Salviamo l'Europa: sciogliamo l'Euro.
Un articolo di tre economisti europei pubblicato da Bloomberg
considera lo smantellamento dell'euro - o almeno l'uscita dei paesi più
forti - non come la fine dell'Europa, ma al contrario come un modo per
salvarla
di Brigitte Granville, Hans-Olaf Henkel
and Stefan Kawalec
Alla vigilia della guerra
civile americana, Abraham Lincoln pronunciò la famosa frase "una
casa divisa non può stare in piedi." Oggi, l'Unione Europea -
impegnata da decenni alla ricerca di un' "unione sempre più
stretta" - deve confrontarsi con una straziante verità. La
massima di Lincoln deve essere letta al contrario. Affinché l'UE possa
sopravvivere, l'euro si deve sciogliere.
Tra il trattato di
Roma del 1957 e l'Atto unico europeo, del 1986, i governi europei
hanno portato avanti la più grande rivoluzione pacifica che il
continente abbia mai visto nella sua lunga e travagliata storia. La
creazione di una moneta unica europea avrebbe dovuto basarsi su
questo notevole successo. Era supposta essere il successivo
fondamentale passo verso una maggiore unità e prosperità. La crisi
economica nell'Europa meridionale mostra che invece il regime dell'euro,
almeno nella sua forma attuale, è diventato una minaccia
mortale per entrambi questi obiettivi.
Grecia, Spagna, Portogallo, Italia e Cipro sono intrappolati nella recessione e non possono riconquistare la competitività svalutando le loro monete. Le economie del nord della zona euro hanno dovuto partecipare a ripetuti salvataggi mettendo da parte ogni principio di finanza prudente. Un circolo vizioso di risentimento e populismo a sud e un rafforzamento del nazionalismo a nord stanno lacerando l'unione.
E la crisi non è ancora finita. La Francia, la seconda economia più grande d'Europa, sta sprofondando in una grave crisi economica. Come i paesi del sud, deve riguadagnare competitività, ma come loro, essendo parte del sistema dell'euro, manca dello strumento necessario. A causa delle sue dimensioni e per il ruolo guida che ha avuto nell'evoluzione dell'UE, la Francia, come sosteniamo nella parte 2 di questo articolo, sarà fondamentale per spezzare il circolo vizioso.
Gap di
Competitività
Prima, però, che cosa è andato storto? La moneta unica europea si supponeva dovesse facilitare il funzionamento dell'economia europea. Con la fissazione del tasso di cambio nominale e l'eliminazione del rischio di cambio, l'euro avrebbe dovuto realizzare la convergenza tra le economie più forti e quelle più deboli dell'eurozona - il cosiddetto centro e periferia. Il capitale sarebbe fluito dai paesi in surplus nei conti con l'estero verso i paesi nella necessità di prendere in prestito, aumentando la produttività e la crescita.
Prima, però, che cosa è andato storto? La moneta unica europea si supponeva dovesse facilitare il funzionamento dell'economia europea. Con la fissazione del tasso di cambio nominale e l'eliminazione del rischio di cambio, l'euro avrebbe dovuto realizzare la convergenza tra le economie più forti e quelle più deboli dell'eurozona - il cosiddetto centro e periferia. Il capitale sarebbe fluito dai paesi in surplus nei conti con l'estero verso i paesi nella necessità di prendere in prestito, aumentando la produttività e la crescita.
La realtà è stata
diversa. La moneta unica ha fissato - anzi, ha peggiorato - il
divario di competitività causato dalle differenze nei tassi di
inflazione e nei costi unitari del lavoro. Gli squilibri esteri sono
cresciuti. Nel 1999-2011, i costi unitari del lavoro (le retribuzioni
per unità di prodotto) in Grecia, Spagna, Portogallo e Francia sono
aumentati rispetto alla Germania dal 19 al 26 per
cento.
Nei paesi meno competitivi, questo ha prodotto dei deficit delle partite correnti dal 2 al 10 per cento del prodotto interno lordo nel 2010, e un avanzo delle partite correnti in Germania del 6 per cento del PIL. Avendo escluso la possibilità di svalutare, questi squilibri possono essere affrontati solo in due modi – o con la "svalutazione interna" o attraverso trasferimenti transfrontalieri.
Nei paesi meno competitivi, questo ha prodotto dei deficit delle partite correnti dal 2 al 10 per cento del prodotto interno lordo nel 2010, e un avanzo delle partite correnti in Germania del 6 per cento del PIL. Avendo escluso la possibilità di svalutare, questi squilibri possono essere affrontati solo in due modi – o con la "svalutazione interna" o attraverso trasferimenti transfrontalieri.
Svalutazione interna
significa che i paesi in deficit cercano di riguadagnare
competitività attraverso la riduzione della spesa pubblica e
l'aumento della pressione fiscale, che sperano possa abbassare i
prezzi e i salari in crescita. L'effetto a breve termine sarà quello
di indebolire la domanda interna.
A meno che non vi sia una compensazione derivante dall'aumento della domanda estera - con i paesi in surplus, in particolare la Germania, che intraprendono una politica di stimolo che aumenti un po' l'inflazione - un' "austerità" di questo tipo metterà a repentaglio la crescita economica e, quindi, le finanze pubbliche dei paesi in deficit. Tuttavia, non vi è alcuna prospettiva che la Germania - insieme agli altri paesi economicamente simili nella zona nord dell'euro - possa accettare di attuare un tale stimolo, in quanto ciò sarebbe in contrasto con la sua cultura politica ed economica. Ciò farà aumentare i dubbi sulla sostenibilità finanziaria del debito pubblico dei paesi in deficit e sulla sostenibilità politica delle loro politiche di svalutazione interna.
A meno che non vi sia una compensazione derivante dall'aumento della domanda estera - con i paesi in surplus, in particolare la Germania, che intraprendono una politica di stimolo che aumenti un po' l'inflazione - un' "austerità" di questo tipo metterà a repentaglio la crescita economica e, quindi, le finanze pubbliche dei paesi in deficit. Tuttavia, non vi è alcuna prospettiva che la Germania - insieme agli altri paesi economicamente simili nella zona nord dell'euro - possa accettare di attuare un tale stimolo, in quanto ciò sarebbe in contrasto con la sua cultura politica ed economica. Ciò farà aumentare i dubbi sulla sostenibilità finanziaria del debito pubblico dei paesi in deficit e sulla sostenibilità politica delle loro politiche di svalutazione interna.
L' esempio della Lettonia
La Lettonia e l'Islanda
dimostrano come possono essere pesanti i costi economici e sociali
della svalutazione interna, rispetto ai costi di una svalutazione
esterna, o del cambio. Dal 2008 al 2010, il PIL in Islanda è
diminuito solo della metà (svalutazione esterna) di quanto è
diminuito in Lettonia (svalutazione interna).
L'occupazione è scesa del 5 per cento in Islanda contro il 17 per cento in Lettonia. I sostenitori dell'euro possono anche dire che la svalutazione interna sta cominciando a funzionare - nei paesi in crisi dell'eurozona come la Grecia i salari reali hanno iniziato a diminuire rapidamente e le riforme strutturali hanno cominciato ad aumentare la produttività. Tuttavia, non è chiaro se la tolleranza politica della Lettonia per il collasso della produzione, dell'occupazione e dei redditi può essere riprodotta anche altrove.
L'occupazione è scesa del 5 per cento in Islanda contro il 17 per cento in Lettonia. I sostenitori dell'euro possono anche dire che la svalutazione interna sta cominciando a funzionare - nei paesi in crisi dell'eurozona come la Grecia i salari reali hanno iniziato a diminuire rapidamente e le riforme strutturali hanno cominciato ad aumentare la produttività. Tuttavia, non è chiaro se la tolleranza politica della Lettonia per il collasso della produzione, dell'occupazione e dei redditi può essere riprodotta anche altrove.
L'alternativa principale
sono i trasferimenti. I paesi in deficit possono attutire la loro
contrazione con dei trasferimenti dai paesi in surplus, invece che
con la svalutazione interna. Il problema è che tali trasferimenti
non saranno più indolori.
Prima del 2008, essi hanno assunto la forma di prestiti privati transfrontalieri ai governi e alle banche, che in molti casi hanno preso in prestito i soldi offrendo immobili come garanzia. Da quando nel 2008 è scoppiata la bolla del credito, questi flussi finanziari privati sono stati sostituiti da trasferimenti dai bilanci statali, che hanno fatto lievitare i deficit di bilancio e le passività implicite dei Paesi periferici nel sistema dei pagamenti della Banca Centrale Europea (noto come Target2). Senza i trasferimenti dalla Germania e dagli altri paesi del nord, la posizione fiscale di molte economie non competitive della zona euro è diventata insostenibile.
Prima del 2008, essi hanno assunto la forma di prestiti privati transfrontalieri ai governi e alle banche, che in molti casi hanno preso in prestito i soldi offrendo immobili come garanzia. Da quando nel 2008 è scoppiata la bolla del credito, questi flussi finanziari privati sono stati sostituiti da trasferimenti dai bilanci statali, che hanno fatto lievitare i deficit di bilancio e le passività implicite dei Paesi periferici nel sistema dei pagamenti della Banca Centrale Europea (noto come Target2). Senza i trasferimenti dalla Germania e dagli altri paesi del nord, la posizione fiscale di molte economie non competitive della zona euro è diventata insostenibile.
Tali trasferimenti
proverranno dal denaro dei contribuenti - fornito sia direttamente
attraverso il Meccanismo Europeo di Stabilità, sia indirettamente
attraverso le banche dei paesi creditori. (Nel caso che le banche
creditrici dovessero accettare qualche forma di ristrutturazione del
debito sovrano, le banche dovranno essere ricapitalizzate con denaro
fornito dai contribuenti nei paesi di origine.)
Questa prospettiva è dinamite politica. Quindi tali trasferimenti sono subordinati a una rigorosa disciplina di bilancio e alle riforme strutturali. Nonostante le rigide condizionalità, i contribuenti / elettori nei paesi creditori come la Germania potrebbero non adattarsi mai all'idea, creando il rischio di una reazione anti-europea. Una reazione del genere diventerebbe una certezza nel caso fin troppo probabile che le regole venissero trasgredite o messe da parte.
Questa prospettiva è dinamite politica. Quindi tali trasferimenti sono subordinati a una rigorosa disciplina di bilancio e alle riforme strutturali. Nonostante le rigide condizionalità, i contribuenti / elettori nei paesi creditori come la Germania potrebbero non adattarsi mai all'idea, creando il rischio di una reazione anti-europea. Una reazione del genere diventerebbe una certezza nel caso fin troppo probabile che le regole venissero trasgredite o messe da parte.
Stampare Moneta
Molti governi dei paesi
debitori preferirebbero avere dei trasferimenti sotto forma di denaro
stampato dalla BCE - con minori, eventuali, limiti. I funzionari
francesi l'hanno detto esplicitamente. Ma il meglio che possono
sperare sono gli acquisti di titoli di Stato a breve termine da
parte della BCE (note come outright monetary transactions). Se
dovessero essere attuati, questi saranno soggetti alle stesse rigide
condizioni fiscali applicate ai trasferimenti dal MES.
Quindi, le prospettive per i Paesi debitori della zona euro sono di un inasprimento fiscale implacabile e di anni di domanda carente. Ciò si tradurrà in una contrazione o, nella migliore delle ipotesi, una stagnazione della produzione e degli standard di vita. Nel frattempo, sta crescendo il sentimento anti-UE e in particolare anti-tedesco – come dimostrano le scene per le strade di Nicosia dopo la crisi di Cipro.
Quindi, le prospettive per i Paesi debitori della zona euro sono di un inasprimento fiscale implacabile e di anni di domanda carente. Ciò si tradurrà in una contrazione o, nella migliore delle ipotesi, una stagnazione della produzione e degli standard di vita. Nel frattempo, sta crescendo il sentimento anti-UE e in particolare anti-tedesco – come dimostrano le scene per le strade di Nicosia dopo la crisi di Cipro.
Gli Stati Uniti d'Europa
potrebbero salvare la situazione? Alcuni tra i primi fautori
dell'euro hanno riconosciuto alla fine degli anni '90 che il progetto
comportava che "l'economia doveva guidare la politica."
Essi vedevano la moneta unica come un modo per mettere il continente
su un percorso irreversibile verso una piena unione politica - un
obiettivo che gli elettori europei avrebbero rifiutato se gli fosse
stato chiesto in maniera diretta.
Una maggiore mobilità del
lavoro potrebbe essere uno degli elementi di questa unione. Si
potrebbero immaginare le popolazioni dei paesi depressi come la
Grecia, il Portogallo, la Spagna e l'Italia, emigrare verso i paesi
ricchi come la Germania e la Finlandia. In questo scenario, interi
paesi potrebbero finire per somigliare a delle spopolate regioni rurali -
come quelle regioni della Francia, negli anni del dopoguerra, che i
giovani ben istruiti abbandonavano in massa spostandosi verso le
città e lasciando dietro di sé una popolazione
invecchiata, pesantemente dipendente dalle assicurazioni sociali. Le barriere
linguistiche e culturali rendono comunque improbabile questa forma di aggiustamento
economico.
Invece, gli appassionati
dell'euro puntano le loro speranze su una unione fiscale. I
trasferimenti dovrebbero prendere il posto delle migrazioni - e un
nuovo quadro di responsabilità politica dovrebbe prevenire gli abusi
(il cosiddetto problema del free-rider) e gestire le tensioni.
Purtroppo, anche se questo sarebbe possibile, le divergenze di
competitività rimarrebbero.
Consideriamo i casi della Germania orientale e del sud Italia. Nella riunificazione tedesca del 1990, i salari della ex Germania orientale sono stati convertiti in marchi tedeschi 1-a-1, abbattendo in un colpo solo la competitività della Germania orientale.
Consideriamo i casi della Germania orientale e del sud Italia. Nella riunificazione tedesca del 1990, i salari della ex Germania orientale sono stati convertiti in marchi tedeschi 1-a-1, abbattendo in un colpo solo la competitività della Germania orientale.
Trasferimenti tedeschi
In ciascuno degli
anni seguenti la riunificazione, la Germania orientale ha
ricevuto trasferimenti per il 4 per cento del PIL tedesco. Eppure la
convergenza non c'è stata - persone giovani e istruite continuano a
migrare verso la Germania occidentale. Nemmeno nel Sud Italia c'è stata
convergenza, nonostante decenni di trasferimenti. La disoccupazione
è il doppio di quella del Nord Italia, e il PIL privato pro capite è
meno della metà.
E poi c'è la politica. I paesi non competitivi dell'eurozona non possono sperare di ricevere trasferimenti del valore del 25 per cento del loro PIL ogni anno, come la Germania orientale, o anche del 16 per cento del PIL, come nel sud Italia.
Qualcosa deve cedere - e
dovrà essere il sistema dell'euro. Per preservare l'Unione europea,
l'Unione monetaria deve essere smantellata. Il parallelo storico fin
troppo rilevante è la difesa del gold standard nel periodo tra le
due guerre, che arrivò quasi a distruggere la democrazia in tutto
il mondo. Un solo paese può plausibilmente prendere l'iniziativa a
favore di una divisione controllata del sistema dell'euro per mezzo
di un'uscita comune e concordata dei paesi più competitivi. Questo
paese è la Francia.
Ancora una volta, come avremo modo di spiegare nella parte 2, il destino dell'Europa è nelle mani delle élite francesi. In linea con le sue migliori tradizioni politiche della "Fraternité", la Francia dovrebbe promuovere una nuova strategia nel segno non del nazionalismo, ma di una solidarietà europea.
Una divisione del sistema dell'euro sarebbe nel migliore interesse sia della Francia che dell'Europa, perché accelerebbe il ritorno alla crescita economica dell'UE - l'unica sicura garanzia di stabilità e unità europea.
Ancora una volta, come avremo modo di spiegare nella parte 2, il destino dell'Europa è nelle mani delle élite francesi. In linea con le sue migliori tradizioni politiche della "Fraternité", la Francia dovrebbe promuovere una nuova strategia nel segno non del nazionalismo, ma di una solidarietà europea.
Una divisione del sistema dell'euro sarebbe nel migliore interesse sia della Francia che dell'Europa, perché accelerebbe il ritorno alla crescita economica dell'UE - l'unica sicura garanzia di stabilità e unità europea.
La Francia deve farsi carico dello smantellamento dell’Euro
La seconda parte dell'articolo dei tre economisti europei pubblicato da Bloomberg considera come si potrebbe avviare un percorso di smantellamento e individua la Francia come paese cruciale per l'exit strategy.
Traduzione di Alex
di Brigitte Granville, Hans-Olaf Henkel
and Stefan Kawalec
- La Francia ha contribuito in
modo decisivo alla costruzione non solo
del sistema dell'euro, ma dell'intero progetto europeo. Di conseguenza ciò ha fatto sì che i leader
francesi agissero nel senso di preservare l'euro a tutti i costi. Costi, che
come abbiamo spiegato nella Parte 1 di questo articolo, sono diventati
alquanto insopportabili. Si rende quindi
necessaria una nuova strategia, e nel definirla
il ruolo guida della Francia risulterà
ancora una volta fondamentale.
Nell’Eurozona la Francia si
trova al limite tra i paesi in deficit
e paesi in Surplus. Possiede un vasto e
costoso sistema di welfare, con dei servizi pubblici di alta qualità, spesso
definiti come il modello francese,
sistema che si basa su di un consenso
profondo e sentito da parte dei cittadini. Ma a differenza dei paesi
scandinavi, che pure sono orientati ad un sistema di costoso welfare, quello francese è stato finanziato
non da un alto livello di tassazione sul reddito e sulla spesa, ma da onerose
tasse sull’occupazione (in particolare attraverso i contributi previdenziali
dei datori di lavoro), sui capitali, e
con un pesante indebitamento pubblico.
Il debito pubblico nel 2012 è salito a
circa il 90 per cento, da circa il 64 per cento che era nel 2007. Questo insistere sulla tassazione del lavoro si spiega in
quanto costituisce il percorso di minor
resistenza politica. Così facendo si dà l'illusione che
lo stato sociale venga finanziato dalle
imprese e non dai cittadini. L'idea che la tassazione delle aziende sia un
modo indolore per finanziare il welfare e i
servizi pubblici ha prodotto una
cronica elevata disoccupazione, una
crescita debole, ha eroso la
competitività e condotto il tenore di
vita, nel migliore dei casi, alla
stagnazione.
La Ile-de-France [N.d.t. la regione
francese con capoluogo Parigi], ha il più alto costo medio del
lavoro in Europa. Il problema è
aggravato dall’eccesso di regolamentazione – sia sul lavoro che
sul mercato dei beni e dei servizi. Il
controllo su trasporti, servizi professionali e rivenditori è molto più pesante
in Francia che in molti altri paesi ricchi.
Con il risultato di avere maggiori costi e prezzi più alti.
Questi oneri soffocano l'imprenditorialità. L’offensiva fiscale del
presidente Francois Hollande nei confronti degli alti redditi, dividendi,
plusvalenze e ricchezza non aiuta. La fiducia negli affari sta rapidamente crollando. Negli ultimi dieci
anni, la quota di esportazioni della Francia è diminuita. Il paese si trova in
deficit delle partite correnti.
L'economia francese ha bisogno
di uno "shock dal lato dell'offerta". In questo consisteva la raccomandazione
contenuta in una relazione dell’anno scorso
di Louis Gallois - un leader industriale
di sinistra. Al posto di
effettuare importanti e permanenti tagli ai contributi al welfare da
parte delle imprese sollecitati da Gallois, il governo ha annunciato un
complicato sistema di crediti d'imposta temporanei, subordinati al riutilizzo dei rimborsi a fini
di investimento e nuove assunzioni di lavoratori. Questo approccio non è in grado
di correggere le annose e gravi
distorsioni del sistema fiscale. In ogni caso, la complessità della proposta
implica che le aziende non trarranno alcun beneficio fino al 2014-15.
Nel mese di gennaio, i datori
di lavoro e sindacati hanno firmato un accordo che alleggerisce la
regolamentazione del lavoro e offre alle imprese maggiore flessibilità nel
ridurre l'orario di lavoro ed i salari in cambio della conservazione dei posti
di lavoro.
Questo è già qualcosa, ma la maggior
parte delle ulteriori nuove misure per stimolare la competitività si riducono a
nuove forme di dirigismo. Per contro, invece, la Francia avrebbe bisogno di fondamentali riforme strutturali [N.d.t. Ahia! Ho
sentito una fitta al fegato…]
- di una minore spesa pubblica [N.d.t. …bbbrrutttta], e di uno spostamento della
tassazione dal fronte lavoro al fronte dei consumi.
Ma c'è un problema - ed è un
grande problema. L'effetto immediato di un tale programma sarebbe di indebolire la domanda interna e rallentare la crescita
economica. Occorrerebbe quindi attivare anche degli “Stimoli
alla domanda”.
Il governo potrebbe far
ciò da un lato allentando nel breve termine la politica di
bilancio e dall’altro stimolando la
domanda estera attraverso la svalutazione della moneta.
Ma nell’attuale sistema Euro ciò non è possibile: infatti, da un lato le
regole sul deficit vincolano la politica fiscale, e dell’altro la Francia non ha più una moneta
propria da svalutare. Dal momento che altre strade non ve ne sono, finirà che sarà il sistema euro stesso a
dover cedere il passo.
L’Uscita della Germania
Per la Francia e per il
sistema dell'euro nel suo insieme, la strategia migliore sarebbe quella di smantellare l'Unione monetaria
dall'alto - tramite l'uscita della Germania e degli altri paesi più
competitivi. La conseguente
rivalutazione della nuova moneta tedesca migliorerebbe le bilance commerciali dei paesi in disavanzo.
In alcuni
casi, si renderebbero comunque necessarie operazioni di cancellazione
del debito, ma l’entità dell’impatto ed i costi per i
creditori sarebbero contenuti, in quanto lo smantellamento della moneta
unica
stimolerebbe la crescita dei paesi in
deficit. I paesi in surplus dovrebbero
ricapitalizzare le loro banche per fare fronte alle perdite subite a
causa di
eventuali cancellazioni del debito, in
modo tale che uscire dal sistema non significherebbe abbandonare i
paesi in crisi. La differenza sarebbe che, dopo lo scioglimento, la loro assistenza
potrebbe contribuire a rimettere i paesi in deficit sulla via del risanamento,
mentre i salvataggi attuali portano solo in
un vicolo cieco.
La Banca
centrale europea dovrebbe adoperarsi nel mantenere la credibilità e la fiducia nel
corso dello smantellamento controllato dell'euro. La BCE, almeno per qualche tempo, potrebbe essere
mantenuta in qualità di banca centrale responsabile della politica monetaria in
tutti i 17 paesi membri, anche dopo il ritorno di alcuni paesi alle valute nazionali.
Ciò faciliterebbe un forte coordinamento delle politiche tra gli ex membri, facendo
passare l’idea che più che una
frantumazione, si tratterebbe di una
trasformazione effettuata ordinatamente e
sotto il controllo della istituzione europea più rispettata e credibile.
Molti osservatori ammettono che l'euro è stato un errore, ma parimenti non
credono vi sia la possibilità di recedere. Essi ritengono che la dissoluzione
dell'unione monetaria porterebbe al caos economico, prima in Europa e poi in
tutto il mondo. I leader europei hanno inoltre paura che il tornare sui propri passi
darebbe anche un colpo mortale alla
grande causa dell'integrazione europea e potrebbe essere l'inizio della fine
della UE e del mercato unico. Sono
questi i timori che spingono a perseverare in quella che consideriamo una disastrosa strategia di difesa
dell’Euro a tutti i costi.
Sebbene una dissoluzione controllata del sistema euro dovuta
all’uscita dei paesi più competitivi sia il
modo più efficace per aiutare i paesi in deficit, essa si configura
sostanzialmente come una decisione unilaterale,
dei Forti di abbandonare i
Deboli. La passata Storia europea rende difficile per i leader della Germania avviare un simile percorso.
Salvaguardare la Francia
Nell’intraprendere eventuali
iniziative in tal senso, i paesi in deficit, alle prese con la recessione e le
divisioni politiche interne, nel tentativo
di ottenere migliori condizioni di assistenza dal resto dell'UE, potrebbero
avere paura di peggiorare la loro posizione negoziale. Le Istituzioni europee, come
la Commissione europea e la BCE, non possono patrocinare la soluzione che
proponiamo.
Viceversa se la proposta
venisse avanzata dalla leadership francese, la cosa
potrebbe funzionare - e potrebbe essere anche l'unica cosa da fare. Per più di 50 anni la Francia ha svolto un
ruolo di primo piano nell'integrazione europea. Si può dire che l’Euro sia per
molti aspetti un prodotto Francese.
Nel 1990, il presidente Francois Mitterrand si guadagnò il sostegno alla moneta unica da parte del
cancelliere Helmut Kohl in cambio della accettazione Francese alla
riunificazione Tedesca. Convincere la Germania ad abbandonare il marco, la cui
forza aveva di fatto dato alla Bundesbank il controllo della politica monetaria
in tutta l'Europa, è stato un notevole successo francese - o almeno così
pensavano i Francesi.
L'euro era visto come la pietra angolare dell'edificio di integrazione europea.
La crisi finanziaria e le sue conseguenze hanno viceversa dimostrato che l'euro
ha in sè il potenziale di distruggere l'intero progetto. Esso impedisce le
riforme necessarie per ristabilire la competitività internazionale della Francia,
competitività attualmente in
dissolvimento. Mantenere l'attuale sistema euro a tutti i costi,
finirà per paralizzare l'economia
francese, annullarne la coesione
sociale, e indebolirne la posizione in Europa e nel mondo.
In qualità di padre fondatore dell'Europa, solo la Francia ha l’autorevolezza
necessaria per poter sostenere con successo una strategia di smantellamento del
sistema dell'euro per il bene stesso dell'Unione europea. L'alternativa è il fallimento economico, divisioni
più profonde e amari rancori tra le nazioni d'Europa, mettendo così a rischio
le più preziose conquiste dell'integrazione europea. In un modo o nell’altro,
l'Europa si dividerà.
Resta solo da capire se verrà spazzata via completamente
o solo in parte. Smantellare l'euro
nel modo che noi proponiamo è di vitale
importanza al fine di garantire la sopravvivenza dell'idea europea.
Fonte (prima parte) http://vocidallestero.blogspot.it/2013/05/salviamo-leuropa-sciogliamo-leuro.html
Fonte (seconda parte) http://vocidallestero.blogspot.it/2013/05/la-francia-deve-farsi-carico-dello.html
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