La tassa sulla spazzatura: un imbroglio da smascherare


Definire un’emergenza, la questione dei rifiuti, è un’infantile sottovalutazione del problema. In verità, siamo di fronte a una vera e propria calamità. Per tanto, tale contingenza va risolta alla radice. Raccolta differenziata, discariche, inceneritori, bonifica ed altro, non sono che palliativi di facciata, deputati a nascondere la polvere sotto il tappeto. Ma il problema, presto o tardi, tornerà a mostrarsi in tutta la sua gravità.
 Per tale motivo, nessuno, si può dissociare dai propri doveri ne, tanto meno loro, gli scriteriati e ingordi imprenditori, contrassegnati da una sconcertante e patologica incapacità, di dirigersi, di adeguarsi e di controllarsi.
E’ strabiliante come nessuno (istituzioni e società civile) punti il dito contro di loro, assolvendoli e scagionandoli a priori da ogni responsabilità e senso civico, relativi alla drammatica situazione ambientale.
 Il fatto di avere delegato al Sistema ogni nostra oggettiva individualità, personalismo, immaginazione e slancio rivoluzionario, ha prodotto in noi quella perdita di autonomia e di consapevolezza, necessarie e indispensabili per una corretta comprensione e visione della realtà e della verità. E’ del resto singolare il fatto che, il liberismo, visto il contrasto logico (e, diversamente da i suoi obiettivi), sia stato in grado, più di ogni altro regime comunista massimalista, di pianificare e mettere in atto un’opera di omologazione e appiattimento culturale, unica nella storia dell’uomo.
La produzione dei rifiuti e il loro smaltimento, è uno dei tre quesiti irrisolti e più inquietanti dell’umanità, dopo l’omologazione e la contraffazione della realtà, che ne mettono a serio rischio la sua stessa sopravvivenza. E’ arrivato il momento che i consumatori aprano gli occhi e inseriscano il cervello, per dare a Cesare le responsabilità di Cesare e, ai cittadini, le loro.
 Vi siete mai chiesti, per quale empirico motivo e singolare logica, ci viene addebitato l’onere relativo alla tassa sulla spazzatura? La risposta va ricercata nella nostra stupidità, nella supina accettazione delle regole e, in una vile sudditanza verso il Sistema.
 Siamo stati ingannati per decenni e, come nel gioco delle tre carte, ci hanno fatto credere di essere gli autori di una tale sciagura, e colpevolizzato dei disastri biblici, che la stessa ha causato, causa e che, in futuro, provocherà.
 Alla luce della verità, è l’industria (Cesare), e non noi, a doversi accollare tutti costi, relativi alla produzione dei rifiuti e del loro smaltimento. Non puoi “buttare il sasso e nascondere la mano.” Tu li produci e tu li smaltisci; diversamente, ti adegui e non li produci! Assolvere l’industria (sempre e in ogni caso), esimendola ed escludendola a priori, da ogni addebito, perché presupposto di sviluppo, occupazione e di benessere, è il più infame atto di ingiustizia, di ipocrisia e di raggiro sociale del quale, un paese che si definisce civile, si possa macchiare. L’Ilva di Taranto, un esempio per tutti.
E’ triste e penoso il fatto che il consumatore accetti, senza obiettare, il pagamento dell’onere, relativo alla tassa sulla “monnezza”, ritenendolo giustificato e doveroso.
 Questa, è una dimostrazione di illusionismo applicato alla realtà, indotto dal Sistema, che gioca sulla percezione falsata che ha il consumatore, di ritenersi responsabile (in prima persona), del problema dei rifiuti, per avere “impunemente” soddisfatto il suo bisogno di acquisto e le sue necessità. Il contenitore che, in seguito, trasfigurerà la sua originale funzione in quella di rifiuto, é il paradigma della colpa e, l’onere di pagarne lo smaltimento, interviene come elemento di espiazione catartica. 
E se il contenitore fosse gratuito, così che il suo costo di produzione, non debba incidere sull’effettivo valore del contenuto? Allora, in questo caso, la teoria dell’illusionismo si ribalterebbe, passando di mano a “Cesare” (l’industria) che, si dovrà fare carico (per stringente logica), dei costi relativi al suo smaltimento, avendolo prodotto a sue spese. 
La spazzatura, dunque, appartiene a chi la produce e non al consumatore che acquista il bene! E su questo, non si discute.
Se l’industria fosse messa di fronte, alle proprie responsabilità e quindi, sanzionata e penalizzata, per le regole infrante, la fiscalità evasa, gli obblighi e i doveri civili, calpestati, cambierebbe di colpo la fisionomia del nostro paese. In questo modo, acquisterebbe e svilupperebbe quella sensibilità necessaria tale da potere distinguere il vero dal falso, il giusto dall’iniquo e la libertà dalla licenza. L’inquinamento, una tragedia che, da decenni, compromette (spesso in maniera irreversibile), le acque e il territorio, accanendosi sulla qualità della vita dei cittadini, si ridurrebbe drasticamente.
 Se poi, in maniera esemplare, venissero colpiti e condannati tutti i responsabili di quella serie infinita di comportamenti illeciti, violazioni e abusi, che caratterizzano la vita sociale, pubblica e politica di questo paese e concorrono massicciamente a decretarne il suo declino economico e deriva morale, saremmo in grado di dare, alla locuzione “società civile”, la sua (da troppo tempo contraffatta), esatta interpretazione storica ed etimologica.
L’industria, si deve attenere a tre regole fondamentali e ineludibili, che rientrano nelle logiche di un mercato etico e responsabile:
a) Produrre contenitori biodegradabili.
b) Diversamente, farsi carico, dei costi, relativi alla produzione, di contenitori, imballaggi e affini, e del loro smaltimento.
c) La realizzazione di Inceneritori, discariche, trasporto dei rifiuti, bonifica del territorio e tutto l’indotto, sono di esclusiva competenza di “Cesare”.
Gianni Tirelli


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