
«Più di un terzo della popolazione greca non ha più accesso alla
sanità nazionale», stima Giorgos Vichas, cardiologo. Alla clinica
autogestita di Hellinikon, in periferia d’Atene, un centinaio di medici
curano gratuitamente un numero sempre crescente di pazienti. Da un anno e
mezzo, 10.000 persone hanno varcato le soglie di questa clinica di
fortuna, installata nel mezzo di una vecchia base militare americana. A
causa dei drastici
tagli
ai salari, abbassatisi del 40% in qualche anno, anche chi ha un lavoro
non ha più i mezzi per pagare le spese mediche. E gli ospedali pubblici
greci mancano di medicine, specialmente per la cura del cancro. Il
settore della sanità è uno dei simboli della delinquenza dei servizi
pubblici greci. In una sala di consultazione dai muri bianchi, il
cardiologo snocciola storie che la dicono lunga sullo stato del paese:
quella di una donna che ha appena partorito e a cui l’ospedale non vuole
dare il figlio finché non paga le spese mediche. Un’altra è stata
trattenuta nella sua camera d’ospedale, con una guardia davanti alla
porta, perché doveva pagare 2.000 euro.

«Riceviamo molte persone che non possono più pagare per l’acqua e
l’elettricità da quando le tasse sugli immobili sono aumentate. La
corrente è stata
tagliata anche a persone che hanno bisogno di strumenti medici
permanenti, come l’ossigeno», dice Giorgos Vichas. Lo scorso inverno,
non potendo comprare l’olio, il cui prezzo è raddoppiato, gli abitanti
hanno rimesso in funzione i vecchi camini negli appartamenti. Si sono
riscaldati con la legna, o la spazzatura. «La sera, ad Atene, l’aria era
irrespirabile», commenta Makis Zervas, professore all’Hellenic Open
University. Tre anni dopo il primo “piano di salvataggio” europeo, la
Grecia scivola in una recessione che sembra non dover finire mai. Il
tasso di disoccupazione è arrivato al 27%, il triplo rispetto al 2009.
Una cifra ufficiale ancora al di sotto della realtà. «I giovani che
cercano un lavoro dopo la fine degli studi non sono inseriti nel
calcolo, né tutti quelli che lavorano un’ora alla settimana», precisa
Makis Zervas. Nemmeno i lavoratori indipendenti che hanno appena
terminato la loro attività a causa di mancanza di clienti.
Nel centro di Atene, le saracinesche sono abbassate su una parte
delle attività commerciali. Il 63% dei giovani con meno di 25 anni è
senza lavoro. La crescita ? Con un tasso del 6% nel 2012, sembra molto
lontana. Il Pil è caduto del 25% dal 2008. Come quello degli Stati Uniti
al momento della
crisi
del 1929. Quali prospettive dopo sei anni di recessione? La Grecia è
«sulla buona strada per raggiungere il suo ambizioso piano di pareggio
del debito», osa dire la direttrice generale del Fmi, Christine Lagarde.
Il paese potrebbe ritornare a crescere nel 2016, profetizzano il Fmi e
l’Unione Europea. Ma per arrivare fin qua, bisognerà fare degli sforzi.
Come se si esigesse ancora, dalla Grecia già stremata, di correre una
maratona in più. Gli obiettivi di riduzione del debito, fissati dalla
Troika (Fmi, Commissione Europea, Banca Centrale Europea) sembrano
irreali. Qualcuno, in un ufficio da qualche parte a Bruxelles o
Francoforte, ha disegnato delle curve, maneggiato la sua calcolatrice,
disegnato delle proiezioni. Riprese pari pari dai capi di Stato europei.
Obiettivo: un debito al 124 % del Pil nel 2020. Era del 156 % nel 2012.
Sarà del 175 % nel 2013.

E’ cominciata male. Veloce, risponde la Troika, bisogna accelerare le
privatizzazioni, smantellare i servizi pubblici, e in assenza di
alternative, ricapitalizzare le banche. La vendita delle compagnie di
gas è cominciata la settimana scorsa, e la televisione pubblica è stata
colpita dal ritorno del boomerang: 2.600 disoccupati in più. Compagnie
d’elettricità, d’acqua, di gas naturale, porti e aeroporti, ferrovie e
autostrade, lotteria nazionale… la Grecia svende i suoi beni pubblici.
Questi dovrebbero portarle 9,5 miliardi di euro entro il 2016. «Stanno
anche privatizzando la riscossione delle tasse», si indegna Makis
Zervas. «E le università sono state ricomprate al 49% da società
private, il che è contrario alla Costituzione». Il “piano di cessione
delle attività pubbliche” preteso dal Fmi e dall’Unione Europea è messo
in opera dal Fondo di espropriazione del patrimonio pubblico (Taiped).
Questa società anonima greca, fondata nel 2011, ha per obiettivo di
“massimizzare il valore” dei beni pubblici venduti. Poiché queste
privatizzazioni sono «l’elemento chiave per il ripristino della
credibilità, precondizione fondamentale per il ritorno della Grecia sul
mercato dei capitali mondiali», martella il sito dell’organismo. Che
propone, come in un catalogo turistico, spiagge, foreste, isole deserte o
siti archeologici. Tutto deve sparire. Signore e signori miliardari, promotori immobiliari e industrie del turismo, non esitate: è l’ora dei saldi.

In testa sul sito del Taiped: un terreno di 1,8 milioni di metri
quadri (l’equivalente di 250 campi di calcio) con 7 chilometri di costa
sull’isola di Rodi. E le zone classificate “Natura 2000”, sulle quali
Taiped suggerisce di costruire alberghi, campi da golf e centri
commerciali. O il vecchio aeroporto di Atene, un terreno di 623 ettari
(tre volte la superficie di Monaco) in riva al mare, dove qualche resto
di infrastruttura costruita per le Olimpiadi del 2004 si eleva nel mezzo
di erbacce. «Hanno cercato di venderlo al Qatar, che non l’ha voluto»,
spiega Natassa Tsironi, una riparatrice che qui si occupa di un giardino
autogestito. «Una legge ha votato che si autorizzino gli investitori a
fare quello che vogliono di questo terreno, ivi compreso costruire delle
torri; 69 ostacoli regolamentari, amministrativi e tecnici, che
rallentavano le privatizzazioni, sono stati eliminati», gioisce Taiped
nella sua relazione del 2013. La società di “denazionalizzazione” è
guidata da un ufficio di cinque membri, tutti usciti dal settore privato
e delle banche greche. Il suo presidente dirigeva fino al 2013 la più
grande compagnia della acque in Grecia, e ha fondato un’impresa di
costruzione di piscine – le entrate sembrano assicurate, visti tutti i
complessi preposti allo svago che cresceranno sulla costa.
Il direttore generale di Taiped, Yannia Emiris, era responsabile
della banca d’investimenti Alpha Bank. Accompagnato da due “osservatori”
nominati dall’Ue e dall’Eurozona, questo gruppo è stato incaricato
della liquidazione dei beni pubblici greci. E dispone di una «autorità
assoluta circa le decisioni». Tutte le entrate trasferite al Fondo
devono essere vendute o liquidate: «Il ritorno degli attivi allo Stato
non è autorizzato». La grande svendita – «il più grande programma di
cessione del mondo» – è iniziato. Il popolo greco fatica a veder partire
il suo patrimonio sbriciolato? «Non si può fare una frittata senza
rompere le uova», dice retorico il primo ministro Antonis Samaras, in un
forum a proposito della privatizzazione della radio-televisione
pubblica greca, la Ert. «Dobbiamo mostrare al popolo che noi osiamo
opporci ai pilastri più urlanti dell’opacità e dello spreco», scrive.
Ert era dunque un eccesso. Che i cittadini trovino il modo di vedere una
logica in queste decisioni arbitrarie. La frittata è riuscita, almeno?
Gli obiettivi sono lontani dall’essere raggiunti: in due anni, le
privatizzazioni non hanno portato che 2 miliardi di euro. Neanche 1% del
debito.

Questo d’altronde non diminuisce di una virgola. Era di 310 miliardi
nel 2009. Nel 2013, qualche “piano di salvataggio” più tardi, col il
paese che si infossa nel marasma economico mentre la
democrazia
greca è in agonia, il debito si eleva sempre a 309 miliardi di euro. Il
Pil ha subito violenti colpi d’arresto e il debito rappresenta oggi il
180 % del Pil (contro il 130% del 2009). La Grecia non è più un paese
sviluppato, stima il fornitore di indici di borsa “Msci”, che la pone
ormai nella categoria dei paesi emergenti. Quanti anni ci vorranno per
ritrovare il tasso d’occupazione del 2009? «Con il 4% di crescita, si
può sperare di raggiungere quel livello nel 2020-2025», valuta Sotiris
Koskoletos, economista all’Istituto di ricerca Nicos Poulantzas. «Ma chi
può sperare oggi in una crescita al 4%?». A cosa sono serviti i piani
di salvataggio successivi? A salvare la Grecia da una bancarotta
immediata, concedendole nuovi crediti. E cancellando un parte del
debito, grazie a una sua “ristrutturazione”, aggiungendole dei nuovi
prestiti. Ma anche – e soprattutto – salvando le banche greche e i
creditori stranieri. «Una buona parte del piano d’aiuto è stato
utilizzato per la ricapitalizzazione delle banche, è un dato di fatto.
Erano infatti sotto-capitalizzate, versando in gravi difficoltà
finanziarie e a rischio di fallimento», descrive la situazione Céline
Antonin, economista presso il dipartimento analisi e previsione
dell’Ofce.
Chi ha ricevuto i 207 miliardi di euro sbloccati dall’Unione Europea e
dal Fmi dal 2010? Le banche greche (per 58 miliardi) e i creditori
dello Stato greco (per 101 miliardi), in gran parte banche e fondi di
investimento. Almeno il 77 % dell’“aiuto” europeo non è andato a
beneficio dei cittadini ma, direttamente o indirettamente, al settore
finanziario. Uno studio di “Attac Autriche” mostra che solo 46 miliardi
sono serviti a rigonfiare le casse pubbliche – sempre sotto forma di
prestito, ovviamente. Da mettere in parallelo con i 34 miliardi pagati
dallo Stato ai suoi debitori come interesse sul debito nello stesso
periodo. Salvare le banche è quindi la priorità della Troika. «Si può
averne l’impressione, in quanto cittadino, e giustamente: è un assegno
in bianco alle banche», prosegue Céline Antonin, dell’Ofce: è
soprattutto un mezzo di trasformare il debito privato detenuto dalle
banche e dai creditori, in
debito pubblico.
La parte del debito greco detenuto dai creditori privati è stata divisa
in due. Su chi peserà, d’ora in poi, il rischio di bancarotta della
Grecia? Sull’Unione Europea e sul Fmi. Quindi sugli Stati e sui
cittadini europei.

Perché i greci hanno accettato queste misure di austerità in cambio
di un “piano di salvataggio” che non ha risolto niente? «Abbiamo perso
un milione di posti di lavoro nel settore privato. E’ come se, in
Francia, si sopprimessero d’un colpo 6 o 7 milioni di posti di lavoro.
Si ricevono più volte al giorno delle cattive notizie. Come un cervello
umano può sopportare questa cadenza?», si interroga Panagiotis
Grigoriou, storico ed etnologo, autore del blog “Greek Crisis”. «Più di
8.000 manifestazioni e scioperi hanno avuto luogo in tre anni, i greci
si sono rassegnati. Cosa si può fare di più? Ogni linea del
“memorandum”, la lista delle misure di austerità imposte dalla, è stata
votata. Si annullano delle leggi in vigore da decenni. La Costituzione è
stata violata. A cosa serve il Parlamento? Non siamo più nel
capitalismo, ma nel suo prolungamento: una sorta di meta-capitalismo»,
prosegue Grigoriou. Trauma collettivo: una situazione che ricorda
stranamente la strategia dello choc, definita da Milton Friedman,
teorico del liberismo economico, «aspettarsi una
crisi su ampia scala e poi, mentre i cittadini sono ancora sotto choc, vendere lo Stato pezzo per pezzo, a degli interessi privati, prima di trovare il modo di rendere eterne le “riforme” varate sotto il segno della fretta».
Benvenuti in Grecia, laboratorio europeo del “capitalismo del
disastro”. Milton Friedman descrive come dei cambiamenti economici
improvvisi e di grande ampiezza provochino reazioni psicologiche
«facilitanti la risoluzione». Una risoluzione che si traduce in attacco
sistematico contro la sfera pubblica. Un approccio simile alla dottrina
militare degli Stati Uniti in Iraq, “Shock and Awe” (trauma e spavento),
descrive l’autrice canadese Naomi Klein, che aveva lo scopo di
«controllare la volontà, le percezioni e la comprensione
dell’avversario, privandolo di ogni capacità di agire e reagire», per
meglio attuare, infine, la terapia dello choc economico. «Far uscire la
Grecia dalla
crisi
non era la più grande preoccupazione della Troika», analizza Haris
Grolemis, responsabile dell’istituto di ricerca Nicos Poulantzas. «Se
avessero voluto davvero aiutare il paese, avrebbero agito in maniera
meno violenta e più solidale. Ma l’essenziale per loro era di proteggere
l’euro. E di imporre una disciplina ai paesi che non seguivano alla
lettera le regole di Maastricht». Risultato: la Grecia è diventata una
sorta di zona economica speciale, dalla manodopera a buon mercato.
Il 5 giugno 2013, il Fmi ha fatto il suo mea culpa: Christine Lagarde
ha ammesso che il primo “piano di salvataggio” in Grecia è terminato
con dei «notevoli fallimenti». E indica come responsabile l’Unione
Europea: gli Stati europei non avrebbero «le competenze» richieste per
far bene avanzar questo tipo di programma di aiuti. Ma la
privatizzazione dei beni pubblici e il salvataggio degli interessi
finanziari privati prosegue. «Miliardi di persone perdono la loro vita o
subiscono danni irreparabili alla loro salute, a causa della vita
politica condotta oggi in Grecia», insorge il dottor Giorgos Vichas.
«Non sono delle semplici morti, sono degli omicidi: quelli che hanno
votato delle leggi che provocano l’esclusione di un numero di persone
crescente dalla copertura sanitaria nazionale sono degli assassini. Non è
solo una responsabilità politica, ma una responsabilità criminale.
Speriamo che un giorno pagheranno per i loro crimini». La morte subita
dalla televisione pubblica ha sferzato la popolazione greca. Un
risveglio della
democrazia?
E’ quello che ci spiegano, gli occhi lucidi, quelli che incrociamo nel
locali occupati della “Ert”, là dove i tecnici e i giornalisti si
affannano per continuare la diffusione dei programmi, su canali
clandestini. La Grecia non è che un laboratorio, altri paesi saranno
presto coinvolti. «In Francia, voi sarete forse i prossimi.
Preparatevi». Le politiche d’austerità e la strategia dello chock della
Troika saranno presto estese a tutto il continente? Il solo mezzo di
impedirlo è di lottare accanto a chi sarà la prossima cavia.
(Agnès Rousseaux, “Strategia dello shock: come il Fmi e l’Unione
Europea svendono la Grecia al miglior offerente”, intervento editato dal
blog “Bastamag” e ripreso il 2 luglio 2013 da “
Come Don Chisciotte”).
Fonte:
http://www.libreidee.org/2013/07/fame-e-paura-crimini-contro-lumanita-per-rapinare-i-greci/
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