando la legge può penalizzare eccessivamente uno o l'altro dei contendenti. Se la procedura si conclude positivamente nei 4 mesi stabiliti dalla legge, il verbale di accordo sarà omologato dal tribunale. In questo caso avrà valore di legge tra le parti e chi dovesse violarlo, può subire un decreto ingiuntivo.

La giustizia diventa “privata”. Fino qui tutto bene. Il vero problema, però, sono i costi. Il conciliatore, obbligatoriamente iscritto all'Albo degli organismi di conciliazione del Ministero della giustizia, dovrà essere remunerato in base al valore del bene conteso. Si va dai 65 euro, per beni di valore inferiore ai 1.000 euro, ai 9.200 per beni di valore superiore ai 5 milioni. Facciamo un esempio pratico: se l'oggetto del contendere è un appartamento del valore di 300mila euro, le parti dovranno pagare ciascuna 1.000 euro per l'intervento del conciliatore. Una spesa non di poco conto per liti che possono riguardare fasce della popolazione con redditi medio-bassi, una cifra che dovranno pagare entrambe le parti anche se non si giunge ad un accordo (in quel caso il prezzo viene dimezzato), anche chi è ingiustamente chiamato in causa. In questo modo la giustizia rischia di non essere uguale per tutti: in una lite tra un cittadino ricco e uno poco abbiente, la possibilità che il secondo accetti un accordo vessatorio pur di non ricorrere al conciliatore è molto probabile. Inoltre, il credito d'imposta per far fronte alle spese pagate (fino a 500 euro) non appare comunque sufficiente ed equo.
Avvocati ed inquilini sul piede di guerra. Sono molte le categorie che protestano per l'entrata in vigore della conciliazione obbligatoria. In primo luogo gli avvocati e dal sindacato degli inquilini. La scorsa settimana gli avvocati hanno scioperato e manifestato, ed oggi l'Organismo unitario dell'avvocatura (Oua) incontrerà il presidente della Camera Gianfranco Fini. “Gli avvocati stanno dando prova di una grande unità in questa battaglia in difesa dei diritti dei cittadini”, spiega Maurizio De Tilla, presidente dell'Oua. “Ci chiediamo come si può accettare un sistema che è innanzitutto incostituzionale sotto molteplici aspetti, che è contro i diritti dei cittadini, che è escludente nei confronti degli stessi avvocati, che è viziato da una logica strettamente economicista”. A quella degli avvocati, si aggiungono anche le proteste del sindacato degli inquilini, poiché la conciliazione riguarda anche i diritti reali sui beni, come l'affitto.

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