Beni confiscati alla mafia, luci e ombre dell’Agenzia


Per i beni confiscati ora ci pensa l’Agenzia nazionale che ha sede a Reggio Calabria. Anche rispetto alle possibilità che è in grado di offrire si rilevano posizioni discordanti, da parte di chi lavora a stretto contatto con i beni sottratti alla ‘ndrangheta. Due fatti recenti, abbastanza rilevanti, segnano il percorso dell’Agenzia: un atto di vandalismo due giorni fa in un bene confiscato e, evidentemente, abbandonato a Melicucco piccolo centro in provincia di Reggio Calabria, insieme a una interrogazione dei senatori calabresi del Pdl di qualche settimana addietro, con cui chiedono spiegazioni sul criterio di selezione e valutazione del personale operante nella struttura reggina.
La confisca dei beni rappresenta uno strumento indispensabile per colpire il potere mafioso. In primis per indebolire il capitale economico dei boss costruito sul sangue e sulla violenza. Poi per restituire alla comunità un bene che le appartiene, con la possibilità di nuovi posti di lavoro. E, infine, dare un segnale forte dal punto di vista culturale. Un bene confiscato può diventare utile grazie al suo utilizzo sociale. Con la struttura operativa nella città dello Stretto, inaugurata dopo il Consiglio dei ministri straordinario a Reggio lo scorso gennaio – è stata annunciata una nuova era per la confisca dei beni di proprietà dei mafiosi. Principalmente si è tentato di snellire l’iter burocratico di trasmissione a scapito della rigida ripartizione delle competenze tra uffici giuridici e amministrativi (che spettavano al demanio). Gli effetti, però, non sono ancora del tutto palpabili. Almeno non da parte di tutti i soggetti interessati. Considerato pure che si è creato un ingorgo organizzativo per cui ci sono tantissimi beni ancora da assegnare. Inoltre, è opportuno tenere presente che l’Agenzia nazionale ha natura anche politica. Il decreto legge del 4 febbraio 2010 con cui si istituisce l’Agenzia – posta sotto l’alta vigilanza del Ministero dell’Interno – è stato fortemente voluto dal governo Berlusconi. Fino al primo novembre del 2010 i beni confiscati in Calabria risultano essere, fra immobili e aziende, ben 1544. Nella provincia di Catanzaro 247; Cosenza 115; Crotone 81; Reggio Calabria 1030 e Vibo Valentia 71. Quasi sproporzionati i dati se si pensa che in provincia di Reggio Calabria, per esempio, appaiono in gestione (sempre fino al primo novembre scorso) 184 beni, destinati consegnati 588, destinati non consegnati 139 e usciti dalla gestione 37. Sicuramente difficile stabilire l’ordine, considerata la mole di lavoro in un contesto non proprio semplice.
Ma l’interrogazione del Pdl in cui i senatori calabresi chiedono al ministro Maroni di parlare della selezione del personale, insieme ai «nominativi dei vincitori della selezione, i curricula prodotti dai vincitori e dagli altri candidati; i nominativi dei componenti della Commissione giudicatrice; i criteri di valutazione» fa riflettere. Anche perché, seppure indirettamente, si punta il dito contro il direttore dell’Agenzia nazionale Mario Morcone che ha il compito di decidere sia sui bandi che sulla commissione. Se poi, addirittura, i beni nei piccoli centri vengono abbandonati all’incuria accade che i vandali entrano in azione, come a Melicucco, rubando infissi esterni di una villa, termosifoni, portoncini blindati e caldaia. I problemi di ieri, al di là della separazione fra il piano giuridico e quello amministrativo, sembrano essere quelli di oggi. Cosa è cambiato nella gestione con la presenza fisica dell’Agenzia a Reggio Calabria? A parere del presidente della cooperativa che lavora sui terreni confiscati “Giovani in vita”, Domenico Luppino, «ancora nulla». Luppino ha anzi evidenziato il fatto che più volte ha cercato un contatto diretto con l’Agenzia, non trovando le informazioni e l’accoglienza desiderata. Nessuna risposta a domande piuttosto semplici, ovvero in quali comuni ci sono terreni disponibili per essere riutilizzati dalla società nata nel 2003 con l’obiettivo del recupero sociale di persone che erano a rischio di essere intrappolate nel vortice della criminalità. I bandi rimangono una prerogativa degli enti che possono scegliere a chi affidare la gestione del terreno confiscato.

E in Calabria vi è una percentuale molto alta di comuni sciolti per infiltrazione mafiosa. «L’agenzia dovrebbe farsi portavoce delle esigenze di tutti» aggiunge Luppino. Diametralmente opposta la posizione della cooperativa sociale Valle del Marro-Libera terra. Il presidente Giacomo Zappia ha detto che sin da subito si è stabilito un rapporto collaborativo con l’Agenzia, che il direttore ha fatto visita ai terreni confiscati e gestiti dalla cooperativa che aderisce all’associazione di don Luigi Ciotti e che sono stati sbloccati diversi iter che andavano avanti da anni. Il giudizio per Zappia è «assolutamente positivo» poiché «l’Agenzia ha velocizzato le procedure che vanno dal sequestro, alla confisca per poi arrivare alla gestione». Solo l’inizio è stato duro per il presidente di Valle del Marro, «si è dovuta fare una ricognizione che ha richiesto del tempo». Ci sono poi altri tipi di problemi. Le cooperative sociali trovano difficoltà per quanto riguarda l’accesso al credito bancario. Un paradosso: per accedere ai mutui e prestiti bancari, non si possono dare come garanzia i beni e quindi i terreni in gestione. Zappia anche su questo punto, si è però detto «ottimista» in quanto «Marcone si è attivato pure su questo contattando diversi istituti bancari». Le cooperative, però, non percepiscono per il loro lavoro aiuti comunitari. I mafiosi che ricevono gli aiuti economici (come l’integrazione sull’olio di oliva) una volta privati del proprio bene, fanno perdere i diritti comunitari, trasferendoli su altri beni di loro proprietà. Il rischio imprenditoriale per le piccole realtà che vorrebbero collaborare e portare avanti un ideale di lavoro onesto, mettendo a repentaglio le proprie risorse, è notevole.
Quindi niente aiuti comunitari, niente sostegno economico da parte dello Stato, scarsi finanziamenti previsti dalla Regione Calabria (Luppino ha detto di avere ricevuto soltanto «un unico contributo di 30 mila euro dalla Regione nel 2003») e, infine, aiuto parziale dell’Agenzia. Ma non finisce qui perché le anomalie continuano se si pensa ai mezzi sequestrati nei alle ditte di mafiosi. Che fine fanno? Nella sede di Palermo dell’Agenzia nessuno era a conoscenza del fatto che i gioielli dei boss di Cosa nostra erano nei sotterranei del Palazzo di giustizia palermitano. Esperienze di agenzie territoriali si vogliono estendere anche a Napoli e Milano. Questi punti denotano che su questo argomento ci sono anche delle ombre, che se col tempo non vengono chiarite potrebbero mettere in discussione seria l’utilità vera dell’Agenzia oltre i proclami.
Perché non ottimizzare?
(di Laura Aprati)
L’Agenzia dei beni confiscati nasce per snellire le procedure di assegnazione a Associazioni, Comuni, Enti, Istituzioni,Cooperative che li vogliano e possano gestire. Intanto sono evidenti tutti i problemi emersi: soprattutto quelli relativi agli affidamenti bancari.
Come si può fare economia se non si può accedere ad un prestito? Ma soprattutto sorge spontanea una domanda: quanti nuovi posti di lavoro si sono creati con la costituzione dell’agenzia? Non potrebbe essere un nuovo carrozzone istituzionale che serve per “collocare” una serie di personaggi che non avevano potuto avere poltrone e poltroncine in altre istituzioni? E soprattutto da quali voci di bilancio vengono presi i fondi per la sua gestione? Dal mitico FUG (Fondo Unico Giustizia) di cui non si sa poco o niente e su cui convergono i soldi liquidi confiscati ai mafiosi? Insomma la sensazione è che in fin dei conti questa Agenzia sia come una pennellata di fresco su un muro che stava andando in malora. Sembra così che la casa sia stata ridipinta mentre i problemi rimangono lo stesso con l’aggravante che c’è un’altra struttura da pagare.
Il Ministro Brunetta fa la campagna per diminuire le spese e gli sprechi nella pubblica amministrazione. E se è così non si poteva fare diversamente? Magari ottimizzando risorse già esistenti? E adesso che si vogliono aprire due altre agenzie quanti altri soldi serviranno e a quali servizi dello Stato saranno tolti? Se lo Stato è in crisi, se bisogna fare tagli orizzontali in tutti i settori come mai altri costi? Facilmente si può rispondere che è così che si fa la lotta alla mafia.
Ma la lotta alla mafia si fa con l’organizzazione e l’ottimizzazione delle risorse, con la gestione oculata del personale… non si fa creando un altro centro di potere.

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