il PD e i rottamatori...
Li chiamano “rottamatori”. Non è forse il termine più adatto per indicare chi chiede rinnovamento. Ci hanno provato con le primarie e con nuove idee a dare fresca linfa al Pd, come meccanici che provano a riparare un’auto vecchia, un’auto nata già vecchia. Ma dopo tre anni la speranza è morta. Allora, ben vengano gli incentivi alla rottamazione. Niente soldi, per carità, solo nuove facce ed idee.
I rottamatori del Pd sono quattro: Matteo Renzi, sindaco di Firenze, Giuseppe Civati, consigliere del Pd alla regione Lombardia, Deborah Serracchiani, parlamentare europea, e Ivan Scalfarotto, vicepresidente del Pd. Li guardano con sospetto; uomini capaci di dire cose che non rientrano nel linguaggio della vecchia sinistra: merito, rinnovamento, cambiamento, impresa.
Sono giovani, ma non troppo. Come spiegava Civati ieri su Rai 3, “noi non siamo per una lotta generazionale nel partito; il problema è nell’elettorato. Vogliamo parlare dei giovani”. Allora ecco il desiderio di staccarsi dal linguaggio della fabbrica per raccontare una realtà che il Pd non è stato in grado di cogliere appieno: il precariato giovanile e tutto quello che ne consegue. Ma non basta. Ci vuole, sostiene Civati, “un partito in grado di guardare ai problemi delle persone e dare delle risposte”. Insomma, quell’alternativa che oggi non c’è. E per i 4 rottamatori il problema è uno: la classe dirigente. Facce sempre uguali da troppi anni e nessuna idea.
Eccoli lì, in una convention in puro stile veltroniano. Una maratona di idee alla Stazione Leopolda di Firenze. Il tema è quello ferroviario: “Prossima stazione: Italia”. Un enorme maxischermo e l’annuncio di ogni argomento come una fermata del treno. Filmati e metafore cinematografiche si alternano a dibattiti, mentre Civati e Renzi appaiono ombre proiettate sulla pellicola. Una rievocazione veltroniana delle più riuscite. Ma non chiamateli veltroniani, per carità, anche se lo sono a tutti gli effetti. Nessuna corrente, nessuna voglia di divisione.
E chi pensa che a Firenze siano stati solo quattro gatti sbaglia. Come sbaglia Pierluigi Bersani a rifiutare l’invito. Qualche numero: 6800 partecipanti registrati; 25mila persone che hanno seguito in streaming l’evento. Bersani non c’è andato. Non ha voluto raccogliere la sfida di chi chiede un nuovo passo e uno slancio diverso. Forse per la dirigenza Pd va tutto bene. Ma nonostante Ruby e l’immobilismo economico, i sondaggi per il Pd sono disastrosi, quasi da rendere un miraggio il 34% ottenuto da Veltroni nelle precedenti elezioni. Non ci sono idee e non c’è comunicazione. Non c’è il sogno, non c’è un uomo capace di far sognare.
Allora cosa rimane di questo Pd rottamato? Forse la cosa più innovativa che la politica italiana abbia sperimentato a sinistra negli ultimi 60 anni: il progetto originario di un partito veramente democratico che vada al di là dei vecchi schemi legati al mondo operaio. Oggi i veri proletari sono altri e hanno meno di 35 anni e spesso sono laureati. Sono gli stessi che tra 30 anni non andranno in pensione, sono gli stessi che tra 30 anni forse non saranno riusciti nemmeno a metter su famiglia. Il Pd sarà in grado di parlare a loro dei loro problemi, trovando la strada a certe soluzioni?
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