Carceri, la madre di Carmelo Castro: "mio figlio non si è suicidato"


Carmelo Castro aveva 19 anni quando morì nel carcere catanese di Piazza Lanza, il 28 marzo del 2009, a distanza di 4 giorni dal suo arresto per una rapina in una tabaccheria. Ma la madre del ragazzo, Graziella La Venia, al suicidio per “asfissia da impiccamento” non ha mai creduto. La donna ieri ha incontrato i giornalisti insieme al suo avvocato e al presidente dell’Associazione Antigone.

“Voglio sapere la verità, voglio giustizia, mio figlio non può essersi suicidato. Voglio sapere cosa è successo”. L’avvocato Vito Pirrone ha illustrato alla stampa i contenuti dell’esposto presentato alla Procura di Catania per chiedere la riapertura delle indagini sulla morte del ragazzo dovuta, secondo la versione ufficiale, appunto ad ”asfissia da impiccamento”.

Nell’esposto si legge di ”circostanze che non sono state debitamente approfondite”, di ”eclatanti contraddizioni e lacune nelle indagini”. Di “tre giorni di buio carcerario” ha parlato il presidente di Antigone, Patrizio Gonnella, il quale ha poi annunciato che “se non sarà riaperta l’inchiesta faremo ricorso alla Corte europea per i diritti umani perché è stato negato il processo equo e daremo il via a una causa civile chiedendo un congruo risarcimento per danni morali e materiali.”

“Dagli esami autoptici - ha concluso Gonnella - si rileva che pochi minuti prima della morte, Carmelo Castro aveva mangiato e questo non risulta nell’indagine. Chiunque mangia, si sa, è più improbabile che abbia intenzione di suicidarsi. Tutto è possibile ma vogliamo che si verifichi”. Nell’esposto si legge ancora che durante “le indagini preliminari non è stato disposto il sequestro della cella, né del lenzuolo con il quale Castro si sarebbe impiccato a questo, si aggiunga che non è stato sentito nessuno del personale di polizia penitenziaria intervenuto, né il detenuto che avrebbe portato il pranzo a Castro e che sarebbe l’ultima persona ad averlo visto ancora da vivo”.

E l’avvocato della Famiglia Castro osserva: “Come può una persona che muore impiccandosi presentare delle ipostasi, cioè addensamenti di sangue alla schiena, e non agli arti inferiori? E ancora come può chi sta per suicidarsi consumare un pasto abbondante come risulta dall’autopsia e tra l’altro in un contesto in cui non si capisce quando sia stato distribuito il vitto ai detenuti? Perché un detenuto suicida viene trasportato in ospedale a bordo di un’auto di servizio e non in ambulanza?

Secondo l’osservatorio di Ristretti Orizzonti sono 171 i detenuti morti dietro le sbarre nel 2010, 65 per suicidio, gli altri per cause “naturali”. Nel 2009 le persone decedute in carcere erano state 177, 72 i suicidi.

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Commenti

Anonimo ha detto…
come mai il medico settore incaricato dell'autopsia non ha effettuato un confronto per stabilire la compatibilità del solco sul collo del cadavere e il cappio fatto con un lenzuolo? (malgrado era disponibile il lenzuolo che, dicono, fu ritrovato attorno al collo, stranamente non fu oggetto di sequestro da parte del magistrato)

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