Il lavoro è un diritto, banda di ladri


Come sempre accade in questi casi, i media generalisti hanno scoperto - come d'incanto - che quella del presidente Ben Alì in Tunisia è una soffocante ragnatela nella quale restano impigliate tutte le forme di dissidenza. La rabbia della generazione tradita, per decenni tenuta davanti al bivio tra emigrazione e assenza di prospettive, è esplosa in questi giorni in dure proteste. Soffocate con violenza.
Sihem Benzedrine, giornalista e scrittrice a lungo perseguitata dal governo tunisino, per la sua lotta nella difesa della libertà di stampa e nella denuncia contro la violazione dei diritti umani, attraverso l'uso sistematico della tortura. Scrittrice di romanzi, redattrice di varie testate giornalistiche indipendenti, vive ora in esilio in Germania, sotto la protezione del Pen Club. Dirige un giornale in internet, Kalima, tutt'ora proibito in Tunisia. Due giornalisti che lavorano per Kalima sono stati arrestati in questi giorni. PeaceReporter riceve e pubblica un suo intervento sui drammatici fatti degli ultimi giorni in Tunisia.

di Sihem Bensedrine
Dal 17 dicembre, la Tunisia è teatro di scontri che sono scoppiati in una regione svantaggiata e che si sono diffusi in tutto il Paese con movimenti di protesta. Il potere reagisce con un giro di vite autoritario.

''Durante i suoi 23 anni di regno, Ben Ali ha dimenticato le regioni interne del Paese; ora i dimenticati della Repubblica si sono ricordati della sua buona memoria!''. E' così che l'economista Abdeljelil Bedoui commenta gli scontri che sono scoppiati il 17 dicembre a Sizi Bouzid (nella zona centro occidentale del Paese) e aggiunge: ''Questi movimenti di protesta popolare si sono innescati in una regione che registra il record di 32,3 percento di disoccupazione, il più alto del Pease. Questi giovani sono trattati con disprezzo, umiliati dalle autorità e non trovano ascolto né un ambito in cui esprimersi''.
Questa parte della Tunisia meticolosamente nascosta dietro gli indicatori economici presentati come competitivi, ha riversato la sua collera sul Paese, macchiando di sangue l'immagine di una Tunisia "piccola isola di un miracolo economico" e "modello di riuscita per i Paesi in via di sviluppo" realizzato sotto gli auspici di un "Presidente benevolo".

"Il lavoro è un diritto, banda di ladri!" è lo slogan di questa rivolta che si è sollevato come un polverone in tutto il Paese, spingendo al primo posto tra le preoccupazioni popolari la questione della corruzione che imperversa intorno al presidente Ben Ali e che si è diffusa in tutta l'amministrazione.
Tutto è cominciato con un gesto di disperazione di un giovane diplomato disoccupato, Mohammed Bouazizi, che ha tentato di suicidarsi dandosi fuoco, venerdì 17 dicembre, davanti alla sede del Governato (prefettura) di Sidi Bouzid. Il suo banco di venditore di ortaggi al mercato era appena stato distrutto per l'ennesima volta dalla polizia, un lavoro precario che esercitava per evitare di ammazzare il tempo ciondolando tra i bar della cittadina e per non spillare soldi alla propria madre. Questi poliziotti cercavano di ricattarlo, come fanno con tutti i venditori ambulanti del mercato, e la punizione per il rifiuto di sottomettersi al loro racket è la distruzione della mercanzia.
Loro stessi sottopagati (circa trecento dinari al mese), i poliziotti sbarcano il lunario estorcendo denaro ai cittadini. I loro superiori li incitano a queste pratiche per poterli gestire meglio. Così non c'è più spazio per i sentimenti, per coloro che sarebbero inclini a recalcitrare di fronte all'esecuzione di lavori sporchi. Il cinismo si spinge fino al punto di farliimprigionare e fargli pagare sanzioni amministrative per poi reinserirli nel circuito, senza dubbi sulla loro sottomissione. E' così che tra il 2009 ed il 2010, 1300 funzionari di polizia sono stati oggetto di inchieste amministrative per corruzione e abuso di potere.

Il sistema è quindi percepito dalla maggior parte della popolazione come altamente corrotto. Uno studio compiuto per Global Financial Integrity (Gfi), ha mostrato che le fughe di capitali illeciti sono cresciute in Tunisia sino a circa diciotto miliardi di dollari. Una somma che coprirebbe la totalità del debito estero del Paese!
La corruzione diffusa nell'entourage del presidente è diventato l'argomento quotidiano di conversazione dei tunisini; nei cables di WikiLeaks sulla Tunisia si può leggere cosa ne pensa l'ambasciatore Gordon Gray: "Il presidente Ben Ali sta invecchiando, il suo regime è sclerotico e non ci sono successori evidenti. Numerosi tunisini sono frustrati dalla mancanza di libertà e provano rabbia nei confronti della famiglia presidenziale, della corruzione, della disoccupazione diffusa, delle disuguaglianze regionali. [...] La Tunisia è uno stato di polizia, con poca libertà d'espressione e di associazione, e con gravi problemi di diritti umani."
Dopo Sidi Bouzid, Menzel Bouzayan, Mazzouna, Meknessi, tutte le comunità vicine si infiammano, scandendo i medesimi slogan contro la corruzione e la tirannia del potere.
La reazione ufficiale è un giro di vite autoritario. Ben Ali promette "di applicare con fermezza la legge" e dà l'ordine di sparare sulle folle inferocite uccidendo tre giovani e ferendo centinaia di manifestanti, buona parte dei quali non può essere trasportata negli ospedali a causa dei posti di blocco della polizia che impediscono il traffico su tutte le strade.
Gli arresti dei giovani si contano a centinaia e viene decretato il coprifuoco.
Nel giro di due settimane, si organizzano movimenti di solidarietà in tutte le città del Paese (Jendouba, Le Kef, Feriana, Kairouan, Kasserine, Gafsa, Djerba, Sfax, Monastir, Sousse, Tunisi) e degenerano in confronti con le forze dell'ordine, che hanno represso con mano pesante le manifestazioni pacifiche.
Ai giornalisti viene impedito di seguire gli avvenimenti, coloro che han tentato di fare il proprio lavoro sono stati aggrediti con violenza o arrestati.
L'attacco più grave però è stato contro gli avvocati. Il 31 dicembre, gli avvocati dovevano portare un bracciale rosso su indicazione del Consiglio Nazionale dell'Ordine, in segno disolidarietà, ma sin dall'alba, tutti i tribunali del Paese sono stati assediati dalla polizia, che ne ha impedito l'accesso agli avvocati. Numerosi avvocati sono anche stati aggrediti e feriti, in particolare le loro vesti sono state strappate nei tribunali di Gafsa, Jendouba, Mahdia, Djerba, Monastir, Sousse, Sfax e soprattutto a Tunisi, dove gli avvocati feriti sono stati numerosi. Il Consiglio dell'Ordine ha indetto una giornata di sciopero per il 6 gennaio in seguito alle aggressioni della polizia avvenute nei tribunali.
L'Unione regionale del sindacato di Sidi Bouzid, a sua volta, ha annunciato uno sciopero generale per il 12 gennaio.
Temendo una reazione degli studenti, la polizia ha ugualmente utilizzato 'preventivamente' la violenza contro i liceali che hanno ripreso i corsi il 3 gennaio, provocando degli scontri in numerose località, Ben Guerdan, Kassarine, Gabes, Gafsa, Chebba, e Thala, dove la sede del partito al potere è stata data alle fiamme. Una cosa è certa, con questa gestione esclusivamente autoritaria, la collera popolare non è prossima a placarsi.
L'Unione Europea, che sta negoziando uno statuto avanzato di partenariato con la Tunisia, mantiene un silenzio sconcertante; il 3 gennaio, la Rete Euromediterranea dei Diritti dell'Uomo (Remdh) ha lanciato un appello ''all'Unione Europea per prendere pubblicamente posizione sulle gravi violazioni dei diritti umani avvenute in Tunisia durante la repressione delle manifestazioni a sostegno degli abitanti di Sidi Bouzid''.


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