Darwin in Italia: come accogliemmo l’evoluzionismo
L’11 gennaio 1864 segna un momento importante per la città di Torino. Il professorFilippo De Filippi, titolare della cattedra di Zoologia nella locale università e studioso dai vasti interessi che ha lasciato importanti contributi all’embriologia e all’anatomia comparata, tiene una conferenza dal titolo bizzarro: “L’uomo e le scimie”. È la prima volta che in Italia, in un incontro rivolto al grande pubblico, vengono sostenute le idee di Darwin, anche quelle relative all’origine naturale dell’uomo. Il testo della relazione di De Filippi sarà pubblicato e diffuso nel resto della penisola divenendo una sorta di manifesto scientifico dell’evoluzionismo e la capitale d’Italia diventerà così anche la capitale delle scienze naturali.
A soli cinque anni dalla pubblicazione di L’origine delle specie e prima dell’uscita di L’origine dell’uomo, che avverrà nel 1871, la storica conferenza rende evidente il grande interesse con il quale vennero accolte le idee di Darwin nel nostro paese. Oltre che a Torino anche a Padova, Modena, Firenze e Napoli gli studiosi si mobilitarono per promuovere studi e diffondere l’educazione scientifica presso il grande pubblico. Furono tradotte, fra il 1864 e il 1890, tutte le opere di Darwin, soprattutto grazie a Giovanni Canestrini, professore prima a Modena e poi a Padova, e a Michele Lessona, successore di Filippo De Filippi a Torino e uno degli intellettuali che si dedicarono alla costruzione del neonato stato unitario diventando senatore nel 1892.
Canestrini, oltre che instancabile divulgatore delle idee darwiniane, fu un importante studioso di evoluzione umana e con Darwin intrattenne un rapporto di amicizia e collaborazione, tanto da meritarsi una citazione in L’origine dell’uomo.
Una fitta corrispondenza con Darwin l’ebbe anche il botanico Federico Delpino, uno dei fondatori della moderna biologia vegetale, che intraprese, con un gruppo internazionale di botanici, uno studio critico su alcuni aspetti della teoria del naturalista inglese che fu molto apprezzato da Darwin stesso, tanto da farlo tradurre e pubblicare in Inghilterra. Un interesse sincero per lo studioso italiano testimoniato anche dai numerosi saggi e libri di Delpino ritrovati nella biblioteca di Darwin, ricchi di annotazioni e di brani tradotti dalla moglie Emma che conosceva l’italiano.
Lo scambio epistolare con lo zoologo Anton Dohrn, scienziato tedesco trapiantato nel sud dell’Italia, testimonia il grande interesse di Darwin per le ricerche di biologia marina che si svolgevano nella Stazione zoologica che lo studioso tedesco aveva fatto costruire a Napoli. Un centro di ricerca aperto agli scienziati di tutti i paesi che diventerà ben presto un punto di riferimento nel campo della biologia e dell’ecologia marine e che Darwin finanziò economicamente in più occasioni.
Ma le numerose iniziative divulgative della teoria di Darwin scatenarono anche feroci critiche. Alla conferenza tenuta dal fisiologo russo Aleksandr Herzen a Firenze il 21 marzo 1869 dal titolo esplicito “Sulla parentela fra l’uomo e la scimia”, l’abate Raffaello Lambruschini, senatore del Regno, reagì violentemente contro una scienza che, a suo dire, negava la teologia. Ne scaturì una polemica che coinvolse molti intellettuali, tra cui il filologo Nicolò Tommaseo che nel suo “L’uomo e la scimmia” definì Herzen il “Mosè delle scimmie”.
Tranne alcune critiche pertinenti mosse da scienziati come lo zoologo Giovanni Giuseppe Bianconi, le reazioni che ebbero Lambruschini, Tommaseo e poi più tardi Benedetto Croce e tanti altri fino ai tempi nostri hanno una matrice comune. Quella indicata da Canestrini nella prefazione alla terza edizione di L’origine delle specie, che la definisce come un’opera che «tende a ridurre ai limiti più ristretti l’ingerenza immediata di una forza sopranaturale». È proprio questo il problema. La forza rivoluzionaria, potremmo dire lo “scandalo” delle idee di Darwin, al loro apparire come oggi che sono integrate dalle acquisizioni della biologia contemporanea, è fornire un esempio di come si possa pensare alla vita, alla sua origine e alla sua struttura in modo naturale, senza far riferimento a un progetto trascendente. E lo sconcerto che proviamo, abituati come siamo a cercare nel mondo cause e fini, avendo un cervello che l’evoluzione ha plasmato in questo modo per poter adeguare i nostri comportamenti alle mutevoli circostanze della vita, fa parte della condizione umana come il fatto di respirare o di nutrirsi. Undisorientamento che molti non tollerano e che superano assecondando la naturale inclinazione, che le cure parentali dei primi anni di vita non fanno che rafforzare, a credere in un essere trascendente causa e fine di tutto.
Un imbarazzo che le gerarchie religiose sfruttano per negare il diritto dell’uomo di fare scelte consapevoli sui momenti cruciali della propria esistenza, dal concepimento alla morte. Un imbarazzo che il “braccio secolare” di certa classe politica utilizza per giustificare, ai nostri occhi, leggi che giustiziano il diritto all’autodeterminazione.
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