Referendum, i sardi cancellano le loro province.

referendum sardegna province I Sardi meglio di Monti: cancellano le loro provincedi Francesca Pintor

La Sardegna ha deciso di liberarsi degli enti territoriali intermedi. Ma ora c'è rischio vuoto normativo


Un plebiscito contro la casta, gli sprechi e i privilegi di una classe politica sempre più lontana dai problemi dei cittadini. Con il referendum del 6 maggio, i sardi hanno detto sì a tutti e dieci i quesiti – 5 abrogativi e 5 consultivi – su cui sono stati chiamati a esprimersi. Dando il via alla soppressione immediata di quattro Province e al taglio netto delle indennità dei consiglieri regionali. Un vero e proprio terremoto politico che ha creato, però, un caos normativo e molta confusione sulle misure da adottare nei prossimi giorni.
I 10 quesiti. Con il 97% dei voti scompaiono le quattro Province istituite di recente in Sardegna: Carbonia-Iglesias, Medio Campidano, Olbia-Tempio, Ogliastra (la più piccola d’Italia con appena 58mila abitanti). Praticamente un voto di protesta. Otto province, per un territorio popolato da 1,68 milioni di abitanti, sono evidentemente sembrate un costo eccessivo per le tasche dei contribuenti.

L’esito del referendum rischia, però, di travolgere anche le Province “storiche”di Cagliari, Oristano, Nuoro e Sassari. Quasi il 67% dei votanti, infatti, ne ha chiesto l’abolizione. Il quesito era soltanto consultivo ma la netta affermazione del Sì rilancia la necessità di una riforma anche a livello nazionale. Per cancellare le Province è infatti necessaria una modifica costituzionale in Parlamento.
Intanto tremano anche i consiglieri regionali. Gli elettori hanno infatti decretato, con il 97% dei voti, l’abrogazione della legge che ne disciplina le indennità (che fino ad ora, non potevano superare l’80% di quelle dei parlamentari). Vittoria schiacciante del Sì per gli altri quesiti, tutti consultivi. Via libera, dunque, all’elezione diretta del presidente della Regione attraverso le primarie, ad una nuova stesura dello Statuto tramite un’ assemblea costituente, all’abolizione dei consigli di amministrazione degli enti regionali e alla riduzione a 50 del numero dei consiglieri regionali.
L’affluenza. Per raggiungere il quorum era necessaria un’affluenza del 33,3%. Alle urne si sono recati oltre 525 mila elettori, pari al 35,5% degli aventi diritto. Appena due punti percentuali in più del necessario, sufficienti però a sancire la validità della consultazione. Un buon risultato per i promotori del referendum, guidati dal partito dei Riformatori e dall’Italia dei Valori, soprattutto se si considerano le spaccature che hanno diviso i partiti negli ultimi mesi (a partire dal Pd). Il fronte del Sì ha visto in prima fila molti sindaci e lo stesso presidente della Regione Ugo Cappellacci, in cerca di un rilancio politico. I sostenitori del No, invece, hanno più volte criticato l’eccessivo tecnicismo e la demagogia di alcuni quesiti, scegliendo prevalentemente di non recarsi alle urne.
Cosa succede dopo il voto. Le nuove Province sono quindi destinate a scomparire dalla geografia istituzionale dell’isola. In breve tempo. Nel frattempo è sempre più alto il rischio di un vuoto normativo nei territori destinati a restare senza amministrazione. Una legge che riordini il sistema degli enti locali diventa, a questo punto, sempre più urgente. Le funzioni e le competenze delle Province abolite saranno probabilmente ridistribuite tra le altre amministrazioni locali. Lo stesso dovrebbe accadere per i dipendenti. Questi ultimi, però, come avvertono i promotori del referendum, potrebbero restare senza stipendio nell’attesa di una nuova destinazione. Mentre è ancora incerto il futuro dei beni, dei servizi e degli appalti già assegnati. La situazione è dunque giuridicamente molto complessa e già si pensa ad una fase transitoria gestita da quattro commissari liquidatori.
Per quanto riguarda gli stipendi dei consiglieri regionali, invece, lo stesso Consiglio dovrà ora formulare una nuova legge che ne stabilisca l’importo, come previsto dello Statuto. Nel frattempo, però, le indennità, che si aggirano intorno ai 12 mila euro (tra le più alte d’Italia), potrebbero essere sospese.

fonte: Diritto di Critica



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