"Mio zio mi molestava" - Corte d'App.: "l'accusatrice è bugiarda e di facili costumi"

Con la sentenza n. 44423 depositata il 30 novembre 2011 la Corte di Cassazione – III sezione penale, nel rigettare il ricorso del P.G. avverso una sentenza di assoluzione della Corte di Appello, che aveva ribaltato il verdetto di condanna del Tribunale, ha ribadito che la valutazione sulla credibilità ed attendibilità delle dichiarazioni di un minore, presunta vittima di abusi sessuali, non può essere compiuta riferendosi esclusivamente al solo narrato della persona offesa, ma va tenuto adeguatamente conto di tutte le altre prove e circostanze concrete che possono influire su tale valutazione.

La vicenda. Una ragazza minorenne che, a causa di alcuni problemi sorti con la madre, viene ospitata dalla zia in tre diversi periodi, denuncia degli episodi di violenza sessuale da parte del convivente more uxorio della zia.
La minore accusa lo zio di fatto anche di avere agito mediante violenze e minacce di morte, con abuso di autorità ed abuso di relazioni domestiche.
Il Tribunale condanna l’imputato alla pena di anni cinque e mesi uno di reclusione.
La Corte di Appello ribalta il verdetto di condanna. Diverso l’approccio al materiale probatorio da parte dei giudici di secondo grado; la Corte di Appello, diversamente dal Tribunale, ha ritenuto doveroso esaminare e valutare tutti gli elementi di prova a disposizione, senza fermarsi alle sole dichiarazioni della persona offesa. Ne è uscito un quadro completamente diverso, che ha messo in discussione l’intera ricostruzione dei fatti denunziati dalla ragazza.
In occasione del secondo soggiorno a casa della zia, la ragazza «non si lamentò» con la zia «dei primi approcci e decise di permanere nella stessa abitazione, addirittura uscendo dal bagno in accappatoio, in presenza dello zio» e, cosa ancor più strana, è il fatto che la ragazza «sia tornata a casa» della zia, in occasione del terzo soggiorno, «dopo essere stata vittima degli episodi verificatisi nel primo e nel secondo soggiorno», e che, poi, abbia deciso di «sedersi a guardare la televisione proprio accanto» allo zio «senza mai mettere in allarme la zia, costantemente presente in casa»; tutti i testimoni avevano evidenziato la «personalità bugiarda» della ragazza e la sua «facilità di costumi sessuali».
La Corte di Appello, pertanto, assolve l’imputato.
Il Procuratore Generale propone ricorso in cassazione, contestando i criteri di valutazione della prova seguiti dalla Corte di Appello e sottolineando la valenza secondaria delle contraddizioni in cui è incorsa la ragazza; il P.G. sostiene, ancora, la «piena compatibilità tra il narrato della vittima e gli episodi di abuso per cui si procede», e ritiene non attendibili alcune affermazioni dei testimoni.
La Cassazione rigetta il ricorso del Procuratore Generale. Gli ermellini ritengono «esauriente e coerente» l’iter logico-giuridico seguito dalla Corte d’Appello; ciò che conta non è solo «l’inattendibilità della versione dei fatti fornita dalla vittima», ma anche il fatto che debbono essere prese in considerazione tutte le prove a disposizione, soprattutto gli «elementi estranei alla deposizione della vittima, ritenuta già intrinsecamente inattendibile», elementi che sono
«sintomatici dell’inattendibilità estrinseca» della versione fornita dalla persona offesa.
La Cassazione richiama «l’attitudine a mentire della persona offesa» e, poi, «la vaghezza, la contraddittorietà, l’inverosimiglianza del narrato», in quanto «dopo i primi supposti episodi di violenza, la persona offesa non si era sottratta ad ulteriori contatti con l’imputato».
Le parole della vittima, chiarisce la Cassazione, possono, anche da sole, portare alla condanna dell’imputato, ma non possono essere ignorate le deposizioni dei testimoni che, nella fattispecie, hanno minato, nelle fondamenta, la credibilità della persona offesa nella ricostruzione della vicenda.
La Corte di Appello ha richiamato il consolidato principio secondo cui alla consulenza tecnica psicodiagnostica è riservato esclusivamente il giudizio tecnico medico-legale sulla idoneità e sulla capacità psichica a testimoniare del minore stesso, mentre - invece - è compito del giudice
valutare l’attendibilità del minore, comparare le sue dichiarazioni con tutti gli altri indizi e valutare gli elementi (a favore e non) acquisiti agli atti, nonché la presenza di bugie, di forme di suggestione, di fraintendimenti o di enfatizzazione del narrato.
In altre parole, senza delegare al c.t. il giudizio sulla attendibilità di una minore che abbia denunziato abusi sessuali, il giudice di merito deve esprimersi al riguardo, fondando il proprio giudizio su tutti gli atti di causa acquisiti al fascicolo, senza poter colmare i vuoti probatori con supposizioni, sospetti e/o congetture.
A fronte delle risultanze cui è pervenuta la Corte di Appello, le considerazioni del ricorrente circa alcuni profili di inattendibilità dei testimoni, non appaiono idonee, ad avviso della cassazione, a scalfire - sotto il profilo della logicità, completezza, coerenza - il quadro delineato dalla Corte d’appello.
In conclusione, sulla base di questi principi di diritto, la Cassazione ha rigettato il ricorso del Procuratore Generale, confermando la sentenza della Corte di Appello che ha ribaltato la sentenza di condanna emessa dal Tribunale in primo grado.






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