La melanina della Jamaica

In uno dei «paradisi caraibici» per eccellenza, mezzo secolo dopo l'indipendenza dall'Inghilterra, a decidere la vita dei giamaicani è ancora il colore della pelle. Basta fare un giro nelle strade di Kingston o sulle spiagge di Negril per capire che i bianchi stanno in alto, i neri in basso e i mulatti nel mezzo. Così si è disposti a tutto per «sbiancarsi» con costosi e micidiali prodotti

È una questione di melanina.
Malgrado la Giamaica sia stata emancipata dalla schiavitù alla fine dell' 800 e abbia acquistato l'indipendenza nel 1962 dopo secoli di colonialismo spagnolo prima ed inglese successivamente la questione «colore» è ancora oggi più che mai il motivo discriminatorio principale nella scala sociale del paese, pubblica e privata.
L'azione di Marcus Garvey, il sindacalista di St. Ann's Bay che dai primi del '900 ha lottato per affermare la dignità della razza nera fondando anche la compagnia mercantile Black Star Line, e quella successiva di Robert Nesta (Bob) Marley che tramite il reggae ha esportato in tutto il mondo il concetto di emancipazione e di amore universale, non sono servite a cambiare le fondamenta di pregiudizi su cui è costruito il corpo sociale giamaicano.

The light complexion
La retorica delle banconote sulle quali sono impresse le immagini degli eroi e martiri locali, che a cavallo tra storia e leggenda hanno sgominato il dominio inglese, e quella dell'orgoglio nero agitato ad ogni pie' sospinto da cantanti e demagoghi, sono solo uno specchietto per le allodole. In realtà la discriminazione razziale basata sulla tonalità della carnagione, «the complexion», è la base della gerarchia sociale, in una nazione guidata da una classe dirigente fondamentalmente bianca o mulatta, nativa e no, che è a capo sia del settore privato sia della cosa pubblica.
Businessmen o politici che siano, per rimanere ai vertici devono avere «a light complexion». La manovalanza grossa, operai, facchini, autisti, tutto ciò che è «proletariato», come si diceva una volta, «has to be black», deve essere nero .
Se sarete qui a rosolarvi sulle spiagge di Negril inalando magari i vapori della cannabis, concedetevi un paio d'ore di break e fatevi un giro. Cominciate con un supermarket : nel gradino più basso ci sono i «package boys», i ragazzini che vi impaccano quello che avete appena comprato; li trovate alle casse, per la maggior parte sono neri come lavagne, pagati con salari da fame quando va bene, ...meno male che se la ridono e se ne fregano, per cui magari la roba nei sacchetti è meglio che ve la mettiate da soli.


Le cassiere sono al gradino successivo, per lo più frustrate dal vedere fiumi di denaro, di cui a loro restano poche gocce. Continuiamo a salire, arriviamo alle «securities», le guardie private, che per incutere timore devono essere rigorosamente color dell'ebano e possibilmente con la corporatura di un primate. Subito più su ci sono i capireparto, per lo più «brownie», marroncini, ossia mulatti. Sono quelli che hanno fatto carriera, pagati un po' meglio della truppa, il loro lavoro principale è quello di angariare i sottoposti, quelli che Malcolm X definiva «house nigger». Ai vertici della scala troverete spesso un cinese nato in Giamaica, o un giamaicano bianco o al massimo meticcio.
Dovete cambiare dei soldi in valuta locale? È il momento di andare in banca. Cominciamo dai «tellers», i cassieri, che sono alla base della piramide. Tra di loro troverete gli unici neri «autentici», mentre salendo la gerarchia, dai supervisori agli addetti al borsino fino ai managers, predomina la carnagione chiara. Essendo quasi tutte le banche a capitale straniero, i capifiliale sono spesso americani o canadesi.

Ma anche senza muoversi troppo, basta che vi facciate una passeggiata all'interno del vostro hotel. Alla reception vi accoglierà nella maggior parte dei casi il sorriso mielato di una bella brownie o quello più formale e rassicurante di un manager mulatto locale o di uno spagnolo o dominicano bianco, essendo gli hotel di ultima generazione proprietà di compagnie di Spagna o Repubblica dominicana. Il primato del «bianco è meglio» spetta tuttavia, senza dubbio, alla catena giamaicana dei Sandals di Butch Stewart, Mogul anglo-giamaicano proprietario anche dell'Air Jamaica, la linea aerea nazionale. Qui dagli impiegati al banco fino ai manager, la tendenza cromatica è quella del brownie «bleached» (in inglese to bleach significa sbiancare e bleach, candeggina, è il termine usato per tutti i prodotti che servono a schiarire la pelle). Questa è la condicio sine qua non che «Butchie» esige per impiegare personale addetto al pubblico.
E i neri? Niente paura, sono sempre la maggioranza del personale alberghiero, rigorosamente relegati nei ruoli di fatica, camerieri, inservienti delle pulizie, facchini, nel migliore dei casi baristi.

Riguardo la musica, la stessa icona del reggae, Bob Marley, era di carnagione assai chiara, essendo figlio di un capitano della marina inglese e di una madre giamaicana. Oggi gli artisti reggae più conosciuti a livello internazionale, sono per lo più chiari, contrapposti ai duri neri della dancehall quali Vybz Kartel e i rasta radicali Sizzla e Capleton, più conosciuti in Giamaica o nella diaspora giamaicana di Londra che nel resto del mondo. Sono comunque questi ultimi a proporre la musica più innovativa, nei testi della quale ricorre spesso il termine «Babylon», parola biblica che identifica alla perfezione questo sistema corrotto rappresentato dai produttori bianchi tipo Chris Blackwell, ex promoter di Bob Marley.

In politica l'attuale primo ministro è Bruce Golding, un «red man» come li chiamano qui, ovvero un albino con capelli rossastri e lineamenti negroidi. Lo stesso Michael Manley, leader del «socialismo alla giamaicana» alleato di Cuba per un decennio, era mulatto. Entrambi intrisi di demagogia, come dimostra la loro gestione del potere, foriera di rivolte e guerra civile.

Eccezione che conferma la regola, PJ Patterson, premier dal 1988 al 2006, è stato, di fatto, il solo leader nero nella storia della Giamaica, e guarda caso, l'unico che abbia mantenuto un minimo di stabilità politica, favorendo lo sviluppo del turismo e la costruzione di una rete stradale (con relativi posti di lavoro) all'interno di una terra difficilmente accessibile.

Nei secoli dello schiavismo, era costume del «master» e dei suoi rampolli ingravidare le servette più carine e meno nere della «great house» (la casa padronale), i cui figli bastardi nascevano di colore nero annacquato.
Questi a loro volta venivano fatti accoppiare con altri schiave o schiavi di light complexion fino ad ottenere durante il corso del tempo una discendenza schiarita da collocare nei ruoli di comando.
Un po' quello che han fatto tedeschi e belgi in Ruanda, che hanno scelto tra i Tutsi, etnia più chiara delle altre, il personale per creare un terziario da impiegare in banche, alberghi ed uffici, in alternativa alla bassa manovalanza, che era affidata ai più «negri» Hutu . Come sia andata a finire questa selezione della razza, dopo aver causato ulteriori solchi tra le etnie già rivali in Ruanda, si è visto nei genocidi del 1994.

Anche nell'emancipato Sudafrica la minoranza bianca discendente dai boeri olandesi, gli afrikaneers, continua ad esercitare i suoi privilegi così come quella discendente dai tedeschi nella vicina Namibia. Le miniere di diamanti di entrambe le nazioni sono saldamente nelle mani dei bianchi che continuano a imporre condizioni di lavoro subumane ai minatori neri, senza alcun controllo statale.

Speriamo che sia brownie
Ancora oggi presso le famiglie giamaicane avere un figlio brownie magari con gli occhi chiari è uno status symbol ineguagliabile, e il prezioso pargolo verrà privilegiato fin dalla nascita con la speranza che crescendo possa trovare un impiego di prestigio ed aiutare i fratelli meno fortunati. Specie nelle località turistiche più rinomate a livello internazionale, tipo Negril, una ragazza povera punta a farsi impiegare all'interno di un hotel con la speranza di sposare un turista o un manager chiaro. Per arrivare a questo darà fondo ai suoi risparmi per acquistare i costosi e micidiali prodotti per schiarirsi il più possibile, sovente andando incontro ad effetti nefasti quali tumori e decolorazioni della pelle a chiazze. Spesso lo fanno anche gli uomini.
Il razzismo e il relativo sfruttamento della manodopera dei neri che ha permesso la costruzione dell infrastrutture e lo sviluppo turistico del «paradiso» Giamaica, noi in Italia li conosciamo bene. Sono più o meno gli stessi meccanismi che quaranta o cinquanta anni fa subirono i nostri «terroni», quello che crearono il boom industriale di Milano e Torino.

di Flavio Bacchetta – KINGSTON il manifesto

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