Palermo, era “nessuno”. Si è dato fuoco


Nouredinne Adnance è morto. Dopo otto giorni di agonia il corpo devastato dalle fiamme non ha resistito. Nourredinne non era nessuno, perché venuto,da un luogo dove sei nessuno, in un paese che considera nessuno chi è sbarcato sulle sue coste. Eppure Nourredinne Adnane ce l’aveva fatta: viveva a Palermo, dove il cielo, i profumi, le voci e i colori sono gli stessi di Settat, la città del Marocco dove era nato ventisette anni fa e dove vivono la moglie e la figlia. Che aspettano il pane della sua fatica di ambulante. Regolare, con permesso di soggiorno e licenza.
Una bancarella mobile da trascinare per tutto il giorno, fino a quando non cala il sole e la notte ti avvolge nella nostalgia di una giovane moglie lontana e degli occhi di una bambina che può sorriderti solo da una foto. Venerdì scorso Nourredinne viene fermato dai vigili urbani. Controlli, documenti,il sequestro della merce. L’ennesimo, fatto dalla stessa pattuglia di vigili, denunciano tra le lacrime i suoi amici. Non resiste, è esasperato, si sente perseguitato. E decide di protestare contro l’ingiustizia di quegli uomini in divisa, che su di lui,sulle sue povere cose, sulla sua vita di niente, sulla vita di sua figlia,vogliono far rispettare la legge.
Una buffonata a Palermo, città allo sfascio in mano ai pupari del potere che stanno decidendo a quale pupo consegnare il Comune quando si voterà. Lo fa nel modo più disperato, si cosparge il corpo di benzina e si dà fuoco. Muore dopo otto giorni. Ucciso “dal razzismo istituzionale”, hanno scritto altri “nessuno” su uno striscione.


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