Giustizia: troppi tossicodipendenti in carcere, più di quelli nelle Comunità

Carceri sovraffollate, con 25mila detenuti in esubero. In buona parte si tratta di persone con problemi legati al consumo di stupefacenti. Secondo i dati presentati al convegno del Gruppo Abele, sono gli effetti di quella che gli esperti chiamano “detenzione sociale”, la delega al carcere del recupero di soggetti marginali.

In alcuni capienti istituti penitenziari come il milanese San Vittore, il torinese Le Vallette, il romano Rebibbia, il genovese Marassi e il napoletano Poggioreale, i tossicodipendenti presenti sono anche più del 50%, la media nazionale si aggira sul 27%. Da tempo il numero di tossicodipendenti che transita annualmente per i 207 istituti per adulti e i 17 per minori è maggiore di coloro che passano dalle comunità terapeutiche: circa 26mila contro 16mila. Si tratta di persone con un cumulo di problemi: poli dipendenza, patologie psichiatriche associate, famiglie disfunzionali, bassa scolarizzazione, povertà.

Servirebbero per loro interventi sociali. Ma per la prima voltai dati al 30 giugno 2010 mostrano come il numero di affidati ai servizi sociali fuori dal carcere sia inferiore a quello degli affidati in detenzione. Il motivo sarebbe anzitutto la legge ex Cirielli, che vieta ai recidivi l’accesso ai percorsi alternativi alla detenzione.
“Ma - spiega il sociologo del Gruppo Abele Leopoldo Grosso - per definizione scientifica la tossicodipendenza è recidiva. Questo ha invalidato il pur nobile intento della legge Fini-Giovanardi, da noi non condivisa, che voleva incarcerare i tossicodipendenti per consentire loro l’accesso alle cure”.

Preoccupa poi gli operatori la riduzione della spesa media annua per ogni detenuto, passata dai 13.170 euro del 2007 ai 6.257 del 2010. Risorse che il sistema carcerario mette a disposizione per il cibo, l’igiene, l’assistenza e l’istruzione dei detenuti, oltre che per la manutenzione delle carceri. Il dimezzamento fa intuire il forte degrado della vita carceraria. Drasticamente ridotte anche le risorse per retribuire le attività di lavoro interne agli istituti penitenziari. Solo un detenuto su quattro lavora

Fonte: "Avvenire" 



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