Entrare nell'ndrangheta? C'è la fila...


C’è la fila per entrare nella ‘ndrangheta. E non si tratta solo di giovani sbandati alla ricerca di un posto da “palo” o da “pusher”, ma di professionisti, commercianti, imprenditori, politici. Tutti, ossequiosi e deferenti, bussano alle porte dei capi dei locali (l’organizzazione che riunisce le varie ‘ndrine in una città o in un paese) per essere “battezzati”. Il sangue della “punciuta” che arrossa un santino che brucia, un gruppo di uomini d’onore attorno a un tavolo, ed è fatta. L’importante è non essere “cornuti” o “sbirri”. “
Qua ognuno fa come cazzo vuole, fanno entrare tutti”. Giuseppe Commisso, numero uno della ‘ndrangheta di Siderno (diramazioni al Nord, ma anche in Canada e Australia), si lamenta con uno dei suoi su questa corsa all’affiliazione. Non è più come una volta, quando per entrare in una ‘ndrina bisognava sudare, fare la gavetta, dimostrare di essere “cristiani” veri. E allora, continua il boss “no, gli ho detto io, non gli diamo niente a nessuno, compare che… tanto noi non facciamo cariche e non facciamo niente, per adesso ci fermiamo per un bel po’ e poi se ne parla, gli ho detto… chi ha i requisiti buoni entra, chi no se ne sta a casa”. Domenico Oppedisano, anziano “capo crimine” della ‘ndrangheta, non crede ai suoi occhi. Anche nel suo paese, Rosarno, la gente fa a gara per entrare. “A Rosarno siamo più di 250, ci sono settimane che non ne facciamo ma l’altra sera ne abbiamo fatto sette, le nuove piante… Cicciareddu, sette nuove piante… i figli di Vincenzo tutti e tre”. Nel paese delle clementine vengono “battezzati” due-tre giovani a settimana, e nelle ‘ndrine ad ogni arresto di un boss corrisponde l’elezione di un nuovo capo. “E’ un dato quantitativo che per la sua rilevanza diventa un dato qualitativo della potenza e pericolosità delle cosche di ‘ndrangheta”, è l’allarme lanciato dal Procuratore Giuseppe Pignatone durante l’inaugurazione dell’Anno giudiziario a Reggio Calabria.
A Bagheria, all’apice del potere criminale di Binnu Provenzano, si contavano 50 uomini d’onore su 58mila abitanti. A Rosarno, 15mila anime, “siamo più di 250”, dice il boss. “In cittadine di 10-15mila abitanti vi sono 300 o 400 affiliati ai locali di ‘ndrangheta, numero che probabilmente oggi si raggiunge con difficoltà in una città come Palermo” analizza Pignatone. Ma sono le inchieste a raccontare la vergogna della processione dei politici a casa dei boss. A Bovalino, residenza marina di Giuseppe Pelle, erede di “’Ntoni Gambazza” e boss di San Luca, erano in tanti. “Perché io devo vincere, altro che”, dice Liliana Aiello, candidata alla Regione nella lista “insieme per la Calabria-Scopellitti Presidente”, implorando il sostegno della famiglia. Anche Pietro Antonio Nucera, medico di Melito Porto Salvo, era candidato nella lista “Insieme per la Calabria-Scopelliti presidente”. Già in passato si era messo a disposizione degli amici, forse per assistere latitanti ammalati. “Uno va e gli dice prendi la borsetta che devi venire”, racconta Giuseppe Pelle. Che consiglia all’implorante Pierino come si deve comportare: “Vedi che io quello che posso fare lo faccio per te… tu ti sei comportato sempre bene. Se tu vai alla regione, se tu non la puoi fare una cosa, spiega e dici io non la posso fare per questo… però con gli amici miei devi parlare chiaro, perché se no rompi con me”. Vincenzo Cesareo, direttore sanitario dell’ospedale di Praia e candidato in una lista socialista per Scopelliti Presidente, bacia la mano al boss: “Io mi sento come uno della famiglia, se siamo fratelli siamo fratelli”. Chiedeva voti per sé e per Iaria Francesco, candidato nella lista “Casini- Unione di Centro”. “Perché se lui passa e io passo, siamo una forza, ci troviamo a livello di amministrazione”. Anche Antonio Manti, lista Alleanza per la Calabria a sostegno di Agazio Loiero, centrosinistra, andava a casa di Pelle a chiedere voti e in cambio prometteva aiuti e favori. Un fastidio enorme. “Compare – dice un sodale al boss Pelle – qua i partiti sono sempre di più, è un bordello, ed è inammissibile che nel nostro locale (il territorio governato dalle famiglie, ndr) i candidati li scelgono loro”.
Anche Santi Zappalà, centrodestra, aveva chiesto voti ed era stato scelto. Con rispetto si era rivolto a Peppe Pelle: “Se voi ritenete opportuno aiutarci, d’accordo?”. Il boss: “Tranquillo, dottore, qui si parla di amicizia”. Zappalà è finito in galera pochi giorni prima di Natale. Come Alessandro Figliomeni, il sindaco di Siderno. Insieme al fratello Antonio, “’u topo, era ai vertici della ‘ndrangheta del suo paese. “Chi non vota a mio fratello è sbirro”, era lo slogan coniato dal signor “topo”. Eletto col centrodestra, Figliomeni si candidò alla Regione per il centrosinistra. Ecco cosa pensava dell’antimafia: “Noi non siamo un’amministrazione che si fattura la giacca da questa antimafia da strapazzo, parolaia e inconcludente che ci ha riempito le scatole e che non risolve niente”.

pubblicato su Il Fatto Quotidiano del 1 febbraio 2011

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