Ecco perchè è stato ucciso Borsellino


Di quale trattativa era al corrente Paolo Borsellino? Tre giorni fa, parlando del tg Rai Sicilia, il procuratore di Caltanissetta Sergio Lari non ha mostrato dubbi sull’assassinio del magistrato Borsellino e sulla strage di via d’Amelio del 1992: «L’accordo ci fu e le nostre indagini, seppure dopo tanti anni, hanno potuto accertare inconfutabilmente che Paolo Borsellino fu informato dell’esistenza di una trattativa tra Stato e mafia sin dal 28 giugno». Borsellino – e per Lari è rigoroso il condizionale -  potrebbe essere stato ucciso perchè intendeva contrastare quell’accordo. Ma un’altra ragione può essere ravvisata nell’ipotesi che «Totò Riina autonomamente abbia deciso di accelerare una strage già programmata, in quanto la trattativa non stava andando in porto. In ogni caso, la trattativa, in un senso o nell’altro, ha avuto un ruolo nell’anticipazione della decisione di uccidere Paolo Borsellino».

Secondo Lari, a informare il giudice Borsellino dell’esistenza della trattativa era stata il 28 giugno 1992 Liliana Ferraro, all’epoca capo di gabinetto del ministro Claudio Martelli e collaboratrice di Giovanni Falcone alla direzione Affari penali del Ministero della Giustizia. La Ferraro, peraltro, ha confermato il colloquio con Borsellino durante il processo al generale Mario Mori. Liliana Ferraro è stata interrogata nell’ambito delle nuove indagini sulle stragi del ’92 perché chiamata in causa da Claudio Martelli durante un’intervista ad Annozero Martelli ha riferito di un incontro avuto dalla Ferraro con Giuseppe De Donno nella settimana del trigesimo della strage di Capaci. Cosa si dissero De Donno e la Ferraro? L’incontro viene ricostruito in Gli ultimi giorni di Paolo Borsellino, libro scritto da Giorgio Bongiovanni e Lorenzo Baldo per Aliberti editore. Gli autori sono i giornalisti di AntimafiaDuemila che hanno svelato ai pm la foto del carabiniere con in mano la valigetta del magistrato assassinato.

«Posso dire che sicuramente venne al Ministero per incontrarmi il cap. De Donno – esordisce la Ferraro – non ricordo esattamente la data, ma ho memoria del fatto che parlai di tale vicenda col dott. Borsellino all’aeroporto di Roma ove lo stesso si trovava unitamente alla moglie, di ritorno da un convegno a Giovinazzo (BA). Mi incontrai col dott. Borsellino perché questi mi chiamò dicendomi che voleva parlarmi e mi diede appuntamento proprio all’aeroporto di Fiumicino. Mi trattenni a colloquio per circa un paio d’ore col dott. Borsellino – continua Liliana Ferraro – ed in tale occasione parlai anche dell’incontro che era avvenuto col capitano De Donno quale giorno prima». Davanti agli inquirenti l’ex direttore degli affari penali sottolinea un dettaglio fondamentale di quell’incontro alla saletta vip dell’aeroporto Leonardo da Vinci. «Riferii a Borsellino la visita di De Donno – sottolinea Liliana Ferraro – lui non ebbe nessuna reazione, mostrandosi per nulla sorpreso e quasi indifferente alla notizia, dicendomi comunque che se ne sarebbe occupato lui». Ma perché Borsellino non si sorprende per quello che gli sta raccontando la Ferraro? Fino a che punto ne è già a conoscenza? Per molti investigatori e addetti ai lavori la risposta è racchiusa, sottolineano gli autori, nell’incontro tra Borsellino, Mori e De Donno alla caserma Carini il 25 giugno. In quella occasione Borsellino sarebbe verosimilmente stato messo al corrente di una parte della trattativa in corso. Nel libro di Bongiovanni e Baldo, però, si sottolinea come nell’interrogatorio della stessa Ferraro davanti a Gabriele Chelazzi non vi sia alcuna traccia del suo incontro con Giuseppe De Donno. Di quel tema così delicato la Ferraro ne parla a Chelazzi solamente al termine di quell’interrogatorio, rispondendo alla domanda del magistrato sui suoi ricordi dopo la strage di via d’Amelio. Nel verbale riassuntivo del 10 maggio 2002 è la questione del carcere duro a prevalere. Il magistrato fiorentino illustra alla Ferraro che secondo «alcune concrete e recenti indicazioni» i vertici di Cosa Nostra nel periodo che orientativamente coincide con l’inizio delle stragi del ’93 (maggio 1993) «nutrivano ottimisticamente l’aspettativa che il 41bis, gradualmente, perdesse di attualità fino a diventare uno strumento inutile nelle mani dello Stato, con la conseguente soppressione. Per quanto riguardava le dinamiche decisionali all’interno del Ministero in tema di 41 bis – si legge nel documento – dal momento che il Ministro aveva riservato a sé l’adozione dei provvedimenti, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria interloquiva direttamente con il Ministro stesso». Chelazzi si sofferma sul contenuto di una nota a firma del Vicedirettore dell’Ufficio detenuti reparto M.S. del 29 luglio del 1993 e sottopone alla dott.ssa Ferraro quelli che a suo parere sono i punti che «almeno programmaticamente richiedono ulteriore approfondimento». Quell’annotazione a suo tempo non era stata indirizzata a tutte le strutture di vertice delle Forze di Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza erano stati esclusi. Nel verbale viene evidenziato il fatto che la nota «attesti non controvertibilmente che il DAP cercava un’interlocuzione esterna in vista delle proroghe dei decreti che scadevano alla fine del mese successivo, diversamente dalle scadenze, di pochi giorni prima peraltro, del 20-21 luglio».
Nel documento viene ugualmente sottolineato come il Dipartimento «si ripromettesse di proporre le proroghe non per tutti i detenuti gravati dal 41 bis ma chiedesse di conoscere le valutazioni di ordine generale (anche con chiaro, seppur implicito, a parere del PM, riferimento ai fatti di strage di poche ore prima) e anche di origine oggettivo, a valle tuttavia della individuazione di alcuni soggetti che sarebbero rimasti esclusi dalla proposta di proroga». La visione d’insieme appare subito inquietante. Su quali tavoli in quel periodo si stava giocando la partita del 41bis? E a quale prezzo? Chelazzi vuole vederci chiaro e sottopone alla Ferraro un’altra nota questa volta del 29 luglio 1993. Il pm fiorentino formula una serie di osservazioni a partire dalla circostanza che «essa attesta l’esistenza di un ’41 bis a due velocità». Liliana Ferraro replica affermando di non ricordare «che ci fosse un 41 bis attenuato parallelo al 41 bis di rigore». Ma i dubbi che la merce di scambio nella trattativa ruotasse proprio attorno alle proroghe del carcere duro sono tutt’altro che fugati. In merito ai contatti della Ferraro con l’allora colonnello Mori è lo stesso Chelazzi a indicare gli appuntamenti dell’ex collaboratrice di Falcone con l’ufficiale dei carabinieri riportati nell’agenda di quest’ultimo. «La dott.ssa Ferraro – si legge nel verbale – fa presente che questi incontri con il colonnello Mori non si ridussero certo a quello documentato nell’annotazione del 21 ottobre (1992, nda)», aggiungendo poi di non ricordare «la specifica ragione a base di quell’incontro». Cinque mesi dopo è Claudio Martelli a sedersi di fronte al magistrato di Firenze impegnato su un filone di indagini sui mandanti esterni delle stragi del ’93.
Gabriele Chelazzi rappresenta a Martelli che le attività investigative «volte a chiarire tutte le articolazioni della strategia» (stragista, ndr) e finalizzate ad individuare le eventuali ulteriori responsabilità penali «hanno consentito di mettere a fuoco una sorta di interdipendenza tra la strategia di Cosa Nostra e le deliberazioni che nel corso del tempo hanno alimentato la strategia medesima (da una parte) e l’orientamento che ha alimentato la gestione e l’applicazione del 2°comma dell’art. 41 bis da parte delle istituzioni dello Stato e in particolare da parte del Ministro di Grazia e Giustizia». Martelli non batte ciglio e ricostruisce la genesi dell’emanazione dei primi provvedimenti dell’applicazione del carcere duro successivi alla strage di via d’Amelio, passando attraverso gli scenari socio-politici di quel periodo storico. Durante l’interrogatorio Gabriele Chelazzi fa presente a Martelli come dalle indagini sia emerso che il «vertice delle stragi officiò un’interfaccia, nella persona di un esponente politico con mandato parlamentare, al fine di monitorare, salvo se anche condizionare, la ‘gestione amministrativa’ del 41bis». Nel documento si legge che «il pm omette il nome della persona in questione». L’ex ministro esclude «che la situazione possa coniugarsi a qualcosa di cui sia a conoscenza», per poi concludere precisando di non aver mai conosciuto l’ex colonnello Mori.
È un dato di fatto che Gabriele Chelazzi avrebbe voluto risentire Liliana Ferraro per approfondire il tema dell’incontro con De Donno e molto probabilmente avrebbe risentito anche Claudio Martelli, ma un infarto nella notte tra il 16 e il 17 aprile 2003 ha posto fine prematuramente alla sua vita. Per la cronaca c’è da dire che Nicolò Amato lascia frettolosamente il vertice del Dap il 4 giugno del ’93 per essere sostituito da Adalberto Capriotti. Nel frattempo l’ex Capo della Polizia, Vincenzo Parisi è deceduto. E su quell’ipotesi di “garantismo” di Nicolò Amato nei confronti del carcere duro, così come su quella sua collaborazione con l’ex Capo della Polizia Vincenzo Parisi in una materia tanto delicata come l’applicazione del 41bis, resta ancora da capire se si possa aprire o meno una nuova pista d’indagine sui mandanti esterni.

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